Pellini Eugenio

scultore
Marchirolo (VA), 17 novembre 1864 - Milano, 28 maggio 1934

Eugenio Pellini, all’Accademia milanese di Brera fu discepolo dello scultore Ambrogio Borghi. Era nato ad esprimere sentimenti di profonda umanità, dai quali il suo spirito era occupato e come accarezzato. A Milano sentì l’influsso cordiale e novatore di Giuseppe Grandi e de’ suoi successori. Non manca tuttavia in lui, oltre al garbo della" misura, qualche moto di reazione all’impressionismo plastico, mentre respira la soave atmosfera del romanticismo pittorico lombardo. Fu insegnante di plastica ornamentale e diffuse, dal suo studio, probe nozioni e ideale semente. Opere più notevoli: “Spazzacamino,, (1884), bronzo; “Il Fanciullo di Nazaret,, (1891), in marmo e in bronzo; “ Pagine d’album,, (1894) bronzo; “L’Angelo del dolore,, (1894) marmo; “Cristo in Getsemani,, iniziato nel 1895, fuso in bronzo intorno al 1898 e finito nel marmo l’anno 1906; “La Madre,, e “Primi dubbi,, (1897), bronzi; “Notte di Caprera,, (1901) in marmo; “Cristo flagellato,, (1901), bronzo; “ L’idolo ,, (1906), esemplari in marmo e in bronzo; “L’uomo e il suo dolore,, (1910), marmo. “Sorelle,, (1913) marmo, “San Francesco,, (1918) bronzo, “Crocifisso,, (1920) bronzo. Eseguì inoltre una serie di piccoli bronzi e moltissimi ritratti.

Con la figuretta in marmo Primo dubbio, partecipa dal 19 dicembre 1896 al 31 marzo 1897, all’Esposizione di Belle Arti di Firenze.

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1905 con una scultura.

Partecipa con la statua in gesso Niobe rupe; con il bronzo Minatore; e con il bassorilievo in gesso Madre, alla Mostra Nazionale di Belle Arti che si tiene nel Parco di Milano dall’aprile al novembre 1906.

Nel 1907 partecipa alla VII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura in bronzo : L'idolo.

Alla LXXIX Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma, che si tiene dal 1° febbraio al 30 giugno 1909, partecipa con la scultura L’idolo.

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1909 con una scultura.

Nel 1909 partecipa alla VIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura in marmo: Cassandra.

Al Monumentale di Milano, per la Cappella Merli-Maggi, esegue nel 1909, il grande bassorilievo, che raffigura la vita che sanguina nei sacrifici assurge alle gioie dell’immortalità.

Nel 1910 partecipa alla IX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura in gesso: Come Narciso.

Partecipa dal 18 settembre al 6 novembre 1910, all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano, con il calamaio in bronzo: L’anima del pensiero, il bronzetto Portagioie, il busto in marmo: Cassandra.

Partecipa con le sculture Conquista in marmo, e con Mattino d’estate, alla Mostra di Belle Arti dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911.

Partecipa alla X Biennale di Venezia del 1912 con due sculture.

Partecipa alla XI Biennale di Venezia del 1914 con due sculture in marmo: Silvana e Stelo.

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1920 con due sculture.

Dal 30 marzo al 30 giugno 1921, figura alla Prima Biennale Romana, con la scultura: Madre.

Con i bronzi Il fanciullo di Nazareth, e Sulla via, Lanciando il cerchio, figura nel maggio-ottobre 1921 alla 1^Esposizione Biennale Nazionale d’Arte della Città di Napoli.

Nell’aprile-maggio 1922, figura alla Prima Mostra d’Arte Sacra, che si tiene a Milano nel Chiostro di Santa Maria delle Grazie, e promossa dalla Società Amici dell’Arte Cristiana, con l’opera Getsemani;

Nel 1922 partecipa alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con le sculture: Primavera (marmo), Pensiero lontano (bronzo).

Partecipa alla Mostra del Ritratto Femminile Contemporaneo, che si tiene dal maggio all’ottobre 1924, nella Villa Reale di Monza, con la scultura in cera La signora Martignoni; e con il gesso La signora Amisani.

Partecipa alla XIV Biennale di Venezia del 1924 con due sculture: La donna mia (marmo) e Testa di bambina (marmo).

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1926 con una scultura.

