Il pittore Eugenio Cisterna
Eugenio Cisterna al referendum sui criteri che devono regolare l’arte cristiana, bandito da questa Rivista nel 1913, rispondeva fra l’altro: «Là dove lo stile lo permette, ritengo che il pittore cristiano debba ispirarsi ai grandi esempi che nelle antiche basiliche ci hanno lasciato i primi maestri cristiani dell’arte. Io penso che niente meglio corrisponda al sentimento cristiano delle grandi concezioni pittoriche decorative di quei maestri che con impareggiabile senso armonico trattarono la loro arte come una preghiera ed una missione». In queste parole si può dire si condensi tutto il programma artistico del pittore romano, del quale voglio brevemente trattare, accogliendo l’invito della Direzione di questa Rivista, e, lo dico subito, lo faccio con quel piacere che si prova illustrando l’opera di un valoroso artista e al tempo stesso di un caro amico.
Eugenio Cisterna può considerarsi romano, perché nato a Genzano, a poche miglia dalla città, nel 1862, da giovinetto si recò a Roma ed ivi compì i suoi primi studi di disegno sotto la guida del prof. Virginio Monti, pittore di soggetti sacri, che tuttora opera onorevolmente, e col quale doveva poi stringere anche vincoli di parentela. Egli fece così anche in questo la strada dei maestri antichi; niente accademie, niente scuole, ma lo studio pratico fatto direttamente alla bottega di un artista, liberamente scelto per affinità spirituale. Il giovane avido di imparare studiava con passione l’antica arte cristiana, la sua tecnica, e l’ingenuo simbolismo che ne costituisce un fascino così grande, mentre si esercitava di continuo disegnando fregi e xilografie per le edizioni elzeviriane che in quegli anni erano di moda. Il primo frutto di questo suo intenso lavoro di preparazione (tralasciando un sipario per il teatrino di San Giorgio al Velabro, con la figura del Santo a cavallo non privo di vivacità) fu la decorazione della cripta della Chiesa di S. Agnese in piazza Navona, eseguita tra il 1885-86. In quelle figurazioni di fatti della vita della Santa e dell’Apocalisse il giovane artista mostrò di essersi tanto immedesimato nello spirito dell’antica arte cristiana, che il grande archeologo Giambattista De Rossi giudicò necessario collocare nella cripta un’iscrizione attestante la data recente delle pitture, affinché taluno non cadesse in errore credendole antiche. E tuttavia l’epigrafe dettata dal De Rossi medesimo non bastò, perché pochi anni fa certi studiosi stranieri volevano sostenere di fronte allo stesso autore ch’egli non aveva eseguito di nuovo quelle pitture, ma che doveva essersi limitato a ritoccare antichi affreschi.
Passò poi a decorare la cripta della nuova chiesa di S. Gioacchino, questa volta senza però imitare modelli antichi, ma dando prova del suo spirito d’invenzione. In questa e negli altri dipinti del primo periodo dell’artista, che si può dire vada fino all’anno 1900, si nota l’influsso della sua educazione, che lo riattacca a forme della vecchia scuola romana della seconda metà dell’ottocento. Così può dirsi dei dipinti della chiesina della S. Famiglia al Macao, di S. Vincenzo delle Suore di Carità in S. Alfonso, nell’antica basilica di S. Agnese sulla Via Nomentana, nelle chiese del Corpus Domini e di S. Giuseppe sulla stessa Via, nella cattedrale di Anagni e in altri luoghi minori.
Attraverso questa numerosa serie di opere che dimostrano l’infaticabile attività di Eugenio Cisterna, si può notare l’affermarsi sempre più deciso della sua personalità perché è facile osservare come egli pur mantenendosi fedele alle regole della pittura sacra e a certe restrizioni imposte dallo stile architettonico delle chiese dove lavora, non soffoca per questo la propria ispirazione. In quel suo breve scritto sull’arte che sopra abbiamo ricordato il Cisterna esprime anche questo pensiero: «Credo che l’artista che tratta la pittura religiosa non possa sempre manifestare in modo assoluto e sincero la propria personalità artistica, che cioè egli in arte non possa sempre dare libero sfogo alle proprie concezioni ed inclinazioni. Tuttavia è necessario ch’egli abbia in sé tale sensibilità d’animo da comprendere, gustare ed amare tutte le rette manifestazioni religiose e farle proprie.
