Nel 1868, con il dipinto: Il lavoro, partecipa all’Esposizione di Belle Arti di Brera, a Milano.
Partecipa nel 1890 alla XLIX Esposizione”, Soc. Promotrice delle Belle Arti in Torino, con il dipinto “Il lavoro".
Nel 1897 partecipa alla II Biennale Internazionale di Venezia con 1 dipinto.
STEFANO BRUZZI (1910) - Come Giotto, deve aver disegnato le sue prime pecore sull’Appennino, che dalla Liguria discende fino a Parma, su quei poveri monti quasi disabitati, ove la terra sassosa è ribelle ad ogni coltura, ove la gente nativa vive inselvatichita e lontana da ogni contatto sociale.
E pochi tra gli artisti hanno così spiccata la fisionomia dei soggetti ch’egli tratta, poiché nella sua testa, a chi l’osserva bene, paiono scolpiti i tratti del Dio Pane, e i suoi lineamenti rigidi e regolari richiamano alla mente il pastore classico.
Studiò molti anni a Roma, ma appena raggiunta la tecnica necessaria a trattare qualunque soggetto, la sua inclinazione si rivolse subito alla pittura che maggiormente sentiva. Si ritrasse sull’Appennino brullo e selvaggio, e l’anima sua all’unisono col paesaggio che riproduceva ci diede quelle vette melanconiche, quelle linee di colli che con motivi grandiosi si sviluppano or verdi, or bigie, sui vasti orizzonti, che formano il fondo di tutti i suoi quadri, quei silenzi solenni della montagna che egli ci fa sentire colla sua pittura.
Artisticamente forse appartiene alla scuola moderna toscana, ma la sua tavolozza più vigorosa, l’interesse ch’egli sa trovare pei suoi quadri, lo fecero emergere anche fra i toscani, precisi e freddi; pel disegno e fedeltà di riproduzione del vero, poi, si pose vittoriosamente a lato dei migliori della pleiade fiorentina.
A Firenze, appunto, gli arrisero i primi successi, e ben presto i forestieri di buon gusto presero a prediligerlo e a disputarsi i suoi quadri, che egli vendeva a decine all’anno.
Ma i suoi successi non furono clamorosi mai: il favore pubblico lo segue costantemente fin dai suoi inizi, piace sempre, piace molto, vende tutti i suoi quadri, tutte le gallerie principali vanno a gara nell’adornarsi dei suoi paesaggi, ma non si saprebbe dire quale sia il suo capolavoro.
La sua personalità spiccatissima s’incontra dappertutto, nella piccola come nella grande tela.
Senza riuscire mai monotono, egli traduce nei suoi quadri un’armonia che vibra nella natura, ed è unica e varia ad un tempo. E batte su questa nota di contadini, d’armenti, di pastori, di reduci dal lavoro, di pascoli sotto i faggi, di persone contadine accoccolate sulle alte pendici di fronte ai vasti orizzonti, di buoi sereni, di asinelli scherzosi, e di tutto ciò rileva con finezza la comicità, la sublimità poetica, la grandiosità epica.
Egli fu il primo in Italia che seppe rivelare questo intimo senso arcano della natura, che pochi vedrebbero s’egli non avesse avuto il dono d’incorniciarlo nelle sue semplici e simpatiche tele. (1910 - Stefano Bruzzi, L'Artista Moderno, Torino, n. 11, pp. 178/180 ill.).
Bibliografia:
1868 - Esposizione delle opere di Belle arti nelle Gallerie del Palazzo Nazionale di Brera, catalogo mostra, Milano, Luigi di Giacomo Pirola, p. 5.
1890 - Ricordo della XLIX Esposizione, Soc. Promotrice delle Belle Arti in Torino, ivi, a spese della Società, dicembre, p. 31.
1910 - Stefano Bruzzi, L'Artista Moderno, Torino, n. 11, pp. 178/180 ill.
1996 - La Biennale di Venezia. Le Esposizioni Internazionali d’Arte 1895-1995, Venezia, Electa, p. 339.