De Micheli Gioxe

pittore incisore
Milano, 27 gennaio 1947

di Gioxe De Micheli

È nato a Milano il 27 gennaio 1947. Gioxe è la voce dialettale genovese di Giuseppe.

Giovanissimo è andato “a bottega” da due tra i più rappresentativi esponenti del “Realismo esistenziale”, Giovanni Cappelli e Giuseppe Martinelli, in seguito, a Brera, sotto la guida di Gianfilippo Usellini, ha frequentato i corsi di Decorazione e Affresco.

Di lui hanno scritto critici e poeti: da Raffaele De Grada, Giovanni Testori, Dino Buzzati, Luigi Carluccio, Franco Solmi, Raffaele Carrieri e Roberto Tassi a Rossana Bossaglia, Giorgio Seveso, Giovanni Raboni, Giorgio Luzzi, Elena Pontiggia, Vivian Lamarque, Gianfranco Bruno, Tiziano Rossi e Chiara Gatti. Francesca Pensa.

Nel 1994 ha realizzato per il Palazzo di Giustizia di Milano il dipinto di grandi dimensioni: Ex itinere – Trittico dei viaggiatori e nel 2001, a Collodi, un grande murale per la Fondazione Pinocchio. Dal 2013, il suo Polittico della Maternità, trova definitiva collocazione nella chiesa romanica di San Biagio a Lombrici di Camaiore (LU).

Sue opere di grande formato si trovano nell’Ospedale nuovo di Grosseto e nella Parrocchia di San Luca Evangelista a Milano.

Vive e lavora a Milano.


Contatti:

Gioxe De Micheli

E-mail: gioxe.demicheli@gmail.comdemicheli@gmail.com

Sito-Internet: www.gioxedemicheli.it


Giudizi critici:

Una meditazione laica

[…] Che questo ragazzo sia chiamato un giorno ad avviare una meditazione moderna, laica, e quindi fornita di tutti i risentimenti umani del caso, sulla riduzione finale d’ogni cosa al suo scheletro? Può darsi che la mia domanda, per ora, sembri un po’ troppo decisa; e tuttavia proprio in questa mostra, De Micheli espone una serie di “Fiori” che, oltre a essere un’uscita poetica personale, sembra dimostrare come anche nel tremore di queste rose, abbandonate su piani dai colori dolci e fasciati, egli sappia scorgere la magra finale spoglia delle cose. Dico questo non per quel mormorio attonito che vi passa sopra, ma per alcuni particolari “figurati” che penso nessuno vorrà lasciarsi sfuggire: l’articolarsi del gambo, come giunture di ossicini; e l’allacciarsi dei petali, uno all’altro, come orbite vuote. […]

Giovanni Testori, 1964


In favore dell’uomo

[…] Anziché fatalistico abbandono, anziché resa alla violenza – com’è di tanta pittura anche di protesta, che si ritorce in autodistruzione, o in estetico nichilismo – è l’affermazione di una imbattibile fiducia nella forza dello spirito, della ragione, della coscienza umana. Fragile e giovanissimo “cavaliere”, De Micheli affronta con l’arma di una calligrafia squisita e d’un colore prezioso, la crudeltà mostruosa della pestilenza che tortura e devasta oggi il presente e con quell’arma che parrebbe tutta stile, cifra, simbolo, esercitazione letteraria, con la tenacia dell’arte, rovescia il fato, ottiene la sua vittoria a favore dell’uomo. […]

Elvira Cassa Salvi, 1968


La forza e la poesia

[…] Il modo in cui De Micheli interpreta la vita e la morte di Thomas Müntzer si sviluppa secondo queste linee, che ho appena segnate. Ma l’elemento più originale e profondo di questa interpretazione è la semplicità, la chiarezza, la povertà dell’immagine che vien ridotta alla sua magra essenza: una pittura asciutta, nitida, precisa, nella quale convergono realismo e delicatezza, forza e poesia, nella quale sottili armonie tonali si accompagnano all’evidenza plasticamente dominata dalla forma; una pittura depurata che dice una parola viva con le poche figure, con tagli di particolari, con i simboli pregnanti; una pittura insomma ascetica, come si conviene allo spirito contingente e universale della storia raccontata. […]

