Reni Ornella

scultrice pittrice
Gonzaga (MN)

Ornella Reni nata a Gonzaga (MN) vive a Como da oltre quaranta anni.

Nel 1987 ha conseguito il Diploma presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose dell'Università Cattolica di Milano.

Ha frequentato la Scuola Professionale di Pittura “Beato Angelico” di Como, dove ha avuto come maestri Perini, Borghi e Radice, apprendendo I presupposti di una ricerca concettuale.

Dal 1980 al 1989 ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, conseguendo il Diploma a pieni voti e lode, con i docenti Spinoccia, Sponziello e Silvestri.

Ha seguito un corso di incisione a Mendrisio (Svizzera) con Piera Zurcher, e un corso di litografia a Como.

La sua formazione artistica si è affinata a Como con la vicinanza dei noti maestri Eli Riva scultore e Ugo Sambruni pittore.

Dopo un periodo pluriennale di volontariato presso l’ex Ospedale Psichiatrico San Martino di Como, Ornella Reni ha organizzato nel 1995 una Mostra delle opere pittoriche realizzate dai pazienti dell’Ospedale, ed ha scritto e pubblicato il libro “Il Giardino incantato – Arte oltre la ragione”: riportandovi con i dovuti commenti le opere dei pazienti ed i suoi disegni.

Per Quattro anni ha tenuto corsi di Arte all’Università Popolare di Como.

Per l’Associazione IL SOLE, sensibile al disagio infantile dei bambini colpiti da violenza, fame, mancanza di sicurezza e serenità, ha offerto sei pannelli dipinti ad olio.

Nel 2015 ha pubblicato il libro “La Vita è Teatro - La speranza e la storia”, che illustra una sua serie di quadri ispirati dalla frase di Shakespeare: “Tutto il mondo è Teatro”.

Dal 1990 ha partecipato a 22 mostre personali e a 11 collettive.

Sue opere sono in collezioni private in Italia, Germania, Austria, Spagna, Svizzera, Inghilterra, Finlandia, USA e Croazia.


Contatti:

Ornella Reni

Via Prudenziana, 10 - 22100 Como


Galleria di riferimento:

Arianna Sartori Arte & object design

Via Ippolito Nievo, 10 - 46100 Mantova


Mostre personali :

1990 - “Nudi”, Torno (CO).

1991 - “La Foglia”, Palazzo Ducale, Mantova.

1997 - “Dialogare con la materia”, Scuderie Gonzachesche, Volta Mantovana (MN).

1999 - “Aspettando Demetra”, Chiostro di Sant'Eufemia, Como, con il patrocinio del Comune di Como.

2000 - “Ricordi”, Al Pendolo, Como.

2002 - “L’Odissea degli Audaci”, Chiostro ex Monastero di Sant’Eufemia, Como, con il patrocinio del Comune di Como.

2004 - “Il Fiore”, Galleria d’Arte Principe Amedeo, Mantova.

2005 - “Infanzia Ferita”, Villa Brernasconi, Cernobbio (CO).

2005 - “Pitture ritagliate”, Galleria Hammer, Regensburg (Germania).

2006 - “Il Genoma Umano”, Galleria Luna, Bolzano.

2007 - “Le Ciotole”, Galleria Hammer, Regensburg (Germania).

2009 - “Lasciate che I bambini vengano a me”, Circolo Culturale òa “Cà di Fraà”, Casnate con Bernate (CO).

2010 - “La Speranza e la Storia”, Galleria Sala Consiliare, Cucciago (CO).

2010 - “La vita è Teatro”, Galleria Erdel Verlag, Regensburg (Germania).

2010 - “Teatrini storici”, Galleria Mosaico, Chiasso (Svizzera).

2011 - “Teatrini storici”, Fiera del Passito, Comune di Volta Mantovana.

2011 - “Le nuvole”, Ente Turismo, Como.

2012 - “Le nuvole”, Museo Diocesano Francesco Gonzaga, Mantova.

