Recatosi giovanissimo a Roma, rimase estraneo all’Accademia coltivando un suo gusto moderno della forma trasmessa dai greci. Lavoratore fervidissimo, seppe acuire le risorse del proprio stile ed ebbe grido in Roma e fuori di Roma. Sue principali opere:
“Pagina triste,, (1908),
“Vittoria,, (1910), sul ponte Vittorio Emanuele II in Roma (Inaugurato nel 1912).
“Bagnante china,, (1910), “Risveglio,, (1911),
“L’anfora," o "Fontana della Ciociara" (1912), nel giardino del Pincio;
la Danzatrice velata del Foyer del Teatro Politeama di Palermo, (1914);
"La Danzatrice", collocata nell'atrio del Palazzo della Provincia di Frosinone (1920) opera già esposta a Parigi;
“Fanciulla che si pettina,, (1923); “Donna che corre,, (1924).
Compose anche gruppi di atleti nel 1929 per lo Stadio Nazionale dei Marmi in Roma, raffiguranti i podisti, i lottatori, i pugili e i calciatori.
Monumento ai Caduti della Guardia di Finanza in Roma (1929/1930),
la Portatrice d’acqua della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Numerosi ritratti di donne e bimbi.
Il suo esordio ufficiale avviene nel 1904 all'Esposizione di Roma dove presenta la statua Abele.
Dall’aprile al novembre 1906 partecipa con il bronzo Sulla spiaggia, alla Mostra Nazionale di Belle Arti che si tiene nel Parco di Milano con il Gruppo dell’Unione degli Artisti di Roma.
Nel 1907, viene premiato all'Esposizione romana degli amatori e cultori delle belle arti con il gruppo dal titolo L'ultimo gesto di Socrate.
Alla LXXIX Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma, che si tiene dal 1° febbraio al 30 giugno 1909, partecipa con la scultura Stanchezza.
Nel 1909 partecipa alla VIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura in gesso: Il manuale.
Nel 1910 partecipa alla IX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con: Busto di donna (gesso)
Espone nel 1910 ala LXXX Esposizione di Belle Arti a Roma,: una figura di adolescente: Spiga.
Vince il premio di scultura con l'opera Nudo di donna, alla Mostra di Belle Arti dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911.
Nel marzo 1912 partecipa alla Mostra d'Arte Giovanile di Napoli. con la scultura: La fiaba (bronzo).
Nel 1914 partecipa alla XI Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con le sculture Nudo femminile (marmo), Nudo di donna (bronzo)
Esegue nel 1917 il monumento al generale Carlo Montanari, per il cimitero di Moncalvo (Asti).
Nel 1918 partecipa all' 87.a Mostra degli Amatori e Cultori d'Arte in Roma, con una statuetta in bronzo.
Nel 1920 partecipa alla XII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con le sculture: Danzatrice (bronzo), Ritratto della Principessa Giovannelli (marmo), La signorina Andreozzi (gesso), La freccia - L'arciere (bronzo)
Nel 1920 viene inaugurato alla presenza del Re, Il ‘Monumento agli studenti della Sapienza caduti in guerra’, l'opera si leva a pochi metri dalla scala di accesso alla Facoltà di Giurisprudenza.
Dal 30 marzo al 30 giugno 1921, figura alla Prima Biennale Romana, nelle sale della Mostra retrospettiva napoletana, con la scultura: La portatrice d’acqua.
Nel 1922 partecipa alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con: Medusa (bronzo), La contessa Mocenigo Rocca (marmo).
Figura alla Seconda Biennale Romana, Mostra Internazionale di Belle Arti, che si tiene nel Palazzo delle Belle Arti di Roma, dal 4 novembre 1923 al 30 aprile 1924, con le sculture Angelo, Arciere, Ritratto del Sen. Malagodi.
Partecipa alla Mostra del Ritratto Femminile Contemporaneo, che si tiene dal maggio all’ottobre 1924, nella Villa Reale di Monza, con la scultura in gesso Ritratto della danzatrice Ricotti; e Ritratto in marmo.
Nel 1924 partecipa alla XIV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura: La donna che corre (bronzo)
Partecipa nel 1925 al Concorso per il Monumento a Benedetto XV.
Nel 1926 partecipa alla XV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con le sculture: Ritratto (marmo), Nudo di donna (bronzo)
Dal 15 novembre 1926 al gennaio 1927, è presente alla I Mostra d’Arte Marinara, a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, con la scultura: Galatea (fontana).
Nel 1928 partecipa alla XVI Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura: Danzatrice (bronzo)
Nel 1930 partecipa alla XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura in bronzo: Donna allo specchio.