Roberto Tassi, 1973


La figura come simbolo

[…] Gioxe De Micheli è uno di quei giovani rari che perseguono con lavoro assiduo e puntiglioso l’obbiettivo di provocare la definizione della propria personalità. Protagonista della pittura di De Micheli è la figura umana: una sigla umana, identificata e diversificata dalle attitudini e dai gesti ma sempre aderente a un’immagine simbolica generale…[…]

Luigi Carluccio, 1975


Lettera di Mario De Micheli a Gioxe De Micheli

Caro Gioxe, in realtà, per questa tua mostra di Ravenna, avrei dovuto scrivere una vera e propria introduzione. Tale, era la prima idea: il padre critico sul figlio artista. E, a prima vista, l’idea funzionava. Ma davanti al foglio bianco, l’idea mi si è inceppata. Cioè, non mi riusciva di trovare il “tono” giusto: il desiderio di essere obbiettivo si risolveva in una forzatura. Allora ho deciso di scriverti questa lettera “aperta”, senza preoccupazioni di sorta. É naturale che su di te abbia molti ricordi. Ricordo, per esempio, che quando frequentavi le scuole elementari, ti annoiavi. Ti piaceva solo riempire i quaderni di disegni. […] E ti annoiavi anche alle medie. Sapevi a memoria Lorca, Brecht, Maiakovski, Omar Kayyam, e Arturo Graf non lo sopportavi. […] Meglio della scuola la mia biblioteca era per te un avventuroso arcipelago dove potevi viaggiare ed esplorare a piacimento. E intanto non smettevi di disegnare. Una volta ti regalai una macchina da scrivere: era una piccola “Corona”, su cui per anni avevo battuto articoli e traduzioni poetiche, finché mi ero deciso a sostituirla con una “Lettera 22”. Tu la sfasciasti, ma in compenso ne facesti un “ritratto” a tempera: grigi e neri. Avevi tredici anni. Quella piccola “Corona”, nella tua immaginazione, si era trasformata in un istrice di tasti arruffati, in un groviglio palpitante di tentacoli. Ne rimasi impressionato. La scuola andava di male in peggio, la tua noia e la tua svogliatezza anziché diminuire crescevano. Che fare? In fondo la soluzione era a portata di mano, inutile tormentarsi. Se l’unica cosa che facevi davvero volentieri era il disegnare e il dipingere, al diavolo, avresti fatto l’artista! Basta con la scuola, basta con Arturo Graf. Avresti lavorato con le matite e i pennelli ogni giorno, come del resto già facevi da tempo. Solo che ora questa “inclinazione” stava per diventare il tuo “mestiere”. È così che hai cominciato, ogni giorno, a lavorare in un breve abbaino. […] Nel frattempo venivi in giro con me per l’Italia: la Biennale, le mostre d’arte antica, i musei. […] Il tuo modo d’esprimerti plasticamente stava mutando: ad un espressionismo adolescenziale stava subentrando una ricerca di cultura più severa, che guardava in particolare al Quattrocento, sia tedesco che italiano. […] Adesso stanno per scoccare i tuoi trent’anni. È un traguardo importante per un artista. Tu lavori con serietà: ogni giorno sei davanti al cavalletto, stai crescendo su te stesso, approfondendo la tua visione, affinando i tuoi mezzi. Io no ho consigli da darti: mi sembra che tu segua la tua strada con sicurezza. […] Non sei mai stato un ragazzo prodigio: hai sempre fatto un passo dopo l’altro, dimostrando nella costanza del lavoro la linea del tuo impegno. […] Tu hai davanti a te un numero fittissimo di giorni, che puoi mettere a profitto; io, accidenti, ne ho molto meno. Ma già il punto a cui sei arrivato, per fortuna, mi toglie di preoccupazione. Tutto qui. T’abbraccio forte, tuo padre.