2013 - “Bambole”, (aa arte accessibile Milano), Spazio Eventiquattro Gruppo Il Sole 24 Ore, PwC Experience, Milano.

2014 - “L’immaginario delle nuvole”, Galleria Arianna Sartori, Mantova.

2018 - “Lo Sguardo”, Spazio Natta, Como, con il patrocinio del Comune di Como.

2019 - “I sassi parlano”, Terzo Spazio, Como.

2021 - "Il filo della connessione", Terzo Spazio, Como.


Giudizi critici:

“Aspettando Demetra” ed altre storie…

“Scene o figurine come ritagliate nei ripostigli della memoria ed incollate sulle pagine di un fabulistico e malizioso album degli incubi e dei sogni, che diventano metafore delle nostre paure, delle nostre illusioni e delle nostre aspirazioni icarine: il tutto condito con il sale della riflessione ed irrorato da una sottile quanto pungente ironia. Questo ci pare che emerga dal mondo fiabesco e surreale del primo Italo Calvino.

Le sculture e i pannelli di Ornella Reni ci sembra che scaturiscano da un'analoga predisposizione ludica, mentre, però, lo scrittore faceva uso di un materiale di scarto raccolto dalle macerie dell'immaginazione e desunto dalle manipolazioni del lessico, ella ricava i suoi molteplici oggetti-materie (carte, legni, metalli, colori) dal quotidiano, un po' come certi artisti dadaistio del nouveau réalisme, e, prima di plasmarli costringendoli nelle forme del proprio immaginario, li scruta, li ascolta, li interroga, per carpirne un brandello di storia, un'emozione segreta. Entra, in sostanza, in un rapporto simpatetico con i suoi casuali mezzi omogenei, cercando di infondervi un'altra vita, una seconda natura. Ecco, allora, che la "carta", il "legno", il "metallo" e il "colore" diventano quinte ed attori della sua demiurgica fantasia, non perdendo, tuttavia, l'impercettibile valenza del loro remoto ma ormai trasmutato vissuto. E i diroccati od illusori scenari si popolano di donchisciotteschi "cavalieri", che combattono una rocambolesca guerra senza fine; di colorate "teste alla rinfusa", che ci appaiono simili a beckettiani personaggi dell'assurdo; di spaurite e comiche "vestali in offerta"; di patetici e grotteschi "leoni ruspanti"; di mitiche divinità della terra e delle stagioni, che acquistano, nel presente, un significato di ossificata ed immota caducità. Eppure, questa finzione scenica di Ornella Reni, traslata nella levità del gioco e nel distacco dell'ironia, sottende le mistificate e tante volte drammatiche sembianze del nostro arido e disumano momento storico.

E la pantomimasi rovescia in problema”.

Gianni Pre, 1999


Alla ricerca dell’armonia

"L’opera di Ornella Reni è da sempre frutto di una approfondita ricerca, che privilegia la presa di coscienza, la meditazione, l’ascesi anziché l’inseguimento della forma pura e semplice. Fa prevalere l’interiorità sull’esibizione esteriore. Per questo ogni suo impulso inventivo con materie diverse, dalla tela o dalla tavola dipinte ad olio alla scultura a tutto tondo o ai bassorilievi in legno, cartapesta, terracotta, non nasce dalla necessità di tentare tecniche nuove ma di applicare queste tecniche ad altrettanti motivi d’ispirazione. Inoltre, seguendo questa linea di continuità, l’artista si è sempre mantenuta coerente con la sua formazione cristiana, tenendo in massima considerazione i valori della vita in tutte le diramazioni e del destino umano. Ed era quindi logica per lei l’assunzione di un modulo espressivo dalla natura prevalentemente simbolica, nella quale s’inserisce una ritta condensazione di significati.