Per quanto riguarda la pittura murale e decorativa, occorre poi che l’artista sappia adattarsi all’ambiente architettonico, tanto più poi quando non si tratti di una semplice riproduzione od imitazione moderna, ma di un edificio sacro veramente originario».
Pure partendo da questi principi, il Cisterna non ha potuto costringere la propria personalità, e per quanto egli stesso e i suoi committenti volessero comprimerla, essa balza sempre fuori su qualche tratto o in qualche figura delle sue opere. A prima vista sembra che le composizioni delle grandi absidi delle cattedrali e delle chiese antiche e moderne da lui decorate, obbediscano a un rigido schema storico e tradizionale: ma poi osservandone i particolari, vediamo subito come le figure atteggiate a movimenti convenzionali hanno nei volti espressione viva e moderna.
Tutte le opere del secondo periodo, che potremmo datare tra il principio del secolo, e lo scoppio della guerra, sono una prova di quanto abbiamo detto, e sono lavori numerosi e importanti per mole, interi cicli di affreschi e di tele che rivestono chiese e cappelle, tanto da darci l’impressione di un’attività davvero formidabile del maestro che lavorò e lavora anche oggi sempre da solo, senza veri collaboratori.
Fu coll’inizio del secolo che il Cisterna intraprese i lavori del Santuario di Maria Bambina a Milano, e della cripta della nuova chiesa del Corpus Domini in quella città; poi dipinse cinque absidi del duomo di Piacenza e ivi pure la chiesa del Carmelo; diede i cartoni per tutti i mosaici della Cappella Italiana a Lourdes, dedicata alla Pentecoste, e si recò poi sul luogo per verificarne e correggerne l’intonazione (1). Ancora a Milano affrescò l’abside della chiesa di S. Eufemia e di una cappella a S. Lorenzo alle Colonne, dedicata alla Madonna di Lourdes. In seguito dipinse nel Duomo di Treviglio e nella chiesa degli Angeli a Monza. A Venezia decorò una cappella per le suore della Venerabile Capitanio, ed a Napoli la cupola della chiesa di Piedigrotta. Nella cattedrale di Sinigaglia dipinse la cappella del Santissimo; a Trento le chiese del Collegio Ginnasio, e del Seminario Teologico ; a Rovereto l’abside della chiesa di S. Maria. A Milano nel 1910 iniziò con il grande affresco dell’abside la decorazione della chiesa superiore del Corpus Domini, dove dipinse poi la cupola e le pareti, e tuttora va attivamente operando.
A Predazzo nel Trentino decorò riccamente la chiesa, e dipinse a Milano in S. Calimero e nella chiesa dei Gesuiti, e nell’abside del Santuario di Caravaggio, ad Arenzano l’abside del Santuario del Bambino di Praga. Nella cattedrale di Siracusa eseguì il restauro della cappella del Sacramento e nella Cattedrale di Albano due grandi quadri.
In tutte queste opere appare sempre chiara la derivazione romana di Eugenio Cisterna, che a Ferentino, al Corpus Domini e a S. Eufemia di Milano, a Rovereto si ispira alle grandi composizioni di musaico nelle basiliche di Roma; ma dentro le linee obbligate dal soggetto, egli spira un sentimento personale e moderno, cosi che la stilizzazione è solo apparente, e le sue Madonne, i suoi Santi, i suoi Apostoli, sono studiati uno ad uno con atteggiamenti caratteristici ed espressione tutta propria. L’opera di questo periodo più felice fra tutte le altre è la cappella di Maria Bambina a Milano.
