Grassis Giuseppe

pittore miniaturista
Torino, 30 marzo 1870. - Torino, 1949

Nacque a Torino il 30 marzo 1870. Studiò all'Accademia Albertina dal 1887 al 1892, dove fu allievo, per lo studio di figura, di Pier Celestino Gilardi. Un’importante riconoscimento arriva dal Concorso Triennale 1892-94 dell’Accademia Albertina di Belle Arti che gli assegna la medaglia d’oro. Esordì nel 1894 alla Promotrice con il lodato La Primavera. Si fece conoscere alle mostre italiane e ai Salon di Parigi esponendo paesaggi, quadri di genere e miniature su avorio.

Dal 1897 l’artista frequenta assiduamente la Liguria, dapprima a Moneglia, successivamente a Sestri Levante, Celle Ligure, Loano e Nervi.

Giuseppe Grassis

..... Nato in Torino nel 1870, seguì gli studi all’Accademia Albertina, formandosi alla scuola di quell’onesto e geniale pittore che fu Pier Celestino Gilardi il quale, checché ne pensino o ne blaterino i loquaci novecentisti, è un’autentica gloria dell’ottocento pittorico piemontese.

I suoi dati biografici sono semplici: nel 1892 esce dall’Accademia Albertina dividendo il premio della Quadriennale con Guarlotti e Pansa; tre anni dopo esordisce alla Promotrice di Torino; in seguito lo troviamo presente alle Esposizioni di Torino, Roma, Genova, Milano e, nel 1925 e nel 1926, al Salon di Parigi. Alle Biennali veneziane è assente… e a quali amari commenti si presterebbe questa assenza date certe incredibili presenze, se amor di patria e passione d’arte non sguainassero lo spirito nella pietosa ovatta del silenzio! Le sue opere, oltre che in Patria (nella Casa Savoia e nelle più illustri case patrizie) sono disseminate anche oltre monte ed oltre mare, a Bruxelles, Berlino, Buenos Aires e Montevideo. Ma né le Esposizioni, né i riconoscimenti ufficiali, né le commissioni regali e principesche hanno alterato d’un jota lo spirito del Grassis. La sua biografia essenziale si potrebbe riassumere nel binomio: operosità e silenzio. Nella quiete del suo eremo a piè dei colli torinesi lavora assiduamente e serenamente, accanto alla sposa, anch’essa artista, fine interprete del paesaggio e fine spirito comprensivo dell’opera del consorte. Eppure accanto a questa biografia reclamisticamente povera vi ha tutta una ricchezza di creazione e di produttività, tutta una numerosissima serie di difficoltà cercate e superate, e anche una collana di seri e positivi trionfi che non hanno menomamente influito sull’animo dell’artista.

La bibliografia del Grassis è, conseguentemente all’indole sua, modesta ma efficace: a sommo di alcuni schietti riconoscimenti comparsi sui quotidiani e sulle riviste, fra i quali uno di Cipriano Efisio Oppo, sta la monografia: Un maestro della miniatura: Il pittore Giuseppe Grassis preceduta da una trentina di briose e dotte pagine di Guido Marangoni e ricca di 75 tavole finissime, monocrome e policrome, edita con la consueta signorilità dalle Arti Grafiche di Bergamo nel 1934, sobria ed ottima pubblicazione che attraverso riproduzioni tecnicamente perfette ci dà una precisa visione dell’opera del miniaturista.

Parlando con il Grassis, dopo pochi minuti gli si entra in dimestichezza. La sua conversazione è semplice e disinvolta, senza pose di superuomo e senza some culturali sciorinate a ogni piè sospinto, il che dà la misura dell’autentica cultura. Attraverso le lenti concave del miope i suoi occhi rivelano l’amore all’arte e la gioia del colore. Nello studio silenzioso e luminoso, accanto ai quadri di cavalletto suoi e della consorte, s’intravedono poche miniature. La maggior parte però di quelle sono riposte nei cofanetti e nelle teche, che egli apre mano a mano col gesto lieve di un orafo, di ognuna illustrando con brevi parole la procedura di esecuzione, le difficoltà superate. E accanto ai cofani vellutati, nell’angolo dello studio dove svolge la sua fatica, sono le lillipuziane tavolozze; i pennelli dall’asta filiforme con in cima pochi esili peli di martora, sottili tanto che in diametri di pochi millimetri il Grassis ha potuto eseguire un maschio ritratto di Umberto I e un ritrattino da incastonarsi sotto un brillante in un anello per il Duca degli Abruzzi. Pennelli che, acuminati come bulini, servono per distribuire il colore a minuscoli puntini o a sottilissimo tratteggio si da lasciare sul foglio di avorio quella luminosità che è prerogativa della miniatura. La visione delle sue composizioni, siano esse costrette nella perfezione del circolo, oppure nella rigidezza del quadrato o del rettangolo, dà sempre un senso di comunicativa vitalità, un’impressione di compiutezza e di armonia quale siamo usi a ricevere dalla contemplazione di qualche miniatura persiana, o di qualche luminosa pagina di messale alluminato o di qualche miniatura su rame (i famosi « rametti » italiani).

