Terreni Gino

pittore scultore xilografo
Empoli, 13 settembre 1925 - Empoli, 28 novembre 2015

Gino Terreni è stato un docente ed un artista italiano fortemente legato alla corrente espressionista e alle tradizioni toscane.

È nato a Empoli, ultimo di cinque fratelli (quattro maschi e una femmina), in località Tartagliana, figlio di Giuseppe e di Maria Mazzantini, coltivatori diretti, il 13 settembre del 1925.

È morto all’ospedale di Empoli la sera del 28 novembre 2015, dopo breve malattia dovuta ad un grave ictus cerebrale.

Ha lavorato intensamente fino all’estate dello stesso anno. Di carattere ribelle ed estroverso (in casa lo chiamavano “frucola”), fin da giovanissimo ha espresso le proprie doti artistiche plasmando l’argilla del luogo e disegnando la vita quotidiana dei contadini della valle dell’Orme. Si fa il primo autoritratto nel 1937, a soli 12 anni. Diventa allievo del valentissimo pittore e incisore empolese Nello Alessandrini, preside della scuola d’avviamento di Empoli. Alessandrini fin dagli inizi degli anni trenta del novecento frequentava casa Terreni, a Tartagliana, in Valdorme. Vi giungeva sempre in sella alla sua bicicletta con il cavalletto portatile da pittore legato alla canna della stessa e qui realizzava paesaggi e scene agresti. Ebbe modo, così, di “scoprire” l’estro di Gino e di seguirne la crescita artistica, portandoselo in bicicletta a dipingere le colline circostanti e facendogli frequentare il suo studio di Empoli. Lo convinse, nonostante le remore della famiglia, a frequentare l’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze. Appena quindicenne ha modo di conoscere, presentato da amici del fratello, Alessandro Pavolini, allora potentissimo Ministro della Cultura Popolare dell’Italia fascista. L’incontro a Firenze sorte l’effetto contrario alle aspettative del fratello e si defila decisamente dal fascismo. L’evento bellico interrompe i suoi studi, Firenze è sotto i bombardamenti e lui ritorna in campagna. L’Italia è allo sbando, arrivano i giorni drammatici che seguono l’8 settembre del 1943. Ormai 18enne, non si limita solo ad osservare il dramma che gli si consuma attorno e decide di non presentarsi alla chiamata dal distretto militare di Pistoia. Renitente alla leva è costretto alla macchia ed è ricercato. Le sue mani d’artista fanno così esperienza del fucile, lascia gli studi e si unisce ai partigiani che lottano per la liberazione di quella parte d’Italia occupata dall’esercito nazista.

Entra, col nome di battaglia di “Ricciolo”, nel 3° raggruppamento Carlo Rosselli, collaborante con la brigata Arno.Il suo comandante diretto era Vinicio Berlincioni di Empoli.La Carlo Rosselli era costituita da un gruppo di partigiani simpatizzanti del Partito d’Azione, la cui area operativa principale s’estendeva dalla Val di Pesa e le colline fiorentine, alla Val d'Orme, fino alla Val d’Elsa. Erano i tempi drammatici di “Radio Cora” e di “Villa Triste” a Firenze.

Durante le azioni partigiane conosce direttamente Aligi Barducci, detto “Potente”, comandante della Brigata Garibaldi “Arno” e artefice della liberazione di Firenze.