Dal 15 novembre 1926 al gennaio 1927, è presente alla I Mostra d’Arte Marinara, a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, con la scultura: “Toilette” al mare.

Figura all’Esposizione Nazionale di Brera, del 1927, a Milano, con la statua in marmo Contemplazione.

Partecipa alla Biennale di Venezia del 1928 con una scultura.


Esegue per il cimitero Monumentale di Milano:

Nel 1891 esegue il Monumento in marmo Carrara “Dolore e Fede” per la tomba Giuditta Bellina Bresciani.

Nel 1894 esegue il monumento in marmo di Carrara "Dolore" per La tomba di Giovanni Macario

Nel 1895 "Gli Angioli del dolore", monumento in marmo per la tomba Carbonaro Maria.

Nel 1897 esegue il Monumento in marmo di Carrara “Tumolo di fiori”, tomba Bai Macario Giuseppina.

Nel 1898 esegue il monumento in bronzo "Sui fiori del funerale" per la tomba Aurelio Franzetti.

Nel 1901 esegue il Monumento in bronzo “Cristo Flagellato” per la tomba Mazzi Ferdinando.

Nel 1905 esegue il Monumento in marmo di Carrara “Angelo della Morte” per la tomba Giulia Vannoni.

Nel 1906 realizza il Monumento in marmo di Carrara “Gethsemani” per la tomba Ernestina Lardera.

Nel 1907 esegue “Rose” Monumento in marmo di Carrara per la tomba dell’Arch. Romeo Bottelli.

Nel 1907 Monumento in marmo di Carrara “ Preghiera degli Angeli” per la tomba Enrichetta Maffei Vannoni.

5) Monumento in marmo di Carrara”Visione” per la tomba CLERICI ANGELA, anno 1908

12) Gruppo in marmo di Gandoglia “Le due sorelle”, tomba Coniugi PRESTINI, anno 1913

4) Monumento in marmo di Carrara “Mentre più le sorrideva la Vita” per la tomba Coniugi BONOMI, anno 1917

3) Statua in marmo di Gandoglia “Pianto” per la tomba LUIGI SANTAMBROGIO, anno 1919

12) Gruppo in marmo di Gandoglia “Bambino morente” per la tomba Vittorio Emanuele Alberto TRENTO FAZZARI, anno 1920

10) “Il bacio d’addio a Papà e Mamma” lavoro per la tomba MATILDE LUISA CERNITORI, anno 1921

13) Gruppo in bronzo “Ultimo bacio” tomba Renata GOLDFLONS, anno 1921


L’INTERPRETE DELLA GRAZIA E DELLA BONTÀ

Eugenio Pellini è nome ormai noto e caro agli italiani, specialmente a quelli che frequentano i cenacoli e le mostre d’arte e sono dotati di sagace ed esperto gusto estetico.

Una sua presentazione formale sembrerebbe quindi superflua. Pure è opportuna, poiché l’artista è sempre in correlazione stretta coll’uomo, sicché è difficile comprendere l’artista se non si conosce l’uomo. Vi sono manifestazioni d’arte che sono soltanto l’espressione di uno stato di animo, vibrazioni, dirò cosi, del sentimento; e ve ne sono altre che sono, se non esclusivamente, prevalentemente, frutto di elaborazione cerebrale.

Si potrebbero quindi dividere gli artisti in due categorie: artisti cerebrali e artisti d’istinto. È ovvio che i secondi hanno sui primi il pregio della spontaneità , senza per altro esclusione della cura della forma, che costituisce l’ansiosa prevalente aspirazione degli artisti della prima categoria. Eccellente è l’artista che all’istinto accoppia lo studio, il quale fonde in giusta misura le virtù e i pregi dell’arte cerebrale con quelli dell’arte d’istinto. Se è difficile, per non dire impossibile, che un artista cerebrale raggiunga la spontaneità, è facile invece a un artista d’istinto elevarsi a quel grado d’intellettualità in cui tutte le idee si raffinano passando attraverso il sentimento e tutti gl’impulsi del sentimento si compongono in giusta forma nelle raccolte meditazioni e nelle penetrazioni critiche del pensiero.

Eugenio Pellini appartiene precisamente a questa breve categoria di artisti privilegiati.

Ma quando ciò si sia detto, non si è fatta la presentazione di Eugenio Pellini. Per intenderlo non si può fare astrazione delle sue origini. La spontaneità non si acquista; essa nasce coll’artista. Ora, poiché non v’è scultore in Italia che più di Eugenio Pellini, allo studio unisca la spontaneità, ricercare le ragioni di questa sua dote significa denudare la sua anima e quindi il suo temperamento d’artista.