Milano, Epifania, 1976


Una pittura come coscienza

[…] Ecco: se c’è per Gioxe un idolo polemico dichiarato, questo è la superficialità, l’approssimazione delle lingue che presuppone sempre l’approssimazione del vivere. Per questo i suoi contadini, i suoi tessitori, i suoi cacciatori e uccellatori hanno una così umana nobiltà, intenti come sono non a sacrificare sugli altari dell’effimero ma a compiere gesti antichi, calmi, scanditi su un ritmo che allude a grandi lontananze e a grandi sapienze. La loro presenza non è mai disorganica all’ambiente in cui si colloca; il loro habitat è parte della stessa civiltà totale che anima i volti degli uomini, il respiro delle piante, l’utilità non mercificata degli oggetti. […]

Mario Lunetta, 1979


L’interesse che in particolare suscita Gioxe De Micheli è per me di ordine stilistico. In che senso? Nel senso in cui lo stile di un vero artista si pone sempre come ricerca non formalistica, bensì di forme specificamente espressive di contenuto, meglio, di un pensiero dominante.

Altro che fuga nel buio dei tempi. Non si tratta di fuga ma di consapevole cammino verso quel confronto agostiniano col “quod aeternum non est nihil est” al quale le risposte sono solo due: o il mistico annullamento o il problematico operare.

Quest’ultima è la risposta poetica di Gioxe De Micheli.

Antonello Trombadori, 1983


Spontaneità e rigore

[…] Si può dire tutto della pittura di De Micheli tranne che non faccia discutere. Siamo ormai così poco abituati, evidentemente, a misurarci con il dipingere nel solco grande di una cultura pittorica vera, non raccogliticcia o strumentale ma profondamente assimilata e vivificata come è quella di questo pur giovane ma già così maturo e completo artista, che le sue immagini riescono sempre a sorprendere, a stupire, a spiazzare. Non sono molti oggi in Italia, infatti, quelli che, come lui, sono riusciti a coniugare così fruttuosamente una linea “umanistica” che dal passato remoto (l’amore per Luca Signorelli o per Simone Martini, per Dürer, per Pisanello e così via) giunge fino a noi per farsi linguaggio e meditato rigore compositivo e, soprattutto, profondamente innervato ad una così toccante metaforicità esistenziale. […]

Giorgio Seveso, 1983


La qualità compositiva

[…] Ora, in quest’ultima serie di dipinti, De Micheli sembra avere affinato le sue migliori qualità formali. Prima fra tutte, a nostro parere, quella compositiva. Virtù rara ed antica, questa che Gioxe dosa con sapienza, mentre sembra decantare, in queste ultime opere, una certa qual crudezza incisiva affilata, del suo stile, in un impasto sempre magro ed essenziale ma più morbido, stemperato da una nota di malinconia; sostenuta, quest’ultima, anche dal dolce accordo dei toni spenti e dalle colate di pianto che intridono la tela, la cui trama, secondo una felice soluzione, diviene essa medesima materia della pittura. L’impegno morale che ha sempre pervaso i dipinti di Gioxe De Micheli non è scomparso. Ora, forse, esce sublimato in una visione più dolcemente allusiva, ma più profonda. […]

Francesco Porzio, 1983


Un’esperienza di vita

[…] Gioxe, negli ultimi anni, è passato a tematiche più larghe di quelle giovanili, meno connesse con la condizione storica dell’uomo, e piuttosto aperte sulla riflessione esistenziale. Il ciclo attuale passa attraverso il precedente del “Naturalista”, il cui pezzo culminante è costituito dalla figura de naturalista morto – o addormentato? -. Anche qui gioca l’esperienza personale di vita, una famigliarità con la natura, gli animali, una predilezione quasi ossessiva nel circondarsi delle loro tracce e delle loro forme – davvero la casa di Gioxe sembra per qualche verso lo studio di un naturalista; ma appunto si potrebbe fare il discorso contrario: l’esperienza è ricercata in vista di una meditazione sulla vita. Il naturalista interroga l’animale vivo, il bucranio, la conchiglia, il tubero. Ascolta. […]

