Artisti Italiani: Fiore Tomea. - 1937 - Il Frontespizio, Firenze, Vallecchi Editore, n. 8 agosto, pp. I/VIII (6 quadri - 1 acquerello - 12 disegni).
Sono nato a Zoppe di Cadore il 7 di febbraio 1910. Mio padre era pastore e da giovane ho costudito anch’io le vacche su alla malga di Fiorentina. I miei primi ricordi sono ricordi di guerra: soldati, operai del genio; più tardi gendarmi bosniaci, bombe, perquisizioni, fame. A dodici anni sono stato a Milano la prima volta col mio fratello maggiore, e fui preso a servizio in un’osteria di Corso Buenos Ayres, poi presso un circo equestre, e in ultimo feci il venditore ambulante di paste. Dopo un anno ritornai a Zoppé dove vidi per la prima volta un pittore a dipingere. Gli portavo gli arnesi, fissandogli il cavalletto con dei grossi sassi quando tirava vento. Una volta gli tenni ferma una vacca per un paio d’ore legata a un larice. Da questo pittore, di nome Masotto, seppi che esisteva a Verona una scuola di pittura. L’anno dopo mi iscrissi all’Accademia Cignaroli. Frequentai i corsi per tre anni: in quella scuola ero visto come una bestia rara. Il capo della compagnia dei venditori ambulanti non vedeva di buon occhio che io Volessi studiare, e un giorno che gli mostrai un disegno a carbone fatto all’accademia, mi disse: «Non c’è proprio neanche un’idea; se continuerai a disegnare, alla fine della stagione tutto quello che metterai insieme saranno soltanto di queste carte scarabocchiate, ma se stai con noi a vendere, potrai guadagnarti qualche biglietto da cento». Certo, il mestiere del venditore ambulante, fatto bene, poteva rendere: mi ricordo che alla fine di una stagione mio fratello Giovanni ed io avevamo messo da parte un migliaio di lire. Le depositammo in una banca, e la banca dopo qualche giorno fallì.
Però non abbandonai completamente il mestiere: alla sera dopo le ore di scuola facevo il giro colle paste nelle osterie di Porta Vescovo e di Borgo Venezia e in primavera andavo a Ferrara col carrettino dei gelati, e mi guadagnavo quel tanto che mi poteva permettere di lavorare per conto mio per qualche tempo su a Zoppé. Avevo già sentito parlare del gruppo del Novecento e delle polemiche sull’arte moderna. A Ferrara cominciai a comprare dei giornali che leggevo fra un giro e l’altro per le vie della città e cominciai a tenermi al corrente di quanto si diceva e si faceva negli ambienti dell’avanguardia.
Ricapitato a Milano nel 1928, conobbi i giovani artisti di quella città e mi affiatai in modo particolare con Birolli, Sassu, Manzù coi quali esposi in una mostra collettiva organizzata da Edoardo Persico alla Galleria del Milione. A Milano in quegli anni vivevo esercitando il mestiere del venditore di frutta e verdura da un mercato all’altro con il carretto, e nei mesi caldi di luglio e agosto andavo a Grottadimare con i gelati; quell’anno che si sparse la voce sulla spiaggia che ero pittore feci affari d’oro: tutti mi vollero vedere e conoscere e intanto si rinfrescavano con un gelatino, alla sera poi vicino allo stabilimento bagni, dove di sera avevo una specie di posteggio sotto ad un lampione, si discuteva volentieri fino a ore impossibili con Rivosecchi, Bocca Bianca, Birolli, Fazzini e tanti altri. Nel 1931 mi chiamarono soldato nel 7° Genio a Firenze dove rividi Sandro Bini che avevo lasciato quattro anni prima all’Accademia. Bini un giorno mi accompagnò da Bargellini al quale feci vedere alcuni miei disegni di pastori, soldati, donne, paesaggi di montagna» Bargellini me ne pubblicò due sul Frontespizio. Da allora sono sempre apparsi ogni tanto dei miei disegni su quella Rivista. In caserma me la passavo abbastanza bene. Congedato, fui al Lido di Venezia col mio carrettino dei gelati. Se il tempo era cattivo mi trovavo qualche volta al Florian o al caffè delle Zattere con Marchiori, Guidi, Ravenna e la Rita, tenuto in alta considerazione dai camerieri per via della mia divisa bianca con berrettino da ufficiale di Marina. L’assenza del carrettino mi faceva forse sembrare una persona importante.