Il percorso di sperimentazione si dirama in successivi periodi, senza mai perdere di vista l’originaria giustificazione di contenuto: dal richiamo all’immagine della foglia quale metafora dell’esistenza e della sua conclusione, si passa ai ritratti di persone o animali e la loro sublimazione in archetipi mitologici, all’attenzione ammirata per l’armonia intrinseca delle creature floreali. Fra l’uno e l’altro periodo, si è inserita un’esperienza di grande valore umano, l’assistenza dell’autrice a malati psichici insegnando loro ad esprimersi e comunicare attraverso l’arte, con risultati sorprendenti documentati in una pubblicazione.

Plurime attività, suggestioni e stimoli emozionali, vari orientamenti basati su un’unica matrice spirituale, sfociano oggi in un’estrema rarefazione di linguaggio e nell’assunzione di uno spazio astratto che rappresenta invece qualcosa di estremamente concreto, i termini fondamentali dell’esistenza stessa ritrovati nel genoma umano. In esso, nel principio vitale che racchiude i cromosomi dei sessi, l’autrice individua il conflitto di due opposte tendenze dinamiche, che conducono l’una al disordine, l’altra all’ordine, in una dimensione cosmica.

Ed ecco, delineando la possibilità di scegliere un indirizzo di equilibrio nel fermentante caos degli istinti, che l’arte diventa il mezzo più convincente per suggerire la possibilità di una via di uscita, o quantomeno di una speranza della vera pace che dovrebbe regnare nel inondo, affratellando i popoli. Se infatti l’arte, intesa nel senso più nobile del suo esercizio creativo, è quanto si avvicina di più al rispecchiamento dell’armonia che regna nel Creato, il generoso tentativo della Reni di interpretarne il compito salvifico si traduce in una iconografia allusiva, in una scrittura di segni, in una sintesi che si presenta con disarmante semplicità, come un francescano ritorno alle origini. Alle origini, s’intende, dell’arte che comunica valori di perenne importanza sociale, stabilisce relazioni fra le persone, innesca salutari processi di riflessione siili essenza della condizione umana".

Alberto Longatti, 2006


Lasciate che i bambini vengano a me

“In uno dei suoi aforismi lo storico dell’arte tedesco Konrad Fiedler, citando Kant, afferma che si debbano chiamare “arte" solo i prodotti ottenuti in libertà, cioè secondo un atto di volontà posto dalla ragione alla base delle proprie azioni. Secondo questa concezione estetica conta soprattutto l’atto di volontà-l’intenzionalità-dell’autore che così oggettualizza la sua dimensione creativa.

Questa cifra della creatività intenzionale ha connotato gran parte della produzione artistica del secolo scorso.

Dopo le avanguardie “storiche”, che hanno aperto le porte a tutte le creatività individuali, l’arte contemporanea vive in questi territori dove tante soggettive espressioni rivendicano il loro statuto di artisticità.

In questo clima culturale si inseriscono pienamente le ricerche creative di Ornella Reni che da tanti anni percorre gli sterminati territori dell’arte, utilizzando di volta in volta, tecniche e materiali differenti: dalla pittura al disegno, dalla terracotta alla carta pesta, esplorando sentieri espressivi con passione e “ragione”.

Una passione - ragione che non è solo pulsione istintiva, sfogo catartico, ma anche solidarietà con le più profonde tensioni dell’umanità, vicinanza ai suoi limiti ed alle sue grandezze”.

Peppo Peduzzi, 2009


Che gran teatro è la vita

“Ornella Reni dice che i suoi minuscoli palcoscenici, dove ha imprigionato i fatti salienti della storia umana, sono stati ispirati da una battuta scespiriana: "La vita è teatro". Anche Calderon aveva pronunciato in versi una frase simile: "Una recita è in sé l'umana vita". Si può anche ribaltare il concetto e azzardare che il teatro può essere la vita, nel senso (e stavolta il ragionamento è di Claudel) che se nell'esistenza tutto sembra capitare per caso, "Con azioni mutilate, mancate, imperfette" provvede il teatro a dar loro un ordine purchessia, il rigore di una logica consequenzialità. Servendosi anche di un altro procedimento espressivo, che è il linguaggio della poesia, dell'arte, della musica (i teatrini senza peso di Melotti).

