Luigi Somensari nasce a Mantova il 15 febbraio 1896.
Frequenta i corsi del prof. Marusi alla Scuola d’Arte di Mantova. Nel 1912 riceve una borsa di studio Franchetti di L. 400 per frequentare gli studi accademici. Si iscrive prima all’Accademia di Belle Arti Cignaroli di Verona poi si perfeziona a Venezia. Nel dicembre 1915 e gennaio 1916 partecipa alla “Mostra Artistica Mantovana pro mutilati e orfani di militari caduti in guerra” al Palazzo Ducale di Mantova con dodici dipinti. Dopo la prima guerra mondiale, nel luglio 1920, sulla rivista mantovana “Procellaria”, viene riprodotto il suo dipinto Rio di Mantova (Guazzatoia); nel mese di ottobre figura all’“Esposizione del Paesaggio Italiano” di Gardone (BS). Nel maggio 1921 partecipa alla “Mostra Artistica Mantovana” nel Palazzo Ducale di Mantova. Nel settembre dello stesso anno partecipa con “molte buone tele”, tra le quali: Piazza delle Erbe, Il Rio lungo l’Arsenale, Ponte S. Giorgio, alla “Mostra artistica” nella sede della Famiglia Artistica Mantovana, in Piazza Castello a Mantova.
Muore giovanissimo, reduce della Grande Guerra, il 2 giugno 1922.
Nel 1939 viene ricordato alla “Mostra dei Pittori, Scultori e Incisori Mantovani ’800 e ’900” al Palazzo Te di Mantova con una sala dove vengono esposti venticinque dipinti; in quell’occasione il Presidente della Provincia di Mantova acquista il dipinto Paesaggio, per la costituenda Galleria d’Arte Moderna. Gli viene dedicato uno spazio nel quale sono esposti i dipinti La Lunetta con la neve, Porto catena e Palude mantovana, nell’ottobre 1950, alla “III Mostra Provinciale d’Arti Figurative”, organizzata dagli Indipendenti, nel Palazzo della Ragione di Mantova, nell’ambito delle mostre postume.Dal 25 settembre al 31 ottobre 1961, vengono esposte sedici opere alla “Rassegna Arti Figurative Mantovane dall’800 ad oggi”, tenutasi alla Casa del Mantegna di Mantova. Dal 3 al 18 febbraio 1990 sue opere sono esposte alla mostra “Collezionismo mantovano: dall’800 sino ad oggi”, che si tiene nelle Sale del Circolo La Rovere di Mantova, la mostra è a cura della Galleria Tiziano di Mantova. Nel dicembre 1995, viene tenuta un’importante “Asta di quadri di pittori mantovani del ’900”, a cura della Sovemo di Mantova: il dipinto di Somensari Rio di Mantova risulta l’opera più quotata. In occasione della mostra “Artisti mantovani del primo Novecento”, ordinata dalla Galleria Arianna Sartori - Arte di Mantova, dal 12 novembre al 7 dicembre 1996, è presente con un prezioso Paesaggio di Bosco Fontana di Mantova. Figura con i dipinti Veduta di Mantova del 1916, Paesaggio invernale del 1920 e Rio di Mantova (Guazzatoia) del 1920, alla Mostra, “Arte a Mantova 1900-1950”, curata da Zeno Birolli, al Palazzo Te di Mantova, dal 26 settembre 1999 al 16 gennaio 2000. Il giorno della chiusura della mostra, gli Amici di Palazzo Te donano alla Collezione Civica d’Arte Moderna di Palazzo Te l’opera Paesaggio Primaverile di Luigi Somensari, con una cerimonia alla quale intervengono Zeno Birolli, Gianfranco Bruno, Sergio Cordibella e Franco Piavoli. Nel 2002 il suo dipinto Porto Catena viene esposto alla mostra “Pittura mantovana degli anni Trenta e Quaranta”, presso la Galleria Principe Amedeo di Mantova. Dal 9 novembre al 14 dicembre 2014 il suo dipinto Tetti di Mantova viene esposto alla rassegna “Cento anni di arte mantovana dal secolo breve ai nostri giorni”, presso la Casa Museo Sartori di Castel d’Ario (MN). Dall’8 novembre al 20 dicembre 2015 il suo dipinto Ponte di S. Giorgio - Temporane (1922) viene esposto alla rassegna “MantovainArte2015. 1° regesto artistico mantovano”, presso la Casa Museo Sartori di Castel d’Ario (MN). Dall’11 marzo al 15 aprile 2018 il suo dipinto Porto Catena (mantova) (1920) viene esposto alla rassegna “l’Arte tra paesaggi e periferie”, presso la Casa Museo Sartori di Castel d’Ario (MN).