Rossana Bossaglia, 1984


La casa e le immagini

Penetrare nella casa di un artista è come “entrare nello specchio”, scoprire cioè che cosa c’è dietro la tela e accorgersi, per esempio, che la mela, ricorrente presenza di questi quadri, è l’immagine, nella realtà, della domestica abitudine di mangiare un frutto alla sera davanti alla televisione: le bucce dimenticate e il coltello in bilico sul piatto, trovati il mattino dopo, sono già racconto. È senz’altro così, entrare nella casa di Gioxe è rendersi conto che non c’è soluzione di continuità fra lui come persona, la sua vita e le sue opere: una continuità che non si spezza, se non apparentemente, immergendosi nelle acque a volte calme e a volte torbide e tempestose della sua intimità. Gioxe non è un artista che “vuole” dire qualcosa, è un artista che dice come respira, e il suo respiro può essere ora calmo ora affannoso, ora rallentato dal sonno o accelerato dal sogno. Nella sua casa sono appesi soltanto pochi quadri suoi e qualche disegno di amici, quasi che i muri non siano che parti allargate del suo corpo e, insieme, della sua memoria, parti di sé come unghie, mani, passioni. Il disordine dello studio sembra testimoniare l’affastellarsi dei piccoli e grandi eventi quotidiani, l’infinita ricchezza dei minuti e delle occasioni di una giornata, che si risolvono nella meditata e perfetta composizione delle tele che emergono dal “caos” proponendo un “centro” dove si concludono e via via si dipartono gli intrichi del pensiero e dei sentimenti. […]

Patricia Roaldi, 1984


Esattezza poetica

Chi conosca il lavoro – già così sorprendentemente folto di risultati di assoluta fermezza espressiva – realizzato negli scorsi anni da questo giovane artista non può non ricordare come tali elementi fossero già comparsi in altri cicli, segnatamente in quello intitolato al “Naturalista”, dove si affiancavano ad altri reperti – bucrani, ossicini, costole di animali preistorici – secondo un’intenzione di significato più ardua o comunque più complessa. Qui, nella nuova serie, De Micheli li ha reinseriti, per così dire, nel loro décor pre-simbolico, trasferendone la presenza dalla sfera del sogno a quella della veglia, dall’ ambito dell’ allusione, della simmetria, della cifra a quello di un’umanissima, asimmetrica tenerezza e trepidazione. L’effetto è, a mio modo di vedere e sentire, di un’esattezza poetica esemplare, struggente. […]

Giovanni Raboni, 1985


I quadri usciti dalla valigia

[…] Gli ultimi quadri usciti dalla valigia, questi bellissimi sul medievale “Sir Gawin e il Cavaliere Verde”, confermano un mio antico sospetto: di un Gioxe dalla testa felicemente altrove. Altrove ma complice d’arte e amica. Guardate, guardatelo come – camuffato da Cavaliere Verde – amorevolmente la segue nell’acqua, come con lei poeticamente brinda, come con lei cavallerescamente ci saluta. Di Gioxe la critica (da Testori a Bossaglia) sempre ha detto e sempre più dirà. Io sempre più guarderò. Perché i quadri di Gioxe rendono felici i miei occhi. Che dunque per primi si uniscono riconoscenti al Brindisi del Cavaliere Verde. Quadro questo tra i più intensi, che parla a tutti i nostri lacerati arti mancanti, a a tutte le nostre personali e collettive mutilazioni, decapitazioni.