Nell'arte con materiali poveri di Ornella Reni la rappresentazione scenica della vita è scandita da eventi e personaggi che hanno fatto rotolare il globo del mondo fino ai nostri giorni.

Una sfilata di eroi, artisti, santi, filosofi, scienziati, teologi, asceti, profeti, capipopolo, martiri di un'idea. E in un percorso parallelo, si evidenziano grandi scoperte, paurosi cataclismi, infortuni e offese alla natura.

Ma con un afflato che sospinge e regge la faticosa ascesi dell'umanità verso un incerto futuro. Un'aspirazione, una speranza di riscatto dal male. Perché dietro questa recita che ci impegna tutti , anche quelli che non ne hanno coscienza, s'intravede il gesto supremo di un Regista. Ornella Reni, e con lei le persone che levano gli occhi al cielo scavalcando gli ostacoli terreni, si affida alla sua misericordia, sentendosi parte di un progetto che trascende le miserie della quotidianità. Pur sempre teatro sì, ma oltre la vita”.

Alberto Longatti, 2010


Nuvole

“«Vanno, vengono e ogni tanto si perdono/per una vera/ mille sono finte...». Così, le nuvole (o le "nubi" in termini meteorologici) in una suggestiva poesia di De Andre, recitata con voce grave da Fernanda Pivano. Le nuvole, che cambiano colore col variare della luce solare («In niul rösa cun di buff de scür/ch’j passa su Milan nel scend la sera», Franco Loi). Le nuvole, sbuffi di vapore acqueo che paiono fiocchi di bambagia nel ciclo dei mattino d’estate o distese di panna montata dai finestrini degli aerei. Le nuvole, candide figure cangianti nello spazio. Le nuvole, baluginanti come pensieri nella mente dei poeti. Le nuvole, nebbiose visitatrici dei sogni.

Tutto questo, colte dallo sguardo nella realtà quotidiana e trasformate in esempi della mutevolezza, possono essere per ciascuno le nuvole. Ma Omelia Reni non s’accontenta dell'effimera apparenza onirica, vuole imprigionare l'attimo faustiano, farlo concretamente suo. Ed ecco che le nuvole diventano, grazie al suo intervento mediatore, qualcosa di tangibile, di malleabile, di palpabile. Non più sogni, ma forme immaginose, talora inquietanti, calate nel quotidiano, interrelate ma non coniugate a ciò che ci circonda. Creazioni di un mondo parallelo, tecniche miste che fingono talora strutture molecolari o galassie, intrecci di nastri o vortici di materie filamentose, insetti multicolori emergenti dal suolo o morbide meduse flottanti in una sorta di acquario astrale.

"Sogni indefiniti", l’artista ne giustifica così l’evocazione. Ma la loro ambigua natura fa intuire che alludono ad altro: non semplici capricci da laboratorio creativo, bensì segni di una metamorfosi costante delle cose umane, dell’evoluzione o della decadenza, dell’incostanza, in un tempo che si consuma. Come la vita”.

Alberto Longatti, 2014


I sassi parlano

"I sassi sono frammenti di qualcosa di più grande, per questo ci attirano. Misteriosi e solidi hanno sempre qualcosa da dirci, una storia antica che dobbiamo scoprire, fatta di fedeltà assoluta, affettività e relazione. Chi da bambino non si è infilato, furtivamente, un sasso in tasca e l'ha conservato per ritrovarlo, poi, nell'età adulta, testimone di un passato.