Bibliografia essenziale:
1915 - Mostra Artistica Mantovana pro Mutilati e Orfani di Guerra, catalogo mostra, Mantova, Palazzo Ducale. 1939 - Alfredo Puerari, Mostra dei Pittori Scultori Incisori Mantovani, catalogo mostra, Mantova, Palazzo Te. 1961 - Rassegna Arti Figurative Mantovane dall’800 ad oggi, catalogo mostra, Mantova, Casa del Mantegna. 1965 - Ercolano Marani e Chiara Perina, Le Arti, volume III, Istituto Carlo D’Arco, Mantova. 1974 - Maria Gabriella Savoia e Adalberto Sartori, a cura di, Dizionario dei Pittori Mantovani, Volume I, Mantova, Sartori Editore. 1983 - Renzo Margonari, Dal Mincio al Naviglio e ritorno, catalogo mostra, Gazoldo degli Ippoliti. 1998 - Francesco Bartoli, Pittura a Mantova nei primi cinquant’anni del Novecento, Mantova, Arcari. 1999 - Adalberto Sartori e Arianna Sartori, Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX, Dizionario biografico, volume VI, Archivio Sartori Editore, Mantova. Renata Casarin, Schede biobibliografiche, in “Arte a Mantova. 1900-1950”, Zeno Birolli, a cura di, Electa. 2012 - Arianna Sartori, Catalogo Sartori d’arte moderna e contemporanea, Mantova, Archivio Sartori Editore, p. 405. 2014 - Cento anni di arte mantovana dal secolo breve ai nostri giorni, a cura di Arianna Sartori, Mantova, Archivio Sartori Editore. 2014 - Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea 2015, a cura di Arianna Sartori, Mantova, Archivio Sartori Editore, p. 198. 2015 - MantovainArte2015, a cura di Arianna Sartori, Mantova, Archivio Sartori Editore. 2016 - Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea 2017, a cura di Arianna Sartori, Mantova, Archivio Sartori Editore, p. 137. 2017 - Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea 2018, a cura di Arianna Sartori, Mantova, Archivio Sartori Editore, p. 224. 2018 - l’Arte tra paesaggi e periferie, a cura di Arianna Sartori, presentazione di Maria Gabriella Savoia, catalogo mostra, Castel d'Ario, Casa Museo Sartori, Mantova, Archivio Sartori Editore, pp. nn.
Giudizi critici:
Ricordo di Luigi Somensari
“È venuto il momento opportuno per buttar giù due righe anche per te, Gigetto, e per l’opera tua di pittore. E, per strade a noi ignote, ecco farti avanti con la teoria, della tua produzione quasi lasciata a metà, perché qualcuno fra i tuoi contemporanei si avvedesse del tuo talento e ne parlasse degnamente. Sì, Luigi Somensari conosceva bene i segreti dell’arte; e il colore dei suoi quadri portava come l’espandersi lieve dei suoi cieli. C’era nella sua vena pittorica il trionfo del sentimento, fatto come libero da una capacità introspettiva di marcato rilievo; anche se per lui il cammino dell’arte apparisse ingombro di tanti sacrifici, di tante delusioni. Provvisto com’era di uno spirito elevato e di un’anima buona, gli fu facile far risplendere la sua natura di sogno: esile sul dolore che fu molto, infaticabile nella sua genialità operosa.
Somensari possedeva molta grazia e gentilezza nel dipingere e sapeva tradurre con anima semplice, con tocco tutto particolare, ciò che ispira di pace, di bellezza, di consolazione questo piccolo mondo in cui viviamo, ora ridotto pressoché senza respiro. Ma queste eccellenti doti, anche per la giovanissima età, che lasciava prevedere un discreto periodo di lavoro, l’artista non valutò bene. Preferì forse, per il suo temperamento stesso, accodarsi a quell’umile schiera d’artisti che passano soli, inosservati dall’una all’altra tappa delle loro conquiste spirituali; attraverso il cammino di una scienza fatta loro da una misteriosa forza intuitiva.
Il povero «Gigetto» ebbe tuttavia molti amici fra i colleghi, cioè i pittori: Belluzzi dalla Mainolda, Celada, Guindani, Minuti, Monfardini, Cavicchini, Polpatelli ed altri ancora, che gli vollero veramente bene. Pochi, nella Mantova di una quarantina di anni fa, non conoscevano, anche per il suo aspetto fisico, Gigetto Somensari. Com’era possibile non incontrarlo, al «Madella» o vederlo magari seduto in qualche modesto locale allora di centro, dove la bolletta e la poesia eran allegro segnacolo di eterna bohème? Chi di quel tempo non ricorda le sue partite a biliardo e la sua fame da lupo? In qualsiasi ora del giorno egli era famelico; gran contrasto tra l’esigenza del corpo e quella di uno spirito fondamentalmente sereno e candido che s’appagava di nuvole e di fantasie.