Sempre da partigiano incontra, nella tarda primavera del 1944, il grande artista Giorgio De Chirico, fuggito dai bombardamenti di Firenze e sfollato vicino alla pieve romanica di Coeli Aula, piccola frazione rurale nel comune di Montespertoli, proprio a pochi chilometri da Tartagliana, dove Terreni è nato. Insieme rischiano la vita per il mitragliamento di un cacciabombardiere inglese. Proprio riguardo a questo episodio, Gino Terreni ricorda direttamente: “Camminavo a fianco del pittore Giorgio De Chirico che era sfollato vicino alla pieve di Coeli Aula, nel comune di Montespertoli e con il quale scambiai pochissime parole. Ad un tratto dalla curva sopraggiunse Don Rigoletto col calesse, con il suo cavallino rosso, affiancato da un camion di tedeschi e contemporaneamente vidi un caccia bombardiere inglese che, dopo aver cercato di colpirli con una sventagliata di mitraglia, lanciò, per alleggerirsi, alcune bombe, che finirono, per fortuna senza danni, nel vallone sottostante. Io mi buttai a terra, ma De Chirico continuò imperterrito a camminare come se nulla fosse. Tornai in seguito a trovarlo.”

In memoria e in onore dell’incontro con De Chirico realizza nel 1945 “L’autoritratto da partigiano”.

Dopo il passaggio del fronte dal Valdarno è tra i 530 volontari che partono da Empoli e che si arruolano nel neonato Esercito Italiano. Si reca a Cesano, sul lago di Bracciano, per arruolarsi nella divisione Legnano, e lì affronta un breve ma intenso addestramento. Viene assegnato al 68° reggimento della divisione Legnano, compagnia mortai da tre pollici, e poi al Col Moschin, IX battaglione arditi d’assalto.

Riceve in dotazione una divisa e un fucile inglese, sebbene la Divisione Legnano faccia parte del II° Corpo Statunitense e poi della V Armata Militare, sempre americana. Combatte sulla Linea Gotica, in Val d’Idice e nell’aprile del ’45, il fronte tedesco si spacca e arretra. Gino è tra i primissimi liberatori di Bologna e nell'azione di respingimento con il suo battaglione arriva fino a Brescia. Rimane in città, dove conosce una ragazza e torna a casa solo dopo un po’ di tempo, tanto che in famiglia lo danno per morto.

Ma negli occhi di Gino restano impressi per sempre, come diceva spesso: “i volti impauriti, i corpi accatastati, il dolore, il sangue e l’orrore.”

La sua vita è un’avventura: scampa al plotone di esecuzione per ben due volte. Da partigiano, fu prima della piena estate del ’44, nella zona delle Casenuove alla periferia di Empoli. Messo al muro con l’amico Gino Zani, lungo la via di Poggi Piedi, presso un pozzo, trova l’attimo di fuggire quando “l’anziana” contadina Argìa Tognoni nei Regini, sceglie volutamente di passare davanti al plotone di esecuzione per distrarlo, con la scusa di prendere l’acqua dal pozzo stesso e permettendogli così di fuggire nei campi.

Da assaltatore del “Col Moschin”, fu tra la fine dell’inverno e gli inizi di primavera del ’45, sulla Linea Gotica. Viene catturato con un commilitone durante un’incursione e appena riconosciuti come italiani invece che come inglesi, sono messi al muro presso un piccolo cimitero. Si salvano lanciando contro il plotone due bombe a mano che avevano indosso e che i tedeschi, che li avevano sommariamente perquisiti, non avevano trovato.

Finita la guerra, riprende gli studi al Magistero Fiorentino (Istituto d’Arte di Porta Romana), sotto la guida di Francesco Chiappelli e Pietro Parigi. Quest’ultimo, grandissimo xilografo, influì molto sulla sua opera incisoria e gli fu anche maestro di vita. Gino ricomincia così a frequentare Firenze. Nel 1946 alloggia in una stanzetta sul Lungarno, in Borgo San Jacopo, con la finestra che guarda Ponte Vecchio e si mantiene agli studi dando lezioni di tango e di valzer ed esibendosi in vari locali notturni della città.

Determinato a terminare gli studi, recupera in soli due anni il tempo perso con la guerra.

Nell'anno Accademico ‘47/’48 si diploma e consegue l'abilitazione per l'insegnamento delle materie artistiche.