Nel novembre dicembre del 1930, partecipa alla Prima Mostra Internazionale d’Arte Sacra di Roma, con le sculture: Madonna con Bambino, San Michele arcangelo, S. Antonio e Deposizione.
Esegue numerosi monumenti pubblici a Roma ed in altre località.
Sue opere sono conservate in musei e collezioni pubbliche e private.
AMLETO CATALDI.
Il nome di questo scultore è strettamente legato ad una statua di grandi dimensioni, L’ultimo gesto di Socrate, con la quale l’artista giovanissimo si poneva in gara per la grande medaglia d’oro in una delle Esposizioni degli Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma. Più tardi, un secondo lavoro, A rimbalzello, esposto a Saint-Louis, lo collocava d’un tratto tra i primissimi scultori di quel tempo.
L’arte di Amleto Cataldi fioriva rigogliosa quando I’operosità di Vincenzo Gemito, per la follia dell’artefice geniale, sembrò arrestarsi e quando assottigliata, e quasi dispersa, la scuola dei d’Orsi e dei Belliazzi, l’Italia confidava nelle mani dei suoi giovani scultori la creta, che avrebbe, un giorno, risvegliati nuovi fremiti di vita e di amore. In questo modo, il Cataldi intuiva il bisogno e il desiderio di una moltitudine, aspettante la realtà fresca e la giovinezza pulsante.
La rinascenza scultorea significava altresì il trionfo del ritratto in creta, unico mezzo per conservare le sembianze di un volto adorato e scomparso dalla vita reale. E non furono trascurate le più lievi contrazioni dei muscoli facciali come non fu mai tanto curata e miniaturata la fisionomia.
Il metodo adoperato da Leonardo da Vinci pei suoi giovani pittori della scuola lombarda del 400, veniva, dopo secoli, riconosciuto dai modernissimi scultori. Dipingendo la Vergine delle Rocce, Leonardo insegnava il modo di far risaltare l’ombrato, certo che un fantastico e strano giuoco di chiaroscuri, quand’è bene adoperato, produce risultati ottici addirittura soddisfacenti.
Applicare questo metodo alla scultura e applicarlo, come il Cataldi, con coscienza e misura, significa legarsi alle pure tradizioni della vita e della visuale dell’anima. E noi riscontriamo questa bellezza interiore attraverso una raffinata estetica della forma scultorea. Infatti, le gemme che l’artista incastona sulla creta viva, splendono quasi sempre di luce nascosta.
Amleto Cataldi idolatra il ritratto perché ritiene, e non a torto, che sia la forma più energica e soddisfacente con la quale uno scultore possa esprimersi e la ragione di questa predilezione bisogna ricercarla nel fondo del suo animo, nella febbre che lo prende, nell’operosità che lo tormenta e lo divora. In molti casi della vita di uno scultore avviene spesso che egli sente il bisogno di dedicarsi ad una forma particolare e si concede ad essa per cancellare una condizione di cose terrene e raggiungere in altro modo la realtà concreta della sua vita ideale. La passione che agita, dunque, il Cataldi è fatta un po’ di questo abbandono volontario; e lo spasimo, la melanconia, lo scetticismo che trasudano dai volti significativi delle sue sculture cerebrali, rispecchiano la vita che le ha possedute fin troppo. Del resto, la biografia dello scultore ci conferma pienamente come egli sia venuto tutto dall’uomo.
Amleto Cataldi è uno di quei pochissimi già arrivati da solo, studiando, lavorando, riflettendo, senza maestri, rifuggendo dalle imitazioni e dalle protezioni, sospinto, alimentato da una ferma volontà di arrivare, con nell’anima la fiamma che non si spegne mai: quella dell’arte. Ma per questo, non bisogna confonderlo coi seguaci della moda o coi ribelli di professione.
Egli segue l’impulso tutto quattrocentesco del suo temperamento, mantenendosi, al tempo stesso, fedele alla composta e religiosa disamina del vero. Ha le sue vedute, ma non ne abusa. Non fa consistere l’arte unicamente nella tecnica (della quale usano molti) ma anche e principalmente nel movimento sintetico, che è poi sintesi di linea e, sopratutto, sintesi di espressione. È - così - un poeta della vita, più che un narratore dell’episodio. L’eterna giovinezza dei poderosi scultori del quattrocento, nell’arte di Amleto Cataldi non è né malata né trascendentale. Quella sana e fresca primavera respira da tutte le sue sculture e riafferma nell’artista la bella tradizione napoletana.