Quando si parli con Eugenio Pellini si comprende dalla semplicità ch’è nelle sue stesse parole, nei suoi gesti, in tutti gli atteggiamenti suoi, quanto profondo sia in lui il sentimento della natura. Gli anni, le dolorose esperienze della vita hanno fatto oggi il suo volto pensoso; ma ancora nella sua voce sommessa e dolce vibrano le commozioni pronte dell’anima sua rimasta quasi ingenuamente attaccata al ricordo della prima età. Nato nelle verdi valli della Valcuvia e formatosi nella grande solitudine dei pascoli, a contatto della gente umile e delle cose semplici, egli è rimasto cosi: uomo e artista che sente più l’umiltà che la esaltazione e il fasto.

Chi più ha sofferto, più ama, e chi più ama, più è vicino alla vita, ch’è, soprattutto, fatta di sentimento. Quando uno scultore è così fatto, sente in sè vibrare soprattutto gli affetti e le passioni intime, l’amor materno e l’amore filiale; e appunto questi due amori, che costituiscono la più umana delle religioni, animano Eugenio Pellini e danno l’ispirazione all’arte sua; essi spesso Io conducono verso un ascetismo che assurge alle più alte delle idealità e raccoglie e stringe in sé tutti gli affetti terreni più puri. Che Eugenio Pellini in tal modo fosse asceta fin da fanciullo lo confessa egli stesso, confondendo appunto l’amore materno, che, pur circonfuso di divina aureola, è amore umano, colla fede religiosa. Infatti scrisse un giorno: «Mia madre, sempre «malaticcia, che perdetti verso i diciott’anni, è rimasta in me come una visione; la più bella figura d’amore e di dolcezza. Ella «avrebbe desiderato fare di me un prete, ma si oppose mio padre per ragioni economiche. Ero infatti un grande credente; proclive al misticismo, scelsi la scultura «innamorato delle opere d’arte religiosa».

Divenuto scultore, era logico che l’istinto lo volgesse subito verso la maternità e gli ispirasse le prime opere. Ecco infatti la Madre, l’opera che meritandosi il premio Tantardini, affermò il suo nome e lo divulgò; nulla di mistico in questa salda composizione, ma, invece, una donna sana e forte che stringendo ai seno la sua creatura grida tutto il suo amore per la specie. È opera, questa, plasmata con equilibrio, rivelante una tecnica che ormai sicura di sé affronterà domani le più difficili prove e saprà innalzarsi dalla visione precisa della realtà alle più alte e delicate sfumature del sogno.

Ma non poteva essere l’opera del suo sentimento. Vi è in essa troppa realtà. Ecco infatti l'Idolo. Con esso egli ci dà ancora una madre, presso che uguale per forma, ma ben diversa per espressione.

In Idolo, la madre porta nel volto uno spasimo cosi comunicativo che noi sentiamo come nell’atto in cui attrae a sé la sua creatura essa si spoglia d’ogni passione terrena; in questa opera sì che lo scultore trasfonde il senso di nativo misticismo, che, nel primo contatto colla materia, s’era come smarrito; in quest’opera compare nello scultore l’artista, e nell’uomo il pensatore. Madre segna la conquista della forma, la padronanza dei mezzi: Idolo la capacità d’interpretazione. D’ora innanzi Eugenio Pellini innalzerà sempre più l’arte sua verso le più alte sfere della poesia, elaborando l’idea attraverso il sentimento. Ancora ricompare la madre nel Bambino morente, ma la stessa donna nel diverso atteggiamento, nell’abbandono con cui si piega sulla sua creatura, e nella espressione dolorosa del volto e di tutta la persona esprime un senso così alto di spiritualità che rompe ogni comunanza colla prima opera ed apre la via a una forma nuova e personale che mira soltanto a trasfondere nel marmo o nel bronzo col magistero d’un’arte assoluta signora di se stessa le più intime e profonde voci del sentimento.

Eugenio Pellini ha già educato l’istinto collo studio; ha già temprato la sua anima e il suo carattere.