Torna piuttosto difficile in «Gigetto» un taglio netto fra le risorse della sua indole e quelle della sua vita d’artista: l’una investe l’altra. Quale è più vivo nella memoria, il temperamento d’artista o la sua capacità d’artista? È certo che Somensari fu pittore di spiccata personalità e di impegno tuttora valido. Ciò può bastare a definirlo sul piano artistico. Si può dire ancora di lui, per le notizie di cronaca, che la sua vita fu breve, anzi brevissima.
Egli nacque a Mantova il 15 febbraio 1896 e vi morì a 26 anni: il 2 giugno 1922. Frequentò la “Cignaroli” di Verona e quella di Venezia. Morì, così ci dicono, per malattia contratta, nella guerra 1915-1918. Le sue notizie sono tutte qui: portò la tavolozza da San Giorgio a Mulina, riversando nei quadri tutto il suo affetto per il paesaggio mantovano in genere.
Non partecipò ad esposizioni. Appena finito un dipinto, il più delle volte, per sopperire alle necessità quotidiane, era costretto a vendere all’ammiratore. Di modo che gli fu tolta ogni possibilità di intervenire alle mostre, di farsi conoscere per quello che valeva. Preferì l’affetto e la stima dei suoi abituali collezionisti, taluno dei quali anche buon intenditore di cose d’arte e mecenate.
«Gigetto» Somensari lasciò la fama all’avvenire e fu chiara fama. Perché, col colore, egli parlò il linguaggio limpido di una limpida prosa ma talvolta anche di una suggestiva poesia. Purtroppo la sua produzione, che fu esigua, andò sparpagliata qua e là, custodita nell’una o nell’altra delle case amiche. E questa fu tutta l’umana sua gloria.
Forse «Gigetto» amerebbe pensare che anche per lui sia rimasta una piccola stella. Una stellina umile e pia, che tutte le sere si accenda su quella minuscola parte di cielo che gli segna la tomba”.
Amedeo Pinelli, da "Gazzetta di Mantova", 4 novembre 1956
Fra Ottocento e Novecento. Gli elegiaci.
“Dalle seduzioni novecentesche seppe mantenersi lontano un gruppo di artisti mantovani nati sul finire dell’Ottocento: Luigi Somensari, Guido Resmi, Francesco Vaini, Alfonso Monfardini.
Luigi Somensari (1896-1922) è di questa temperie un interprete sensibile e raffinato. Sceglie paesaggi e soggetti consueti: l’anconeta, il vecchio ponte di S. Giorgio, il ghetto, le lavandaie, il tramonto sul lago, canneti, piccolo paesaggio palustre (tav. 392): spunti evocati con un’intonazione di mesta elegia.
Somensari sa esprimere con rara freschezza, senza mai indulgere all’episodico e al caratteristico, il placido respiro delle acque, il pulsare delle linfe sulle rive verdeggianti, i toni crepuscolari di un paesaggio opaco, immerso in un’atmosfera immemore.
Gli strumenti di questo linguaggio sono tutti nella scelta meditata della luce, che inclina a vibrazioni vesperali, e nella sensibilità degli accordi cromatici. Tenta infatti il pittore sottili accostamenti di azzurri e di verdi, che trascolorano nella blanda luce delle aurore e dei tramonti; oppure coglie calde tonalità nei bianchi delle nevicate, nei gialli fermentanti delle vegetazioni lacustri.
Solo nel paesaggio di Defendi Semeghini è possibile riscontrare un sentimento tanto attento e liricamente commosso alle più segrete variazioni delle atmosfere. Altre parentele non sapremmo trovare per Somensari che affonda le sue radici in un «humus» schiettamente mantovano.
È facile trovare i limiti di questa esperienza pittorica: che fu certo provinciale, frammentaria, se si vuole: ma che offre tuttavia la prova di un’autentica vocazione e altresì la garanzia di una coerente integrità espressiva.