Sicuro possessore della plastica veramente scultorea, da questa l’artefice non si lascia mai prender la mano. Se ne serve parcamente, quanto può bastargli per riuscire colorito ed efficace ad un tempo. Non ha predilezioni, come non ha formule stereotipate. Riconosce tutti i mezzi, ma non li impiega che il meno possibile e spesso l'impressionismo a stento risalta ai nostri occhi. Le sculture del Cataldi lo rivelano appena, anzi lo accennano fuggevolmente, quando non lo nascondono del tutto al cospetto della luce e dell’aria che, viceversa, scoprono la larga fattura e le linee caratteristiche dei corpi. Questi effetti egli ottiene senza mezzucci, senza artifizi o lenocini di scuole, erroneamente classificate con nomi che non dovrebbero appartenerci. E l’avvenire, comprendendolo, gli dava ragione.
Nel 1914 manda un Busto di fanciulla all’Esposizione di Londra e a breve distanza di tempo modella il Figliuol prodigo per una mostra romana. Il lavoro piace assai e si vende. Con questo primo successo morale e finanziario, conquista grado a grado i favori della stampa, del pubblico e l’ammirazione delle più severe giurie e commissioni di acquisti. Nel 1916, a Roma, espone quella Figlia del lavoro che Carolus Duran, l’insigne pittore francese e direttore dell’Accademia di Villa Medici a definire un gioiello d’arte e che il Re in seguito, acquistava e teneva per sé. Una riproduzione di questa statua fu fatta per conto di un mecenate genovese Riccardo Cattaneo che la donava al Museo Civico della sua città.
Altre opere seguirono, possenti espressioni del suo impeto giovanile, e da quel giorno fu un continuo succedersi di richieste, di inviti, e di trionfi, di guadagni. Lo troviamo un po’ dappertutto e sempre ai primi posti, robusta incarnazione dell’arte italiana, a Monaco, a Parigi, a Londra, a Bruxelles, a Barcellona, a Buenos-Ayres. Il Municipio di Roma acquista l’Anfora per ornare un lembo del Pincio e in una delle Esposizioni Veneziane, la Galleria d’Arte Moderna di Palermo compra la Danzatrice velata, per la quale Antonio Fradeletto ripeteva recentemente le parole di ammirazione già espresse a Venezia. Contemporaneamente, su 26 concorrenti, vince il posto per insegnante a S. Michele ed è giudicato primo nel concorso per una delle quattro Vittorie del ponte V. Emanuele in Roma, dal quale oggi l’agile statua del Cataldi veglia la gloria della quarta Italia.
Oltremodo interessante sarebbe per noi seguire, assieme allo scultore, il disegnatore, perché Amleto Cataldi è soprattutto un artista completo, ricercatore d’ogni segreta bellezza. Il suo studio che mi rassomiglia alla leggendaria bottega di Jacopo Sansovino, raccoglie una preziosissima serie di disegni, eseguiti in epoche diverse: schizzi, abbozzi, figurine, macchie, nudi espressivi, eleganze mondane, scene colte qua e là nella turbinosa realtà quotidiana.
Questa fantasmagoria di contrasti evidenti ci mostra come Amleto Cataldi, prima di plasmare, ami accennare sul cartone i contorni appena intravisti di un seno opulento o l’ovale di una faccina settecentesca, ammirata a teatro in un palchetto di prima fila. Avviene così che egli porti nel lavoro un senso di scrupolosa responsabilità e una nota singolare di religioso fervore. E il Rodin elogiava appunto questa espressione viva della sua arte, mai disgiunta da una ritmica armonia.
Un altro suo merito è quello di saper tradurre limpidamente anche nel marmo il sonno eterno. Il monumento in tema eroico al Generale Montanari e l’altro in tema sentimentale ai Podestà di Sestri-Levante, raggiungono le vette più alte e luminose del trapasso umano. Egli eleva nel marmo un inno alato alla continuità della vita nella morte. In questo paradosso è inciso il migliore elogio che si possa mai fare della scultura funeraria. Con la maggiore naturalezza possibile, Amleto Cataldi dà al silenzio della morte una specie di silenzio attivo: l’esistenza dell’anima.
Tale è rimasta l’opera dello scultore napoletano, la cui personalità, malgrado l’intensificarsi del lavoro, conserva tuttavia i segni indelebili della prima forza. Ma la passione lo prende e lo piega ai suoi voleri e l’arte acquista una vita quasi celeste, quando egli converte alla propria ispirazione le donne venute dalla Ciociaria e dal Napoletano. Qui l’antico fascino greco si risveglia nei neri occhi, fra le lunghe palpebre, fra le trecce spioventi sul collo niveo. Ed è lo stesso fascino che emana da l’Anfora.