Nella maternità ancora egli vede la vita; ma poiché il dolore è la manifestazione più sentita della vita, tutte le madri che figureranno d’ora in poi tra le molte sue opere, esprimeranno questa sensazione: il dolore. Non v’è amore senza dolore e non v’è amore più profondo di quello materno; epperò il dolore che vibra in ogni figurazione di maternità trasfusa nella materia da Eugenio Pellini è un dolore umano circonfuso di divinità. E ciò non soltanto nell’Ultimo bacio, così commovente nell’atto stesso con cui la mamma eleva a sé la sua creatura morta, ma anche in Sorrisi, in cui la grazia della bimba che si eleva sulle punte dei piedi per sussurrare le prime parole d’amore all’orecchio della madre, non cancella dal volto pur sorridente di questa il lieve velo di mestizia, di cui è suffuso. Sempre e ovunque la mamma è per questo scultore, poeta della materia, l’essere dolce che si spoglia d’ogni gioia terrena per la sua creatura, e in essa trasfonde la sua vita. Ma la madre è la donna; ed Eugenio Pellini non sa distinguere una dall’altra e nella donna non concepisce che la mamma o la figlia, e, anche quando si stacca da questa concezione, ancora fonde come in Bacio del mattino la gioia e il dolore, nella stessa guisa che il poeta congiunge Amore e Morte nel più intimo amplesso.

L’amore per la maternità comprende e racchiude in sé l’amore per la infanzia, e dal cuore di Eugenio Pellini ecco sbocciare un mondo di bimbi, che gridano il suo nome e la sua gloria. Non v’è atteggiamento, non sorriso, non pianto, non gesto infantile che il Pellini non abbia plasmato. Ovunque vada, egli porta con sé anche questo suo amore, l’amore per i bimbi: senso vibrante della vita, dolce espressione della potenza umana che si rinnova. Ovunque sia un bambino, l’occhio del Pellini, attratto, si ferma, e non se ne stacca senza che una nuova impressione si sia formata nel suo cuore. Poi l’amore e la mente dello scultore lavorano e inconsciamente la sua mano corre alla creta, e il inondo dei piccoli esseri cresce, e più vasto e più alto si fa il coro che attorno a lui canta, simile alla ridda dei fanciulli che Donatello plasmò sulla Cantoria di S. Maria del Fiore.

Chi non ha davanti agli occhi uno almeno di questi piccoli esseri a cui il Pellini impresse il segno del suo genio e l’espressione viva e immortale della gioia o del dolore, del riso e del pianto? Molti imitatori egli ebbe ed ha ed avrà; ma fin ora nessuno ha raggiunto la sua efficacia, anche se in possesso di una plastica che conosca tutti i segreti e tutte le esperienze, perché nessuno sa come lui penetrare nella intimità del sentimento e nessuno quanto lui è addentro nel mistero dell’arte infantile, ché solo alle anime privilegiate è concesso di restare nell’età matura entro il mondo infantile, intuirne i bisogni e i desideri, i capricci e le passioni, gli slanci e le riluttanze. Anche quando s’indugia con compiacimento a ricercare la purezza delle linee in Come Narciso, così ammirato nella mostra attuale di belle arti alla Permanente di Brera, o nella Donna mia, in cui è evidente il trapasso dall’adolescenza alla giovinezza, Eugenio Pellini trasfonde nel marmo una vibrazione che mette in movimento tutto il corpo del bimbo e incide nel volto della fanciulla che si trasforma in donna un pensiero che va al di là, e cerca nella castità stessa della espressione il mistero sacro ch’è nel destino muliebre.

A volte tenero e a volte arguto, a volte sorridente e a volte pensoso, Eugenio Pellini nella sua attività d’artista non ha trascurato una sola manifestazione della vita infantile, e l’arte sua s’è adattata a tutte le forme, non premeditatamente, ma per impulso, ora elevandosi, come in Capriccio, alla idealizzazione della forma, ora non uscendo dalla rapidità dell’impressione come in Cucitrice e in Primi passi, in cui la grazia infantile emerge dalla sommarietà delle linee.