Gli orrori della guerra lo hanno segnato profondamente e da questo momento inizierà a percorrere la strada dell’Espressionismo, quasi alla forma pura, avvicinabile alle correnti nordiche, ma con caratteristiche tutte toscane, originali. Nelle sue opere, oltre alla tragicità c’è la speranza. Pur affrontando ogni tipo di soggetto, dai nudi ai paesaggi fino alle nature morte, con sconfinamenti nell’astrattismo, la sua arte diviene soprattutto testimonianza e memoria della Storia Italiana del Secondo Novecento: gli orrori dellaguerra, la speranza della pace, il ruolo fondamentale della donna/madre nella società moderna (tra i suoi soggetti privilegiati), l’epopea contadina (che Terreni considerava una “seconda resistenza”) col conseguente abbandono della vita dei campi, i fatti di mafia e l’arte sacra, intesa concettualmente come rappresentazione della sacralità della vita e dell’umanità del sacro. Sperimenta quasi tutte le tecniche conosciute, dalla scultura all’incisione, dall’affresco al mosaico, dai quadri ad olio alle vetrate dipinte e cotte a “gran fuoco”.

Sono tempi durissimi quelli dell’immediato dopoguerra, la sua famiglia non lo aiuta e ha bisogno di lavorare. Fa molte supplenze in piccoli centri come Montaione (FI) e Larciano (PT). Finalmente ha il suo primo incarico pubblico di docenza al Liceo Foresi di Portoferraio, dove si trasferisce nel 1951, subito dopo aver sposato Anna Maria Davini, figlia del capostazione di Montelupo Fiorentino, Alessandro Davini, maremmano. All’isola d’Elba è inviato come in esilio, per l’intervento diretto di un ex gerarca fascista, rientrato nel suo ruolo al Ministero dell’Istruzione nel dopoguerra, che gli rimprovera di essere stato partigiano. Dopo aver combattuto per i valori della libertà e della democrazia, questo episodio rappresenta per Terreni profonda delusione ed amarezza. Con la moglie va ad abitare in un piccolo appartamento “bohèmien” all’ultimo piano di un palazzo sulla Calata Matteotti, con l’ingresso di fronte alle “Galeazze”. Ma all’Elba è accolto molto bene e nei due anni di permanenza dipinge un grande numero di paesaggi e di marine, rimanendo profondamente legato all’isola e ai suoi abitanti anche negli anni successivi. Rientrato a Montelupo Fiorentino, vicino all’abitazione dei suoceri, realizza numerose opere xilografiche e disegni sulla vita lavorativa dei ceramisti. Nel 1953 nasce suo figlio Leonardo Giovanni e nel 1959, sempre a Montelupo, nasce sua figlia Sabrina. A fine degli anni cinquanta torna a risiedere a Empoli, nella sua nuova abitazione in via Giovanni Duprè 48 e dagli inizi degli anni sessanta insegnerà nelle scuole empolesi, fino alla pensione. Tiene la sua prima importante personale nel 1955, al Fondo Anichini a Piombino (LI).