Chiara Perina, da “La storia di Mantova - Le arti” (vol. 3°), Istituto C. D’Arco, 1965
"Somensari
dipinge con immediatezza, servendosi in genere di superfici quadrate per meglio
raccogliere la tenue atmosfera di un’ora incerta. Persegue il non finito che
armonizza tonalmente accordando i colori in una rapida tessitura di tratteggi,
virgolettature e barre. Ogni dipinto, è stato osservato, alimenta il
successivo. È abbozzo anticipatore, istante sensibile che prepara una serie
d’altri abbozzi in cui si manifesta una stuporosa contemplazione di cose
semplici volta al crepuscolare (Emilio Faccioli). Tutto ciò in pochi anni e per
via di incompiuti, di opere “aperte”. Somensari scompare all’improvviso nel
’22, ma quel che lascia è un altro seme, dopo Defendi, da ripianare. Difatti è
subito gettato nel terreno e perfino accolto dagli artisti arrivati. (…)"
Francesco Bartoli, da "Pittura a Mantova nei primi cinquant’anni del Novecento", Mantova, Arcari, 1998
Luigi Somensari che dipinse molto e visse in fretta
“Tra gli artisti mantovani troncati ancor giovani, mentre la loro ricerca estetica era nel pieno del divenire ma già aveva acquistato un’alta e meritata reputazione magistrale, credo meriti un podio a sé Luigi Somensari (Mantova, 1896-1922). I maestri già affermati erano con lui particolarmente affettuosi, chiamandolo Gigetto per viva simpatia e per la mitezza del carattere e anche rispetto per la sua arte.
Era una figura fisicamente esile ma aveva una forza formidabile nella pittura che esprimeva con un tocco perentorio, rapido e materia cromatica densa, luminosa, capacità di sintesi straordinaria. Forza morale, anche, nel porsi fuori da gruppi e convenzioni estetiche vigenti, libero da mode culturali, seguendo senza compromessi la propria vena poetica come pittore di paesaggi inquadrati sensibilmente in maniera originale. Fin dall’inizio fu in grado di esprimere una personalità pittorica indiscutibilmente d’alto profilo. È ricordato come un bohémien, povero e sempre in cerca di cibo.
Dopo aver appreso dall’ottocentista Giuseppe Marusi alla Scuola d’Arte locale, con quattrocento lire della Borsa Franchetti (1912), va all’Accademia “Cignaroli” di Verona come tanti artisti mantovani e si perfeziona all’Accademia di Venezia. Ignoro chi furono i suoi docenti. Non importa, perché il giovane segue il proprio istinto in sintonia con l’umida atmosfera malinconica della Mantova inizio XX secolo.
Già dai primi lavori Luigi ostenta una sicurezza impressionante nel definire ampie vedute eliminando i dettagli. Dipinge alla prima, dal vero, senza ripensamenti come un pittore veterano. Impiega cartoni che prepara da sé a gesso e colla. Si dedica parecchio al paesaggio urbano, cercando angolazioni e luoghi non molto trattati dai colleghi, ma soprattutto ama il paesaggio limitrofo al di là dei laghi. Anche i suoi primi estimatori e commentatori percepiscono e accolgono la sensualità poetica del suo fare. In proposito, qualcuno volle richiamarsi ad Alfonso Monfardini, ma questi era un uomo temprato di una generazione precedente e sarebbe stato scultore se le condizioni finanziarie lo avessero consentito ed è un pittore più strutturato con un percorso complesso. A mio avviso Somensari non è confrontabile né raggruppabile, né la sua arte offre nulla da decifrare, ma solo -ed è tutto- una poesia intensa, ben percepibile. È un mite poeta, interiormente solitario, sereno nonostante le pene esistenziali. Basta osservare la sua pittura con mente aperta e sensibile disponibilità per comprenderne il valore introspettivo e la malinconia. La doppia sospensione forzata dell’attività ci consegna un ridotto curriculum espositivo che non rispecchia l’effettiva importanza di questo sfortunato poeta. La prima, poiché nonostante la sua minuzia fisica dovette partecipare al macello della Grande Guerra. La seconda perché morì a soli ventisei anni per una malattia contratta in divisa e per prostrazione.
L’aneddotica ignora questo periodo anche perché la sua vita appartata divenne ancor più monastica. Nondimeno aggiunse qualche capolavoro alla sua produzione artistica. Dal 1915 al Venti, rileviamo piccoli dipinti che si potrebbero porre facilmente e senza azzardo come precognizione della pittura chiarista nostrana che si manifesterà una ventina d’anni dopo, poiché Luigi ha la medesima intenzione poetica, luministica e cromatica.
Ritengo che i rari commenti della sua opera siano stati sempre reticenti nell’esprimere una franca valutazione della validità della sua arte.