Vivian Lamarque, 1993


Lirismo del colore

[…] Ma il colore… Ecco, sul colore bisogna soffermarsi un po’ di più, appunto perché è meno evidente del disegno. Le visioni di De Micheli si fondano in larga parte sull’ apparizione del colore. Pensiamo alle variazioni sull’acqua marina, agli effetti di luce serale o notturna, alle descrizione dei tramonti e dei cieli, agli ornamenti dei fiori, a certi oggetti prevedibili, resi enigmatici dall’imprevedibilità del colore. Si tratta di un colore, dunque, che non ama esprimersi in timbri decisi, né tantomeno in gamme industriali e tecnologiche, ma si traduce soprattutto in toni, in cangiantismi, in dissolvenze, in iridescenze, in valori mentali e lirici. […]

Elena Pontiggia, 1995


L’utopia concreta di Gioxe De Micheli

[…] Mi pare che tra “I fratelli della costa” circoli appunto qualche traccia dei due archetipi, il contadino e il navigatore. O meglio, si può dire che questo angolo di mondo che fornisce i suoi dati all’immaginario di Gioxe contenga le tracce sia dell’uno e dell’altro, nutrendosi di due antiche saggezze. Ma niente più di questo si può concedere a una interpretazione del nuovo ciclo pittorico in chiave narrativa: è pericoloso e fuorviante, oggi, classificare in questa direzione un’arte al tempo stesso coltissima e lirica, sofisticata e dirompente, ambigua e solare.[…]

Giorgio Luzzi, 1995


Memoria e testimonianza

[…] Ma è l’uomo che fa la storia, e De Micheli, con questa sua opera lo afferma, e lo fa attraverso figure realistiche e al tempo stesso simboliche. L’artista esprime questo concetto attraverso un linguaggio pittorico che diventa “memoria e testimonianza che si tramuta in storia”; una storia che ci appartiene molto da vicino. E qui emerge la grande lezione assimilata sul filo che unisce il concetto fatto proprio dalle leggi di un pensiero che si richiama allo stretto rapporto di connessione tra il “sentire artistico” e ad suo “moto e modo del senso persuasivo” di significare, sia i valori della comunicazione, che quelli della conoscenza, della bellezza, dell’armonia e della fantasia. Il tutto si enuncia in un contesto gnoseologico più penetrante che si compendia con l’insieme di tutte le problematiche dagli incerti confini che sono attinenti alle cose “sensibili”, nel senso che, esse, come in questo caso il lavavetri, il venditore di tappeti, la figura materna e gli altri elementi costitutivi dell’opera, da soli, non vengono mai assolutizzati perché soggetti a sensazioni. Lo stimolo che li regge, non è più così solo la verità assonometrica realistica e simbolica, ma soprattutto, la poetica creativa… […]

Renato Valerio, 1999


La dimensione metafisica dello spazio pittorico

[…] Allora è questo che ci appare nel Polittico della Maternità? Presenze di straniera gente scampata alla miseria del proprio paese? Sconosciuti d’altra nazionalità con cui spesso evitiamo finanche il contatto verbale ai semafori e mai avremmo pensato di ammirare sotto le rinnovate spoglie di immagini pittoriche? Come negare l’evidenza? Loro sono lì, sulle tele! Figure dignitose dal celato pathos. Restano immobili, mute, trattengono il respiro perché questo loro straordinario, irripetibile momento di visibilità non si consumi agli occhi di chi guarda ma si tramuti in espressione durevole. A De Micheli in definitiva è bastato solo modificare la contestualizzazione naturale per accoglierli, astraendoli da qualsiasi connotazione di luogo, nella dimensione metafisica dello spazio pittorico. Avviene così che nelle immagini subentri un afflato eroico, assoluto. A vederli dipinti come non considerarli martiri della modernità. Miseri umani in odore di santità. O dovrà, comunque, intendersi il loro passaggio, per mano dell’artista, dalla condizione di emarginazione e povertà alla valenza poetica. […] I protagonisti, soggetti strappati alla quotidianità, rinnovano i millenari temi dell’arte divenendo icone sì stranianti ma di inedita modernità. […]