Dopo saranno centinaia le mostre personali e le collettive su invito, realizzate un po’ in tutto il mondo. Nel 1957 illustra “Lo Scacciapensieri” di Mario Giusti. Nel 1959 è invitato personalmente da Picasso ad esporre alcune opere, tra cui un autoritratto, alla galleria Jacquemart André a Parigi, per beneficenza verso le vittime del traforo del Frejus. Alla fine degli anni ’50 incontra a Firenze Walt Disney, che lo vorrebbe nel suo staff di disegnatori, ma rinuncia per continuare a dipingere i suoi soggetti privilegiati. Diventa membro effettivo dell’Associazione Incisori Veneti e degli Incisori d’Italia. Nel 1963 vince il Primo Premio Nazionale della Resistenza, a San Donato Milanese, con l’opera xilografica “Il pianto delle Madri”. Nel 1964 è nominato Accademico dell’Accademia Tiberina, già Pontificia Accademia, a Roma. Nel 1968 vince la Quadriennale d’Europa e in seguito, il “Sigillo Mondiale” per i cento anni di Roma Capitale e il Premio “Brunellesco” a Firenze. Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 le sue opere grafiche sono esposte su invito nelle principali esposizioni europee e decine di opere pittoriche vanno negli Stati Uniti tramite le gallerie di New York e Houston di Gustav Alker. Nel 1970 e nel 1974 è invitato alla II e alla IV Biennale Internazionale della Grafica a Palazzo Strozzi a Firenze. Sempre nel 1970 è nominato Accademico dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Da metà degli anni settanta è spesso in campagna, quasi in ritiro, presso la sua azienda agricola Il Selvatico, nel comune di Castelfiorentino, dove lavora molto con la tecnica dell’affresco tradizionale e dove tiene numerosi corsi, sempre di affresco, a studenti stranieri, soprattutto giapponesi. Sempre negli anni ‘70 conosce Gesualdo Pertici, grande appassionato di arte, che diverrà, oltre che caro amico di Gino, anche uno dei suoi più assidui e convinti collezionisti, coinvolgendo anche tutta la sua famiglia nelle visite allo studio dell’artista. Nel 1981, su incarico del Vaticano, esegue la serie di quindici xilografie su legno di filo sulla vita di Padre San Massimiliano Kolbe, ora in molti musei compresa la Floreria Vaticana.Diventa membro dell’Accademia delle Muse a Firenze e “Paiolante d’Onore” dell’antica Compagnia del Paiolo di Firenze. Nel 1984 ottiene la nomina di “Combattente per la Libertà” conferitagli dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel 1990 conosce Marco Cellerai, che diviene un suo grande amico e mecenate e che gli concede, come studio per gli affreschi, la Torre di Arnolfo a Colle di Val d’Elsa (SI), Casa Natale di Arnolfo di Cambio. Nella Torre realizza importanti opere preparatorie sulla “Battaglia di Colle” del 1269 e tre grandi affreschi.

Si è fatto un numero impressionante di autoritratti e la sua produzione è sterminata.

Ha illustrato libri e realizzato “ex libris”, ha inciso oltre mille xilografie, tra le quali le più grandi del mondo su legno di filo.

Le sue opere, frutto di quasi ottanta anni di attività artistica, si trovano presso numerosi musei, nazionali ed internazionali, in decine di chiese, edifici storici e piazze italiane. Tra questi si possono citare la Galleria degli Uffizi a Firenze, doveè presente con un autoritratto giovanile del periodo espressionista, quindici disegni del tempo di guerra e una serie di xilografie; l’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze con due autoritratti in affresco e quaranta opere di varie tecniche; il Museo Puskin di Mosca con una serie di xilografie e litografie; la Casa Museo di San Massimiliano Kolbe a Roma con 15 xilo sulla vita del santo; la Floreria Vaticana; le collezioni del Consiglio Regionale della Toscana; il Museo dei Gessi di Pietrasanta, con i bozzetti di alcuni monumenti colà realizzati; Le chiese di Limite sull’Arno (FI) e di San Rocco a Larciano (PT); i grandi cicli in mosaico presso i Santuari di San Donato a Livizzano (Montespertoli-FI) e di San Gerardo Materdomini, in provincia di Avellino; l’affresco nella Basilica diSanta Dorotea a Roma.

Ha realizzato sette monumenti pubblici, tra cui da evidenziare il grande monumento marmoreo “Lo Stupore”, dedicato alle vittime per l’Eccidio del padule di Fucecchio, del 23 agosto del 1944, inaugurato nel settembre del 2002 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, a Castelmartini di Larciano (PT). Qui sono presenti e musealizzate anche sette importanti opere preparatorie del monumento presso il Centro Visite del Padule di Fucecchio. Vanno citati anche (in ordine cronologico): l’area monumentale dedicata alla M.O.V.M. Stellato Spalletti a Ponte a Egola di San Miniato (PI), nel 1992; il monumento internazionale alla Pace, in bronzo e mosaico, all’Abetone (PT) su incarico dell’ONU, nel 1994; il monumento ai caduti di tutte le guerre e alla Pace, in bronzo e mosaico, a Montelupo Fiorentino (FI), nel 1996; il monumento “Accidenti a voi”, in marmo statuario, per le vittime del bombardamento americano alle Cascine di Empoli del 26 dicembre 1943, a Empoli (FI), nel 2003.