Forse, all’epoca, non pareva opportuno spingersi oltre l’apprezzamento simpatico e accompagnato spesso da un compiacente buonismo, come se l’encomio più che meritato gli fosse elargito liberalmente. Questa impressione è confermata dalle note di cordoglio, comparse sui giornali all’indomani della morte a dimostrazione della sua popolarità. Ritengo, allora, che ci fosse scarsa comprensione ed equivoco nei confronti della sua espressione figurativa che probabilmente appariva spinta oltre la buona maniera paesaggistica tradizionale; oppure nessuno avrà voluto riconoscerne il giusto merito non riuscendo a separare il giudizio critico dal compatimento per la sua condizione sociale.
Non conosco episodi particolari cui dare rilievo nella piana esistenza del giovane pittore, tranne che tutti notavano come la smania per il cibo corrispondesse inversamente al suo aspetto fisico, poiché l’immagine che resta nel ricordo dei suoi molti amici era l’incontro con l’artista, sempre più esile, nei bar più scalcinati, immancabilmente intento a mangiare qualcosa persino durante le partite di biliardo di cui era appassionato. Si riferisce che non appena terminava una seduta di pittura ne portasse il risultato ai suoi pochi ma oculati acquirenti per realizzare immediatamente un piccolo guadagno.
Gran fame, la sua. Ciò gli avrebbe impedito di rappresentarsi adeguatamente nelle mostre dove affermare il proprio valore, presentando sempre poche opere, magari appena eseguite, sicché fu sottovalutato. In proposito, però, eccepisco che Luigi partecipò -evidenziandosi comunque- nelle occasioni espositive più importanti. Impegnativi furono i giudizi storico-critici. Un rimpallo, da Emilio Faccioli che lo ritiene "crepuscolare" a Chiara Ferina che collegandosi a Faccioli lo pone tra gli "elegiaci" -suggestiva ipotesi ma alquanto generica-, a Francesco Bartoli che lo riferisce inopinatamente all'ottocentesco Defendi Semeghini (i cui lavori di getto di certo ignorava) confermando l'interpretazione di Chiara Perina. Invece si potrebbe ipotizzare una relazione con l'opera successiva di Giuseppe Facciotto. La mia attenzione risale agli anni Ottanta quando proposi: …Il Chiarismo, a Mantova, ha avuto… un antesignano occulto, un pittore di acque… dal colore trasparente e da segno vivo… all’opera del quale senza alcuna forzatura si potrebbe riallacciare quella di Facciotto (“Dal Mincio al Naviglio e ritorno", 1983, p. 52). Tuttora, credo non sia stato colto profondamente il senso libero e avanguardistico di questo artista istintivo e dall'intenso sentimento poetico, poiché non sono analizzati alcuni aspetti, peraltro ben visibili, del suo lavoro. Ad esempio, la magica rapidità nel definire l'immagine con pochi larghi tocchi, ben scanditi; la volontà cromatica; una calligrafia che anticipa persino alcuni informalisti degli anni Quaranta. La capacità di sintesi nell’individuare la spazialità e la fisicità degli oggetti -edifici, alberi- che l'abitano; la finezza tonale umbratile e cangiante degli impasti. La sua attenzione nel proporzionare strutture verticali e orizzontali e costituire continui rimandi tra tonalità opposte. Bisognerebbe anche analizzare la sinergia tra la sua intelligenza sognante e ingenua e la preferenza costantemente affermata di luoghi acquatici all'interno e all'esterno della città. Infatti, benché il suo stile sia nutrito da spessori di materia cromatica lavorati direttamente sul supporto, la sua marca lirica ci raggiunge come pittura scorrevole, senza margini, espansiva.
Di questo notevolissimo giovane artista si può dire che pur da solitario, nei pochi anni della sua attività ha demarcato l’arte nostra. È ampiamente illustrato in "Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX", Archivio Sartori Editore, VI, pagg. 3002-3015 e nel "Catalogo Sartori d'Arte moderna e contemporanea", 2012, p. 405; 2015, p. 198; 2017, p. 137. Non sappiamo di più: poco dal punto di vista biografico, pochissimo sul piano critico e storico. Resta una figura sfumata, misteriosa.
Potremmo, però, con opportune ricerche, analizzare meglio la sua storia e la storia della sua arte benché le prove disponibili siano assai rarefatte ma ancora pulsanti. A buon conto, non credo che nessuno oserebbe compilare una storia dell'arte mantovana del XX secolo omettendo di considerare l'apporto di Luigi Somensari che riduttivamente fu definito (Pedrazzini, 1923) il poeta della nostra palude.
Luigi Somensari fu artista di vedute molto avanzate, tra i maggiori a Mantova nell'epoca, e riuscì a definire un ammirevole stile personale ancor prima dello scoccare improvviso della sua brevissima esperienza di vita.”.
Renzo Margonari, da “La Reggia”, N. 1 Marzo 2017