Il dipinto della Presentazione della Madonna al Tempio è un vero capolavoro, e forse ci fa rimpiangere che troppe volte l’artista abbia dovuto trattenere la sua libera ispirazione per ubbidire ai canoni della tradizione per cui, pur mantenendosi il quadro, come naturale, in una grande compostezza, non vi è nulla di artificioso. Evidentemente l’artista dipingendo sopra tele un vero quadro che fa a sé, e non una decorazione, si è sentito perfettamente libero. Sotto l’arco della iconostasi il sommo sacerdote bonario, si curva accogliendo la piccola Maria, che tutta bianca s’inginocchia avanti a lui; la segue Anna quasi trepidante, e il vecchio Gioacchino s’inginocchia devotamente. Tra i pilastri si affacciano candide figure di giovanette, alcune delle quali ritraggono le sembianze delle figlie dell’artista, e tengono in mano steli di giglio; è tutto un quadro di innocenza e di freschezza, una delle più soavi composizioni della pittura religiosa dei tempi nostri. Quest’arte come tutti possono constatare, forma quasi una corrente a parte nel grande e variato incrociarsi delle tendenze artistiche contemporanee: il timore delle autorità ecclesiastiche di ammettere nelle chiese manifestazioni d’arte troppo moderne, il peso della tradizione secolare, fanno sì che la pittura sacra si tenga appartata e non segua il rapido passo dell’arte, indugiandosi su vecchie forme di maniera. Per questo molti ripetono che l’arte religiosa oggi è morta, mentre l’esempio dato dal Cisterna nella cappella di Maria Bambina ci mostra quale fonte tuttavia fresca di ispirazione nuova siano per un artista vero i soggetti delle sacre Istorie.
Anzi, la pittura religiosa quando fosse coltivata da veri artisti e non da mestieranti, sfuggirebbe alla triste sorte della maggior parte della produzione artistica contemporanea, che troppo spesso non ha scopo alcuno, che è fatta per la vita breve di una esposizione, per cadere poi nell’oblio, giusto castigo della sua inutilità. Un pittore come il Cisterna ha avuto invece sempre la fortuna di lavorare per uno scopo determinato, e per un luogo stabilito, potendo così rendersi conto delle necessità di luce e di spazio, non creando opere d’arte nell’ambiente casuale del suo studio.
Seguendo la sua via, ancora oggi il nostro artista continua ad operare senza posa, con ardore giovanile. Durante la guerra decorò le nuove parrocchie di Legnanello e Legnano, e in seguito, a Milano, la cripta in onore dei Caduti nella basilica di Santa Croce; nel Belgio, a Courtrai, dipinse e decorò la chiesa di S. Giuseppe, e ancora a Milano le cupole della nuova chiesa di S. Agostino e la nuova chiesa di S. Camillo, mentre a Reggio Calabria ha iniziato una decorazione della cattedrale costruita dopo il terremoto.
Accanto a questa sua attività nel campo della pittura sacra (devesi ricordare anche una Via Crucis, pure fatta per una chiesa di Courtrai) Eugenio Cisterna ha operato ed opera con grande successo come decoratore di palazzi e di ville, specialmente a Roma dove con sicuro gusto interpreta lo stile dei nostri decoratori del sei e settecento, o in forma moderna imprime nobile suggello d’arte a dimore signorili, riattaccandosi anche in questo alla gloriosa tradizione italiana dei secoli passati. In questo campo si può dire che egli si sia creata in Roma una fama altrettanto grande di quella che, con la sua feconda genialità creativa, egli si è conquistata in Italia e all’estero per le sue pitture religiose.
ANTONIO MUNOZ
(1) Ci piace far notare l’importanza della Cappella degli Italiani a Lourdes. In quella terra fortunata, satura di fede ma assolutamente priva di ogni senso d’arte i musaici del Cisterna accanto alle altre pitture più che mediocri, hanno l’importanza di capolavori e fanno veramente onore alla nostra patria.
Bibliografia:
1924 - Antonio Munoz, Il pittore Eugenio Cisterna, Milano, anno XII, n. 12 dicembre, pp. 339/346 ill. pp. 347/353 ill.