Chi confronti la Bimba che lancia il cerchio con Primo dubbio comprende la profondità dell'intuizione del Pellini nella psiche infantile. Lavori brevi, impressioni quasi fugaci, ma quanta vita e quanta varietà di vita! Nel primo modellino il sorriso spontaneo rallegra la naturale vivacità del movimento; nel secondo l’innocente accoramento penetra subito nella nostra commozione. La piccola figurina accasciata, che incrocia sulle ginocchia piegate le braccia stanche, abbandonando su se stesso, non soltanto il corpo, ma anche lo spirito, suscita nel nostro cuore il riconto lontano delle prime nostre ansie, dei primi timori e dei primi scoramenti. È bene soffermarsi su queste due statuette, perché emerge da esse l’aderenza del sentimento alla forma, ch’è caratteristica nell’arte del Pellini. Nella prima la vivacità del movimento trova la efficace espressione nella sommarietà dell’impressione e sembra che il pollice segua nervosamente la rapidità della visione; nella seconda l’impressionismo si trasforma, o meglio l’impressione s’indugia in una evidente meditazione, che ha la sua manifestazione in una forma più curata, in una modellazione più ferma e studiata. In una dunque, il sentimento, nell’altra il pensiero.

Dal Primo dubbio Eugenio Pellini passerà naturalmente a Testa di bimbo, che sintetizza forma, sentimento e pensiero. Quanta semplicità di modellazione e purezza di linee in questa testa di bimbo, ma come l’espressione degli occhi è armonicamente fusa colle linee del volto e come l’intimità del sentimento vibra nel pensiero che brilla sulla fronte!

L’impressionismo cessa del tutto in Primavera, che ripete il motivo di Conquista, così ammirata alla Biennale di Brera nel 1916. Nessuna contorsione, nessuna contrazione di muscoli; semplicità invece di linee e semplicità di atteggiamento. Eppure quanta espressione e quanta grazia e ingenuità infantile. V’è in questo modello specialmente, come in Capriccio, come nella Donna mia, nella Ricamatrice e nello Stelo il segno d’una mano che ama il disegno e scolpendo accarezza la materia.

In ogni lavoro del Pellini, del resto, spiccano il senso della bella forma e l’amore della misura e dell’armonia.

Ciò si rileva nei lavori di maggiore mole. Se egli v’indica uno di questi lavori le sue mani nervose hanno un gesto che sembra voglia plasmare nell’aria il pensiero, e i suoi occhi e il suo

volto s’illuminano di una luce cosi dolce che vi fa pensare subito alle sue prime confidenze:

«Ero un grande credente; proclive al misticismo, scelsi la scultura innamorato delle opere d’arte religiosa».

Gethsemani e Estasi di San Francesco sono nati certamente da questo amore.

Il Pellini che disse la prima parola del poema infantile col Fanciullo di Nazaret, volgendo l’occhio commosso al travaglio doloroso degli uomini, sentì subito la figura di Cristo che si eleva verso l’alto chiedendo a Dio pietà e perdono per le povere genti umane affaticate e confondendo in un impulso solo l’amore per il prossimo e la fede religiosa.

Da questo generoso impulso nacque il capolavoro che esposto al Salon d’Automne a Parigi, tanta impressione suscitò in Jean Lorrain e in Buncheny de Grandval, che quest’ultimo così trasmetteva le sue impressioni alla Revue Moderne: «Ce fut donc Jean Lorrain qui me conduisit un matin vers l’admirable Christ de Pellini, Gethsemanj, qui est vraiment une des plus belles choses que j’ai rencontrées au cours de ma carrière de critique d’art. Nul peut ètre, si ce n’est Giacomotti, dans une toile qui est une immortel chef d’oeuvre, n’e rendu avec plus de mistère et de expression la force et le corps du Sauveur dans sa divine incorporéité méme. C’est là de l’art et du plus délicat».

Davanti a questa statua la mente va oltre la forma, e il pensiero cerca lo spirito. Il Pellini non ha creato un Dio che si fa uomo per redimere i nostri peccati, ma un uomo, che, spogliatosi da ogni passione terrena, si eleva a Dio portando con sé tutte le sofferenze umane.

Al Gethsemani fa riscontro l’Estasi di S. Francesco. Chi abbia solo una volta avvicinato Eugenio Pellini e gli abbia parlato, se ha intuito l’infinita bontà ch’è nella sua anima e lo spirito suo d’altruismo, per cui egli non sente che i dolori altrui e non si commuove che per le altrui miserie, comprende come il suo amore dovesse volgersi a San Francesco e come nessun interprete più spirituale San Francesco potesse avere. Davanti a questa statua l’anima si raccoglie e l’adorazione nasce spontanea. Noi sentiamo di essere davanti a un santo e intuiamo il mistero della santità; vediamo la figura umana, ma l’uomo non più; vediamo l’ombra d’un uomo che sale, sale, sale lievemente per le sfere celesti; e anche noi ci sentiamo, a un tratto, più leggeri, ci spogliamo da ogni bassa passione e ci sentiamo trasportati verso il mistero dell’infinito.