L’opera, infatti, è la purezza della beltà umana ed una bellezza che scaturisce da un gesto semplice. Poche linee bastano a formare questa creatura perfetta; col minimo dei semplici mezzi impiegati, lo scultore raggiunge il massimo dell’effetto. L’Anfora è una scultura d’eccezione perché in essa il soggetto vive e pensa. Le idee trasfuse nella plastica sono un po’ come le melodie risuonanti in una notte di stelle e la materia, più che alla stecca, obbedisce all'ispirazione dell’artista.
Chiunque direbbe questo, osservando specialmente i suoi ritratti e i suoi nudi più significativi. Ho rivisto un ritratto di Francesca Bertini nel quale si uniscono ed armonizzano il
mondo greco-latino, il romanticismo moderno, l’orientalismo, la sonnolenza idealista. E non so che ammirare di più, se la bellezza del volto, lo sguardo fiso e lontano o la tristezza nostalgica.
Ogni linea impressa sulla creta, risponde ad uno stato d’animo tutto particolare. Per esempio, nel ritratto della signorina Lola Ever, un temperamento mai lotta con tanta energia per raggiungere una qualunque libertà d'azioni e possedere la gioia più intensa. L’aspetto di questo ritratto è franco, spensierato, ribelle, pur manifestando, in fondo, una dolce bontà. La diversità di espressione che corre fra il viso della signorina Bertini e quello della signorina Ever, è assai evidente. Ora, in questi contrasti di fisionomie e di caratteri, di luci e di ombre verissime, la scultura di Amleto Cataldi piace e si preferisce di più. Guardate un po' la faccia caratteristica di Cesare Pascarella e ditemi se il grande poeta romanesco non si direbbe rivestito della sua anima.
Ma più che i ritratti, dovrei qui lodare le sue opere di mole che ho vedute nel suo studio e che avrei baciate commosso, col cuore alle labbra; quelle figure riposanti quasi tutte in atteggiamenti diversi, eppure così armonizzanti fra loro.
Rare volte l’ingegno umano può dare una sensazione di rispetto così intenso e strappare, come nella Cieca, calde lagrime di pietà.
Siccome l’umanità non cangerà mai, lo scultore soddisfa quanto più può i dolori, i desideri, i modi, i piaceri che resteranno inalterati eternamente. L’avidità del godimento sensuale e tutto in quel Nudo di donna acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna, come la gioia materna è naturalissima nella Signora Colasanti e il suo bambino, la quale scultura contrasta nella Spiga i primi passi alla precoce infanzia moderna nuda e spregiudicata.
Il trittico che l’avvenire non modificherà mai, è percepito e realizzato dal’acuta penetrazione analitica di Amleto Cataldi. È appunto in ciò che egli assesta la sua personalità e fa consistere lo scopo della ricerca instancabile. L’Anfora, la Danzatrice velata e il Nudo di donna esposto alla Secessione del 1912, sono sculture che si comunicano, come le tre prime, senza comprendersi e che pure non amandosi, si piacciono in silenzio.
Pochi artisti comprendono, come il Cataldi, il linguaggio muto e misterioso dell’estetica delle forme e nessuno meglio di lui sa rendere nella creta informe e massiccia il più piccolo fremito umano.
Nella figura della Danzatrice velata che segue il ritmo della danza, il brio indiavolato del movimento, l’atteggiamento tra il rapito e il pudico, sono sfumature incomparabili, a stento nascoste dalle pieghe scomposte del velo.
Se Amleto Cataldi coltiva il nudo e il ritratto, provocando una stretta unione fra l’animo e il corpo, è segno certo che nella Storia dell’Arte egli non vede di meglio. Lo scultore preferisce la reale bellezza, e il realismo dei nostri giorni di piaceri e di mondanità è davanti ai suoi occhi: senza scrupoli ed ebbro di vita. Eternandolo, il Cataldi ci lascia intravedere una scuola lontana e, forse, vicina che saprà riunire e armonizzare la scuola romantica con la perfezione classica di Antinoo: l’armonia del corpo con l’anima.
Verso questa realizzazione, ci conduce l’arte geniale del fecondo scultore. Francesco Geraci.
(1917 - Francesco Geraci, Artisti Contemporanei: Amleto Cataldi, Milano, Emporium, n, 267 marzo, pp. 162/175).
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1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 67.
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1923 - Seconda Biennale Romana. Mostra Internazionale di Belle Arti, catalogo mostra, Roma, novembre - aprile 1924, p. 45, 46, 111.
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