Ornella Reni interroga i sassi, ci gioca, li unisce e li scompone come fossero tasselli irregolari di un mosaico senza fine. Si lascia affascinare dalla materia e dal simbolo, nelle sue creazioni le pietre diventano abbracci, strade da percorrere o già percorse. Sono piccoli racconti di vita, un ciottolo, incontrato per caso, si trasforma nell'abbraccio del Padre. Su una pietra il corpo inerte di un dormiente, di cui non conosciamo l'identità, né la ragione della stanchezza, ci comunica che è oppresso dalla fatica di vivere. Nell'icona che l'artista ha scelto per annunciare la sua mostra, carta, colori, sassi, questa volta dorati, svelano la bellezza del dettaglio: spesso è nel frammento, nel particolare che si compie l'armonia dell'attimo. Per rappresentare la storia della pietra, Reni sceglie di esporre trenta quadri e alcune sculture; un viaggio millenario per arrivare ai pochi attimi che l'uomo vive nella completezza - se la trova - della sua esistenza. Ecco, quindi, "Preistorici murales" dove lo slancio oltrepassa lo spazio e il tempo. Ne "Il libro più antico" la pietra invita alla lettura. Tanti sassi su cartapesta e sabbia raccolgono"! doni del mare". Fatica, leggerezza, ricerca nel quadro "Anelito alla libertà", c'è un tocco di squisita ironia, quasi "british", non dichiarata ma

sospesa, a volte è proprio nello sforzo della conquista, in questo caso una vetta, a renderci liberi; dall'alto tutto si fa più piccolo e leggero. Singolari connessioni affollano uno spazio perché ognuno di noi cerca, si perde e si ritrova senza una reale logica se non quella del desiderio; nello scambio ci arricchiamo.

La vitalità di Ornella Reni, la voglia di pensare e creare sono protese alla ricerca dell'altro. Narratrice instancabile, donna capace di ascoltare, sa riconoscere in tutti quelli che incontra il valore del loro percorso personale: tanti, piccoli sassi in un frammento d'umanità. Consapevole e stupita dell'importanza di "vivere"."

Grazia Lissi, 2019


Il filo della connessione

“È con autentico stupore che ci si avvicina alle opere di Ornella Reni, artista che esprime con la sua arte il desiderio di conoscere e di comprendere la realtà che ci circonda. Lasciandosi guidare da uno sguardo di curiosità privo di preconcetti, proprio come quello di un bambino che si affaccia per la prima volta sulla realtà, Ornella Reni comunica, attraverso le sue opere, uno stupore iniziale in grado di esprimere sentimenti autentici.

A guidarci in questo piccolo viaggio tra le opere dell’artista sono due sculture che inaugurano il percorso della mostra. La prima, dal titolo Omino curioso, simboleggia la curiosità dell’uomo che volge il suo sguardo verso le meraviglie dell’universo, alla continua ricerca di una risposta che dia un senso alle sue domande esistenziali: in quest’opera è subito evidente il contrasto tra la natura umana e ciò che è fabbricato dall’uomo, contrapposizione che ritroveremo in altre opere di Ornella Reni. La seconda scultura, dal titolo emblematico II filo fiorito di Arianna, appare come simbolo della creatività e della generatività femminile: la fanciulla scolpita appare in dolce attesa e la dolcezza del suo sguardo sembra un invito a seguire quel filo in grado di condurre al di fuori delle insidie del mondo. Seguendo simbolicamente il filo d’Arianna, e lasciandoci alle spalle le due sculture, le opere di Ornella Reni offrono una riflessione sul senso della nostra esistenza, senza mai tralasciare quella dimensione trascendente che viene intuita da chiunque sia in grado di guardare il mondo con lo stupore autentico di un bambino. Ecco che allora nelle tele dell’artista ritroviamo la grandezza dell’universo, la maestosità del cielo e la luminosità delle stelle, così come la bellezza dell’intera natura che ci circonda, sempre posta in relazione all’uomo, a ciò che noi siamo. È possibile così ritrovare nelle tele di Ornella Reni il modo di sentire, i sentimenti e gli affetti di ognuno di noi non come entità lontane e astratte, ma come parti integranti di quell’universo di cui tutti facciamo parte.

È l’artista stessa a svelarci quel «mistero dell’io» tanto ricercato, che sembra annidarsi in quelle zone d’ombra che possono essere rischiarate solo dall’amore: da quegli abissi oscuri e viscerali vengono alla luce sentimenti autentici, che Ornella Reni, grazie alla sua creatività femminile, è in grado di mostrare nelle sue opere”.

Manuela Moretti, 2021

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