Massimo Guastella, 2000


Il teatro del sogno

Una semplice scatola di cartone è al centro del nuovo “ciclo”, che Gioxe De Micheli ha dipinto nel corso del 2000. Traslochi. In queste tele sono presenti alcuni degli oggetti simbolo della personalissima mitologia dell’artista: la gualdrappa di Guidoriccio, l’ombrello verde, la gabbietta vuota, il flauto, la mela, la piantina di erica. Anche il protagonista è lo stesso dei “cicli” precedenti, Il ritorno di Guidoriccio e I fratelli della costa. Una figura maschile si sdoppia e si moltiplica in differenti pose svelandoci la natura della scena a cui stiamo assistendo: è il teatro del sogno, della vita interiore in cui scopriamo essere noi stessi protagonisti, antagonisti e spettatori. Eppure qui qualcosa è cambiato: la valigia che il viaggiatore aveva sempre con sé, in molti casi è sostituita dalla scatola di cartone. Il viaggio non è più lo stesso, si è trasformato, è diventato un trasloco. la scatola è quella in cui vengono imballati gli oggetti quando si cambia casa, quando c’è un “cambio di residenza”.[…] Immersi nel mare con canotti o barchette di carta i “fratelli della costa” erano o giocavano ai naufraghi. Con spavalda fierezza andava all’assalto dell’azzurro del cielo. Ora invece il personaggio è dentro la scatola; chiuso al suo interno, si misura con il vuoto, la fragilità, il limite imposto dalla scatola. […] Prima di cominciare il nuovo “ciclo” Gioxe De Micheli si è misurato con un’opera dalle grandi dimensioni: Diario di guerra […] Al centro della tela un personaggio maschile volge le spalle allo spettatore e proprio dietro la schiena nasconde una mano che impugna un coltello. La mano che tiene il coltello è macchiata di rosso, dunque già insanguinata. Ai lati del tavolo sono sedute altre due figure maschili, una in atteggiamento pensoso, l’altra suona il flauto. La scena avviene su una sorta di predella o palco di assi di legno leggermente rialzato, al di sotto del quale un quinto personaggio tenta di nascondersi. Replicato nelle cinque figure, il protagonista mette in scena il conflitto: è lui a infliggere il male,a subirlo, a essere spettatore, a piangerlo attraverso le note del flauto. […]

Rossana Dedola, 2000


Il confronto con la realtà storica

[…] È ovvio che ogni artista di qualità modifica nel procedere del tempo la propria maniera espressiva; ma nel caso di Gioxe non si tratta soltanto di maturazione e di nuove riflessioni linguistiche; egli è sempre in attento confronto con la realtà storica in cui viviamo; e poichè gli interessano i grandi temi generali, di volta in volta reagisce con passione, e con l’intenzione di offrire di offrire sintesi interpretative, agli eventi e alle situazioni. Questo è particolarmente suggestivo nella sua attività, sotto l’aspetto sia iconografico sia stilistico: da artista sensitivo egli traduce nell’opera le sue emozioni; ma queste emozioni subito si collegano a grandi eventi pubblici e si esprimono in immagini dall’intensa simbologia generale; con palesi riflessioni sui significati etici del tema proposto. […]

Rossana Bossaglia, 2003


L’incanto del narrare

Ciò che rende suggestivo, affascinante, comunicativo l’immaginario di De Micheli è la qualità di un suo speciale sguardo incantato e incantante, di una sua figurazione tesa ad architettare con minuzioso affetto i gesti di personaggi affabulanti, le atmosfere di situazioni emblematiche nel gentile groviglio di una narrazione intensa e trasognata, metaforica, finemente autobiografica, dove le sostanze dei colori sono fatte di grazia e di passione meditativa, dove l’impianto poetico deriva e contemporaneamente rimanda a interrogazioni sulla vita e sulla coscienza, al ragionare sommesso e sobrio attorno alle emozioni, alle memorie, ai giudizi che attengono alla semplice misteriosità del mondo. […]

Giorgio Seveso, 2010


Il silenzio dell’immagine

[…] Proprio la totalmente interiorizzata, persistente, e annosa, vocazione di De Micheli alla pittura, ha propiziato gli slanci della sua immagine verso le distese lande del racconto. Non si può pensare che l’amorosa, totale simpatia umana che caratterizza la sua vita e la sua pittura, tocchi solo le corde del dramma.