Un artista che così profondamente sente, non affronta che raramente soggetti epici o profani. Chiamato a scolpire alcuni monumenti per eternare la memoria di gloriosi caduti in guerra, quando volle trasfondere nel bronzo una visione reale, scolpì un soldato che lancia colla destra una bomba, mentre stringe colla sinistra al fianco il fucile. Maestro della statuaria, Eugenio Pellini non poteva dare a Cadegliano che una opera d’arte magnifica; quel soldato che si leva con tanta dignitosa compostezza all’offesa non prende nessun atteggiamento d’ira e d’odio quasi per meglio esprimere la nobiltà dell’atto di chi per la patria combatte e alla Patria offre se stesso. Quando però, passando dalla realtà al simbolo, il Pellini ci dà il monumento per i caduti di Marchirolo, oh, allora l’arte sua si rivela tutta nella profondità del sentimento con cui una donna, la madre che sa di quanto dolore sia nutrita la gloria e di quanto sacrifizio, abbassando sulla tomba la corona di gloria, assume un’espressione così viva e umana che noi sentiamo bene come l’amor di patria sia soltanto dedizione e come in questa dedizione esso trascini tutti gli affetti terreni.

Questa nota spicca ancora, sebbene in modo diverso, nella figura di Miss Cawel, sorpresa mentre portava abiti per la fuga dei prigionieri e fucilata dai tedeschi. Non poteva questo episodio di eroismo muliebre non toccare l’anima di Eugenio Pellini, cantore appassionato della maternità. Soltanto una donna che veda nel dolore di un figlio il dolore di tutti i figli e senta la maternità profondamente, pur non essendo madre, poteva compiere un atto così eroico. V’è in quest’atto tutta la nobiltà della creatura umana che nello spirito di sacrifizio e di rinunzia s’avvicina a Dio.

Che Eugenio Pellini sia l’interprete più efficace dell’anima umana nelle più nobili sue espressioni e soprattutto del dolore umano lo confermano i monumenti funerari.

È difficile dire quanti monumenti abbia sparso per i cimiteri d’Italia. Ma chi non ne ricorda qualcuno fra quanti amano l’arte e ne ricercano e studiano le varie manifestazioni? Ad assicurargli la fama acquistatasi a ventisette anni col primo monumento funerario nel Monumentale di Milano, basterebbero il monumento a Giovanni Macario e quello ad Aurelio Franzetti. Soprattutto questo ultimo; davanti ad esso è impossibile non fermarsi. La giovane donna dal corpo scosso dai singhiozzi, che piange convulsamente sopra una tomba, emana una cosi potente commozione, che se anche in noi l’idea della morte non ha presa, il dolore umano penetra ugualmente nel nostro intimo.

Più lievemente penetra in noi la commozione davanti al monumento Volto consunto; più lievemente, ma più durevolmente; v’è nel puro corpo della donna che si consuma sulla tomba dei suoi una tragedia cosi umana che ci rende, più che commossi, pensosi e tristi; mentre invece sentiamo tutta l’angoscia che la morte suscita quando vediamo l’atto disperato con cui nel monumento della famiglia Oriani, colpita dalla più tragica sciagura, la donna balza sulla tomba e si lancia verso il cielo a seguire in un disperato abbandono di ogni affetto terreno gli spiriti amati che dalla terra furono divelti.

Lo si consideri, o come poeta dell’infanzia e della maternità o come interprete del dolore umano, Eugenio Pellini è un artista così originale e personale, ha un carattere cosi spiccata- mente suo che non si riesce a trovare in tutta la sua opera rapporti o interferenze con nessuna scuola di scultura italiana e straniera. Quando i nostri figli avranno definito il nostro tempo e avranno rilevato quanta spiritualità esso nasconda tra l’utilitarismo degli avidi destinati oggi come in ogni tempo ad acquistar ricchezza, ma a non lasciare traccia né del loro cuore né del loro ingegno, e quando avran compreso quanto sentimento vibri nelle masse oscure del popolo, considereranno Eugenio Pellini come l’interprete dell’anima moderna, perché veramente, come il Buncheny de Grandvai scrisse: «Il est, avant tout, un sculpteur psychologiste, travaillant plus pour exprimer les expressions vitales et les sentiments intellectuels que les formes qui les trahissent.»