Nel 2003 muore la moglie Anna Maria Davini, la compagna di tutta una vita. Accusa il colpo e perde la serenità, rallentando molto la sua attività artistica. Nel 2004 viene operato per un tumore al rene, ma reagisce e supera bene il brutto momento, tornando a lavorare intensamente.

Nel 2008 la Regione Toscana gli ha dedicato una mostra omaggio a Palazzo Cerretani a Firenze e nel maggio 2012 e settembre 2014 ha tenuto due grandi esposizioni, sempre omaggio alla sua carriera artistica, organizzate dall’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze.

È nominato Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti artistici e civici nel 1999, sotto la Presidenza di Carlo Azeglio Ciampi. Cittadino onorario dei comuni di Montaione (FI), Abetone (PT) e Larciano (PT).

Ha fondato, a Empoli, con l’amico e collega Virgilio Carmignani i “Musei della Resistenza e d’Arte Moderna”, dove ha decine di opere. Particolarmente intensi sono stati i rapporti con il territorio e la popolazione del comune di Larciano (sua madre era nativa della confinante Lamporecchio). Qui da giovanissimo ha fatto le sue prime supplenze di scuola e sono presenti opere tra le più importanti, tanto da ricevere la cittadinanza onoraria, per iniziativa del sindaco Antonio Pappalardo, nel luglio del 2011.

Ha trascorso gli ultimi anni della sua vita nel comune di Scandicci, a San Martino alla Palma, in via di Calcinaia, con la sua seconda moglie, sposata nel 2009, la poetessa Delia Orlandi.

Ispirato dalla tranquillità e dalla bellezza delle dolci colline di San Martino, ha qui prodotto molte opere, tra cui i lavori preparatori degli ultimi due monumenti, come “Il Tripudio”, per il Comune di Montespertoli e “La Resistenza e la Pace”, in Palazzo Maccianti per il Comune di Certaldo e numerosi affreschi su tavola, come quelli ispirati alle “Madri dei Martiri di San Martino” e la bellissima serie de “I senza volto”.

Di lui hanno scritto i principali critici italiani.

L’ultima sua grande mostra da vivente si è tenutada dicembre 2014 a gennaio 2015, presso il Museo Civico di Fucecchio (FI).

Il 3 marzo 2016 nasce, per iniziativa degli eredi Leonardo-Giovanni e Sabrina Terreni, con le loro figlie Elena, Giulia e Rachele e insieme a storici dell’arte ed allievi, l’Associazione “Archivio Gino Terreni”, per la catalogazione, la tutela e la valorizzazione delle opere del Maestro.

Nel maggio del 2019 il Comune di Scandicci gli ha dedicato un’esposizione museale permanente presso Badia a Settimo, dove è presente anche la sua ultima opera incompiuta.

Il Comune di Colle di Val d’Elsa ha acquisito la Casatorre, casa natale di Arnolfo di Cambio, dove Terreni aveva lo studio e sta progettando la ricostruzione parziale del suo studio di pittura.

È in corso di lavorazione il film documentario sulla vita dell’artista, a cura del regista Massimo Tarducci di Firenze, patrocinato dalla Regione Toscana.

È prossimo il completamento della stesura della biografia.


Sue incisioni sono inserite nella Raccolta delle Stampe Adalberto Sartori di Mantova,

Sito internet: www.raccoltastampesartori.it

Contatti:

E-mail: info@archivioginoterreni.it


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