Nelle immagini di Gioxe De Micheli c’è anche la favola della natura… La luce sul mare, le nuvole nel vento. Il delicato fiore del pesco sboccia contro il blu imbronciato del cielo, mentre dall’orizzonte sale il dorato chiarore dell’alba. Il magico, sapiente accordo degli innumerevoli passaggi di toni di colore di cui è intessuto il quadro echeggia uno zùfolo lieve. Un’appena percepibile musica, come venisse di lontano, vibra nell’accorato silenzio dell’immagine. […]

Gianfranco Bruno, 2010


Una pittura amica del tempo

[…] In tale direzione va anche la materia pittorica: i colori si dispongono preferibilmente per campiture ampie (notevoli le fasce di verde, di azzurro, di bianco opaco, e certi marroni lavorati tonalmente); e la sostanza, magra e disposta a velature, può ricordare l’affresco, cioè una pittura che disdegna lo sbrigativo, l’impressionistico, il facilmente “consumabile”, e che propende invece per la lunga durata, da amica del tempo quale è: un indizio sottile che le opere di Gioxe resisteranno in ogni senso.

Tiziano Rossi, 2010


Un’atmosfera metafisica

[…] Gioxe De Micheli affronta il tema eterno, delicatissimo, del viaggio come diaspora. Narra storie di vite in transito, di migrazioni e approdi disperati, dove la tragedia si cela sotto la sabbia o nelle scatole dei giochi seminate sulla banchina, come allegorie di ricordi felici. Inghiottiti da un’atmosfera metafisica, i suoi stranieri senza paese galleggiano in un’attesa che buca lo stomaco. […]

Chiara Gatti, 2015


I racconti del pittore filosofo

Qualcuno dubita che la civiltà del disegno possa sopravvivere a quest’epoca. C’è chi pensa che taluni linguaggi preziosi come la Pittura siano ormai impraticabili, obsoleti.

C’è stato, è vero, anche un forte tentativo da parte dei critici d’arte che hanno ipotizzato e assecondato gli interessi del mercato incoraggiando tale ipotesi, deprezzando il disegno e la sapienza pittorica come fossero ormai affetti da una necrosi irreversibile. Sono stati smentiti, il disegno vive.

I pittori “veri” come Gioxe De Micheli (Milano, 1947) sono, però, collocati in una nicchia categoriale separata, come pellirosse in una riserva recintata.

Coloro che sanno utilizzare modi e valori estetici dell’arte classica anche essendo ben radicati nella contemporaneità, producendo immagini evocative – vocative – narrative, ad alto tasso poetico, che illustrano dubbi e attese del sentire umano attuale e non artisti semplicemente ludici e consumisti, sono accantonati, quasi fossero portatori di una malattia infettiva. Del resto Gioxe appartiene a una generazione che è stata scavalcata anche dagli storici. L’osso della cultura milanese che è stato importante, anche a livello europeo, è trascurato per far largo all’importazione anglo americana.

Pittore precocissimo, De Micheli è sempre stato un disegnatore eccellente sicché appare ovvio come la forma matura della sua espressione estetica sia fortemente determinata dal disegno, una forza che deriva da esperienze giovanili degli studi braidensi col maestro Gianfilippo Usellini la cui deriva emerge ancora nella sua narrazione. Fu poi indirizzato da Giovanni Cappelli e in seguito frequentò Daniel Bec e Giuliano Pini. Anch’essi guardavano alla tradizione toscana e in particolare fiorentina che privilegia il disegno, da Botticelli a Pontormo (e credo abbia meditato anche su Pieter Bruegel il Vecchio, ai Proverbi Fiamminghi).