Rio De Valverde, 1925.



Bibliografia:

1896 - Festa dell’Arte e dei Fiori 1896-1897, catalogo della Esposizione di Belle Arti, Firenze, p. 85.

1906 - Mostra Nazionale di Belle Arti, catalogo illustrato, Milano, Parco, aprile-novembre, p. 76.

1907 - VII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 110.

1909 - LXXIX Esposizione Internazionale di Belle Arti della Spcietà Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma, catalogo, Roma, p. 79.

1909 - VIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 125.

1909 - Guido Marangoni. VIII esposizione Internazionale di Venezia. Pittori Veneti - La scultura, Milano, Natura ed Arte, anno XVIII, n. 24, 20 novembre, p. 802.

1909 - Nuova Cappella al Monumentale di Milano, Natura ed Arte, Milano, Vallardi, N. 1 - 5 dicembre, pp. 54, 56, 57 ill.

1910 - Esposizione Nazionale di Belle Arti, catalogo illustrato, Milano, Plazzo della Permanente, p. 21, 29.

1910 - IX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 78.

1910 - Guido Marangoni, L’Esposizione Nazionale di Brera. Pittori e scultori - L’arte applicata. Natura ed Arte, Milano, Vallardi, N. 23 - 5 novembre, p. 759.

1911 - Esposizione Nazionale di Roma, Mostra di Belle Arti, catalogo, Roma, pp. 19, 26.

1913 - Ambrogio Annoni, a cura di, Il Cimitero Monumentale di Milano, Milano, Editore Bonomi, p. 94.

1914 - XI Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 54.

1921 - Prima Biennale Romana. Esposizione Nazionale di Belle Arti nel Cinquantenario della Capitale. Catalogo mostra, Roma, p. 28.

1921 - 1^Esposizione Biennale Nazionale d’Arte della Città di Napoli, catalogo mostra, Napoli, maggio-ottobre, pp. 27, 51, 54.

1922 - Prima Mostra d’Arte Sacra promossa dalla Società Amici dell’Arte Cristiana, catalogo mostra, Milano, aprile maggio, p. 16.

1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 68, 108.

1923 - Luigi Larghi, Guida del Cimitero Monumentale di Milano, Milano, Enrico Gualdoni, pp. 55, 65, 83, 87, 88, 146, 147, 158.

1924 - Mostra del Ritratto Femminile Contemporaneo, catalogo mostra, Monza, Villa Reale, maggio - ottobre, pp. 26, 52.

1924 - XIV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 23, 121, tav. 50.

1925 - Rio di Valverde, L'interprete della grazia e della bontà: Eugenio Pellini, La Cultura Moderna - Natura ed Arte, Milano, Vallardi, n. 11 novembre, pp. 801/812.

1926 - I Mostra Nazionale d’Arte Marinara, catalogo mostra, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1926-1927, p. 112.

1927 - Esposizione Nazionale d’Arte R. Accademia di Brera, catalogo mostra, Milano, Palazzo della Permanente, p. 32.

1941 - Enrico Somare: Maestri dell’Ottocento. Lo scultore Eugenio Pelimi, Milano, ne “ L’ Esame ,,, gennaio-aprile 1941.

1949 - Francesco Sapori: Scultura italiana moderna, Roma, Libreria dello Stato.

1976 - Rossana Bossaglia, Marilisa Di Giovanni, Luisa Giordano, Adriana Sartori, Pavia/Cent’anni di cultura artistica. La civica scuola di pitura e il suo tempo, catalogo mostra, Milano, Electa, pp. 131, 131; VEDI SCHEDA

1994 - Luigi Piatti, Pennelli in orbace e no. Note per una conversazione sull’Arte e la sua organizzazione in Varese e Provincia durante il fascismo, Varese, Nicolini Editore, pp. 9, 11, 51.

1994 - Vincenzo Vicario, Gli scultori italiani, Dal neoclassico al liberty, seconda edizione, volume secondo, Lodi, Il Pomerio, pp. 804/805.

1996 - La Biennale di Venezia. Le Esposizioni Internazionali d’Arte 1895-1995, Venezia, Electa, p. 571.

2003 - Alfonso Panzetta, Nuovo Dizionario degli Scultori Italiani dell’ottocento e del primo novecento, volume II, M-Z, Adarte, pp. 686/687.

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