Inutile riferirsi con comodità a derivazioni e a nomi illustri quali il Lawrence, il Fragonard, il Goya, il Reynolds. Va da sé che il Grassis, studioso assiduo, ha ammirato e assimilato questi sommi, ma è anche vero - e ciò esula dall’adulazione - che le sue miniature sono tutte, o quasi, improntate ad una schietta nota personale. E questa sua virtuosità, oltre a valergli l’assegnazione delle integrazioni e delle restaurazioni - felicemente compiute - nel gabinetto delle miniature del Palazzo Reale di Torino; fu pure riconosciuta dal De Mauri che nel suo libro sulla miniatura stampato per i tipi di Hoepli, assegnando al Grassis un posto di primo piano fra i miniaturisti contemporanei, parla dell’arte sua fatta di una «probità sana ed intima con una particolare fisionomia jatta di alcunché di chiuso e riguardoso ma non arcigno perchè tutto composto in linee di signorilità: probità anche cerebrale, pensosa, non sempre immediatamente comunicativa perché non sempre espressa alla superficie ma pur rintracciabile nei tratti medesimi dell’eleganza tecnica, distintivi del luogo e dei costumi».

Le poche riproduzioni che diamo della sua opera di miniatore non possono dare, attraverso l’intelaiatura del cliché monocromo, che una pallida idea della ricchezza coloristica, della finezza di esecuzione e della leggiadria creativa. Accanto al ritratto del Delleani, quasi a mo’ di contrasto all’incarnato rugoso del vecchio artista, abbiamo voluto dare il ritratto della signora Graziella Servadio Giordano con il bimbo, foglio rettangolare di avorio di cm. 18 e mezzo per 11, dove trionfa la freschezza dell’incarnato della giovine madre e del fanciullo in una compostezza di positure che ci richiama alla mente i ritrattisti inglesi dell’epoca vittoriana. Oltre all’Affettività, ritratto di bimba con un cane, dove accanto alla maestria del ritrattista si accoppia la perizia dell’animaliere; al ritratto infantile di Marcello Levi che rammemora attraverso una interpretazione personale la finitezza albionica, e alle due sorridenti e fiorenti Amiche, avremmo voluto riprodurre molte altre miniature, alcune delle quali ci limiteremo a ricordare.

Il ritratto è l’attività precipua del Grassis e più specialmente quello femminile. La bellezza e la grazia muliebre, enigmatica ed eterna e non idiotamente e artatamente moderna, è da lui intesa con senso squisito, e a molte delle sue figure si attaglierebbero i versi del Petrarca più su citati. Dal ritratto della Regina Maria Adelaide (conservato nel Palazzo Reale di Torino) a quello equestre di Elena di Francia, dalla Primavera e dalla Ninfa, minuscoli ovali dove su uno sfondo di verzura campeggiano due delicati nudi feminei, alla sinfonia in rosso del ritratto della signorina Mimy Giordano; dalla Madonna degli Angioli circondata di putti ricciuti e di fiori e di frutta alla tenue Figurina settecentesca, passiamo con serenità da una visione all’altra, constatando come il Grassis sappia dare un carattere equilibratamente moderno alla vetusta arte della miniatura, traverso ad un’esecuzione che lo eguaglia per virtuosità ai maestri del passato e che dà le vertigini ai frettolosi pittorelli del tempo nostro. Ricordati ancora i numerosi e vivi ritratti infantili e quelli virili, fra cui quelli del Prof. Roberto Michels, del Senatore Marchese Negrotto Cambiaso, signorile composizione nel cui fondale campeggia un quadro del Van Dyck, è doveroso accennare a un altro aspetto dell’attività del pittore torinese; e cioè quella del paesaggista.

Sono visioni di paesaggi italici, mare e montagna, fermate sull’assicella con originalità di taglio e sensibilità coloristica non comuni, l’esame delle quali ci porta a concludere che il pittore di cavalletto non è inferiore al consumato miniaturista. Questa produzione che si potrebbe chiamare ausiliaria, rappresenta quasi un riposo per l’artista che accanto alla ripa dantesca della scogliera presso Sestri Levante, ai dintorni di Courmayeur, alla sinfonia aurata dell’autunno, ha pure al suo attivo briose scene narrative che malgrado tutti gli sforzi della pittura cerebraloide ed enigmistica che invade mostre e gallerie, sono pur sempre piacevoli per una loro limpida introspezione psicologica, per la palese gioia coloristica e per quel rispetto delle proporzioni e dei volumi che non siamo più usi a vedere. Fra queste ultime ci piace ricordare II fante di cuori dove in un cortile rustico una improvvisata cartomante predice l’avvenire a una graziosa contadinella, e Dolci ricordi interno artigiano dove un mastro falegname e la moglie, ambedue vegliardi, sono assorti nei fantasmi del passato che affiorano tenui tenui sulla vetriata.

Prima di accomiatarmi, il Grassis mi accompagna nella sala da pranzo che, dato il temperamento dell’artista e data la quiete quasi claustrale della villa, vorrei definire più propriamente refettorio. A sommo delle pareti, tutto intorno alla stanza, ricorre una decorazione vendemmiale che si allarga, sopra le sovraporte, in scene di ampia respiro quali la Vendemmiatrice e Gli stornelli della vendemmia, legate l’una all’altra da una festa di grappoli turgidi e di foglie verdi, rossastre e aurate. Il maestro mi dice che sono la sua vigna. Inutile dire che anche la decorazione del refettorio è opera sua. E mi vien da pensare, uscendo a crepuscolo inoltrato, che la vigna del Grassis sia quella dell’arte e della bellezza dove molto ha vendemmiato e molto continuerà ancora a vendemmiare.

Teresio Rovere (1936 - Teresio Rovere, Artisti contemporanei: Giuseppe Grassis, miniaturista, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 4, aprile, Milano, pp. 3/6).


Bibliografia:

1936 - Teresio Rovere, Artisti contemporanei: Giuseppe Grassis, miniaturista, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 4, aprile, Milano, pp. 3/6.

1984 - Vitaliano Rocchiero. Giuseppe Grassis Pittore fra Piemonte e Liguria "1870-1949".

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