De Micheli esibisce abilità prospettiche e narrazioni bizzarre che a volte sembrano proporsi con una comicità malinconica, liricamente iperbolica sperduta in una dimensione senza tempo. Queste immagini hanno un significato ben diverso dall’apparente semplicità orfica. Per avvicinarle utilmente serve una lettura dei vari strati poiché si tratta di una maniera intrigante che ricorre al simbolismo e a speculazioni filosofiche. D’acchito, le immagini sembrano illustrazioni di parabole, o di fiabe problematiche, o di apologhi popolari, ricordi. Esemplare è Nevoso e Messidoro, 2011 ( nomi di mesi secondo la Rivoluzione Francese). Il pittore volta le spalle a una veduta innevata e immagina un paesaggio primaverile che vede nello spazio di una tela invisibile. Due situazioni climatiche opposte, rappresentate simultaneamente e che potrebbero essere interpretate come simbolo di contraddizione di uno stesso stato d’animo. Il passato alle spalle, e il futuro di fronte. Negativo e positivo. Nello stesso tempo è lo spettatore del quadro a vedere da dietro la tela ciò che l’artista sta sognando come già fosse dipinto. Egli, dunque, può immaginare cose ignorando la realtà che lo circonda. Lo scatolone a terra, un bagaglio che compare anche in altre opere, può essere interpretato come contenitore, forse, delle esperienze esistenziali che l’artista ha vissuto e riposto ma porta con sé, ovunque si trovi. Ovviamente, questa è soltanto una lettura soggettiva dell’immagine, lettura possibile tra tante altre ugualmente accettabili. S’intuisce che potrebbe trattarsi, anche, di un autoritratto che illustra la solitudine nella quale vive il poeta. Si aggiunga la denotazione formale. La composizione piramidale nettamente segnata dal cavalletto, la divisione simmetrica verticale dello spazio, il quadro nel quadro. È un gran dipinto, come la maggior parte di quelli che Gioxe ha realizzato negli ultimi anni ed espone in quest’occasione mantovana. Anche nelle composizioni più articolate, abitate da numerose figure, la visione è di norma frontale. Ho sempre pensato che questa propensione comunichi, magari inconsciamente, l’intenzione di interloquire direttamente con lo spettatore, come in un dialogo guardandosi negli occhi. È sincerità, animo aperto. Per il resto, le immagini dipinte da Gioxe sono da decifrare allo stesso modo, poiché si possono percepire secondo cultura, sensibilità, esperienze di ogni visitatore. Spesso, i personaggi sono autoritratti. Solitari, concentrati sulla loro mitezza pensierosa; oppure eventi di piccole catastrofi, o illustrazioni di romanticherie volutamente esagerate. Parapiglia silenziosi, si affacciano come dall’interno di una campana di vetro e talvolta visitano esempi classici. Non raccontano storie che appartengono a un’epoca, a tempo determinato, ma trasmettono una silente empatia, coinvolgente sebbene con voce tenue e sembra di poterle condividere. Questi personaggi introspettivi, meditabondi, un po’ stralunati, attori in un mondo metafisico, possono essere filosofi o pazzi, sognatori. Il loro autore sta dalla parte di chi sta a parte, osservando meravigliato il fluire delle emozioni.

[…] De Micheli ha coltivato un talento innato, elaborando pazientemente una tecnica perfettamente idonea all’espressione della sua poetica. È indubbiamente un pittore assai originale, a sé stante. Ha vissuto la propria avventura estetica senza associarsi ad alcun gruppo tra i molti che nel frattempo si sono avvicendati nel panorama artistico milanese, assumendo uno stile facilmente riconoscibile ma confinario rispetto ai realismi e surrealismi che ben conosce, mantenendo un’impassibile indipendenza dalle mode culturali più facinorose. Utilizza rigorosa intelligenza autocritica e vasta cultura figurativa la cui esemplarità metafisica è sostenuta dal disegno sicuro, dalla fermezza compositiva ordinata, come dal colore che reagisce a una luce diffusa e tenue senza contrasti decisi ma restando al tono intermedio, spesso dominato dalle ocre, e tende a eliminare le ombre, sebbene non sempre, pur mantenendo il chiaroscuro volumetrico. […]

Renzo Margonari, 2016 (La nuova Cronaca di Mantova)

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