Nell’autunno del 1934 partii alla volta di Parigi con Sassu, ansioso di vedere un nuovo paese e la pittura dell’800 francese e i maestri viventi. Abitammo in una camera a Rue de Vaugirard. L’arredamento di questa camera in buona parte fu fatto con suppellettili - prese nello studio che Mucchi aveva abbandonato portandosi via la chiave e dicendoci di prendere quanto potevamo. Fummo sorpresi dalla «concierge» che eravamo carichi come facchini e purtroppo il grosso dovemmo lasciarlo là. «Questa camera è quella che ospitò Balzac», diceva il pàdron di casa ed asseriva che le cimici che ci molestavano erano rimaste appunto dal tempo di Balzac. Abitammo anche a Montmartre, in Rue de l’Elysée des Beaux Arts, dove il letto era molto piccolo. Trovammo comodo di darci il cambio: di notte Sassu dormiva e io andavo a spasso, di giorno Sassu lavorava e dormivo io. A Parigi conobbi Severini, De Chirico, Tozzi, De Pisis e la Fini, alla quale feci un ritratto. Esposi in una mostra collettiva organizzata da Amante alla Galleria dei Quatte Chemins, mostra che non ebbe alcun successo.
Dopo aver girato in lungo e in largo per la capitale di Francia, mi trovai ricoverato all’Ospedale della Charité ammalato di morbillo (morbillo). Durante la quarantena feci parecchi disegni di infermiere e dottoresse, e imparai a masticare quelle quattro parole francesi che mi servirono a tenere allegre queste care persone. Le mie condizioni di salute e d’appetito mi consigliarono il ritorno in Patria. Una notte d’inverno sbarcai a Milano pallido, rapato, senza baffi e senza soldi, con una bombetta in testa che ancora oggi porto nelle grandi occasioni (inaugurazione della Quadriennale, Biennale di Venezia, Sindacali lombarde ecc.).
Tornando da Parigi ho abbandonato il commercio ambulante dedicandomi completamente alla pittura, interrompendo il'mio lavoro soltanto l’estate scorsa per un richiamo sotto le armi nell’11° Genio di Udine. Ma anche in questo periodo, sia in caserma che alle manovre, ho avuto modo di disegnare soldati, accampamenti, paesaggi di montagna. Ho partecipato alle Mostre sindacali Lombarde, ho fatto una personale di disegni alla Galleria del Milione, una collettiva alla Galleria della Cometa con Mucchi, Manzù, Sassu, Wiegmann e Lilloni.
Da due anni ho un piccolo studio a Milano in Viale Beatrice d’Este, dove una volta avevo le mie tele, i colori, il cavalletto, una valigia con qualche indumento, delle scarpe, un soprabito, un impermeabile e 250 lire che una sera tornando dal cinematografo non ho più trovato. Vennero gli agenti di pubblica sicurezza a fare un sopraluogo, e dissero: «Il solito sistema: furto con scasso».
Ho dei lavori alla Galleria d’arte moderna di Milano, a quella di Mosca, nelle collezioni Muzio, Gardazzo, Pecci Blunt, Simonotti, Gorgerino, avvocato Tallone, Saraceno, dott. Mucchi, ing. Rossari, Tosi, Martini, Janni, Gerardi Vergmobello e altri. Quest’anno alla Sindacale Lombarda sono stato premiato con medaglia d’oro del Ministero della Educazione. (FIORE TOMEA).
Nel 1953 partecipa all'Esposizione Nazionale d'Arte. Biennale di Brera e della Permanente, con il dipinto: I profughi.Nell’aprile - maggio 1955 partecipa alla Mostra Italiana di Arte Sacra per la Casa Cristiana, che si tiene all’Angelicum, di Milano, con la scultura: Madonna con bimbo.
Nell’aprile - maggio 1955 partecipa alla Mostra Italiana di Arte Sacra per la Casa Cristiana, che si tiene all’Angelicum, di Milano, con il dipinto: Altarino devozionale.
Bibliografia:
1932 - Sandro Bini, Artisti, edizioni Libreria del Milione, Milano, pp. 53/70.
1937 - Artisti Italiani: Fiore Tomea. Il Frontespizio, Firenze, Vallecchi Editore, n. 8 agosto, pp. I/VIII (6 quadri - 1 acquerello - 12 disegni).
1953 - Esposizione Nazionale d'Arte. Biennale di Brera e della Permanente, catalogo mostra, tav. 84.
1955 - Seconda Biennale di Arte Sacra per la Casa indetta dall' "Angelicum" di Milano, Aprile - maggio 1955, Città del Vaticano, Fede e Arte, Rivista Internazionale di Arte Sacra, Anno III, n. 6 giugno, p. f.t.