Veruda Umberto

pittore
Trieste, 6 aprile 1868 - Trieste, 29 agosto 1904

Alla V Esposizione di Venezia del 1903, presenta il Ritratto del dott. T.

Nel 1922 viene ricordato alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con una Mostra Individuale, a cura di Pietro Fragiacomo, Alfredo Tominz, Giovanni Myer, Carlo Wostry, con testo di Silvio Benco, vengono esposte Ventisette opere.


Umberto Veruda nacque nel 1868 a Trieste, da famiglia molto modesta. Si rivelò pittore giovanissimo, e fu mandato a studiare all’Accademia di Monaco. Ma vi rimase un anno soltanto, e studiò più da sé che coi maestri. Tornato in patria, la sua maniera vivace di colorire, il suo amore del tono puro e cantante, e certe sprezzature della forma che egli troppo baldanzosamente ostentava, fecero nascere dispute tra chi vedeva in lui un forte temperamento pittorico e chi lo teneva per un ingegnaccio balzano. Vedute oggi, le sue pitture di quegli anni non giustificano l’accanito disputare che si fece allora: sono studi fatti sul vero, con qualche accentuazione di tendenza naturalistica, con qualche innocente inesperienza non mascherata da ripieghi accademici, ma che pur si ricollegano alla pittura veneta che egli aveva nel sangue. Mandato a Roma con un premio municipale, il quadro Sii onesta, dov’erano un ammirabile pezzo di nudo e un senso dell’ambiente espresso con efficace semplicità, lo designò alla lode di Domenico Morelli e gli aperse le porte della Galleria Nazionale. Già in quel tempo un critico fiorentino scriveva di lui che, gli avessero dato un decimetro di tela dipinto da Veruda, lo avrebbe riconosciuto fra mille. Gli anni successivi furono divisi tra lunghi e per lo più sfiduciati soggiorni a Trieste e pellegrinaggi artistici per vari paesi d’Europa: a Vienna dipinse il ritratto del celebre attore Sonnenthal, e quelli di parecchi negozianti e banchieri, dei quali seppe rendere con meravigliosa franchezza i caratteri, tipici; a Londra ottenne di fare il ritratto della duchessa di Marlborough; a Parigi sostò più volte, dapprima per condurvi la vita del Quartier Latino dov’ebbe dimestichezza coi poeti Verlaine e Vielé-Griffin; poi, l’ultima volta, per costringersi a un severissimo studio del disegno, del quale non si sentiva padrone abbastanza energico. Questa disciplina lo ringagliardì, e purificò in lui anche il coloritore, rendendolo più nitido, più parco e più equilibrato, quale lo si ammira nei quadri dei suoi ultimi tempi. Molti di questi furono veduti alle Internazionali veneziane, e tra essi quel superbo ritratto dello scultore Giovanni Mayer, che fu acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna, e le sue due ultime opere - scene della vita popolare - dipinte a Burano poco prima della morte. Il Veruda morì giovane, il 29 agosto 1904, e tutti ebbero l’impressione che si fosse spenta una figura tipica dell’arte italiana, un temperamento indipendente e pieno di sincerità, un artista tutto preso dalla meraviglia della luce e dalla passione del vero. Egli tenne moltissimo alla sua originalità, che esteriormente amava esprimere con la ricercatezza alquanto grottesca e spavalda onde vestiva la sua bizzarra persona, ma che dentro di lui dovea superare la continua guerra con gli amari sconforti, con i celati dubbi, con i tormenti che egli sentiva acutissimi della coscienza d’artista. Lo studio del Veruda si concentrò sempre su la figura umana; al paesaggio poco diede di sé, e non il meglio. Fragrante e fresca sensualità di donne giovani, carezzate dalla sua lunga pennellata, e penetranti analisi di caratteri virili, intonate con larga e robusta schiettezza, sono il miglior tesoro che il maestro triestino ci abbia lasciato.

Silvio Benco (1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra).


Bibliografia:


1903 - Vittorio Pica, L'Arte Mondiale alla Quinta Esposizione di Venezia, Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, p. 134.

1922 - Silvio Benco, XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 103/105

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