Stultus Dyalma

pittore scultore disegnatore
Trieste, 31 ottobre 1901 - Darfo Boario Terme (BS), 24 settembre 1977
racconto
Racconto - ante 1935

Nel 1930 partecipa alla XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con due dipinti: Val Branizza, La lettera.

Nel 1932 partecipa alla XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con il dipinto: Il Frigido a Montespino.



Dyalma Stultus - Nel suo alto studio, dove tutto è nitido e lineare come in una cella si passa involontariamente con gli occhi dal quadro al pittore per trovare raccordo segreto fra due apparenze discordanti.

Dalle tele le figure dipinte balzano con una tale solidità di architettura e corposità, che sembra impossibile siano state create da questo giovane sottile, biondo, chiuso nel camice bianco, dalle dita nervose e prensili somigliante ad un adolescente preraffaellita.

Ma addentrandoci nella sua vita subito ci si svela una sorgente di ardente forza. Essa bruciò come un fuoco le catene della solitudine totale - il padre era lontano e dimentico, la madre oppressa da mille triboli - bruciò le catene della miseria, vinse l’atmosfera di guerra della desolata Trieste del 1916, sollevò il pondo del mondo nemico che si opponeva alla sua irreprimibile vocazione di pittore. Il giovinetto Stultus giunse a frequentare per due anni la Scuola industriale di Trieste e con la Redenzione ottenne un premio dal Comune per poter frequentare per tre anni l’Accademia di Venezia (1919-20-21) avendo a suoi maestri Ettore Tito dalla vivace saporita pittura, il decoratore Sézanne ed il Brugnoli.

Primo frutto dei suoi studi fu la mostra personale alla Cà Pesaro di Venezia, elogiata dalla stampa e da Nino Barbantini.

Questo fu il crisma per il giovane pittore. I primi lavori avevano un calore esclusivamente impressionistico: studi all’aperto, impressioni fresche, immediate, ed a volte molto ardite nelle quali però già si distingueva il segno sicuro.

Il suo istinto di esprimere tutto in forme e colori, trovava scendendo come un torrente dal monte della passione i letti già segnati dalle generazioni passate: a Venezia quello dell’antichissima scuola veneta, nella sua città natale posta all’incrocio delle correnti spirituali, quelli segnati dall’influsso artistico germanico che scendeva dal nord e quelli segnati dall’influsso latino che saliva dal sud.

Da principio nel fiume dell’impressionismo trovò appagamento la sua forza istintiva e la sua esuberanza di colorito: era quasi la prima giovinezza che si manifestava con foga sensuale, ma l’altra parte dell’artista complesso che è Dyalma Stultus, l’altra parte fortemente cerebrale che insorge sempre quando l’istinto ricade stanco, rimaneva insoddisfatta.

Incontentabile, fremente, avido di curiosità e di studio gira quasi tutta l’Italia fermandosi più a lungo a Roma ed a Firenze, maturandosi con lo studio degli antichi. Lentamente, con passione, egli andava svelando a se stesso la sua vera personalità.

Per accontentare un’alta necessità del suo spirito Stultus si abbandonò per un certo tempo ad una pittura metafisica e percorse sino in fondo anche questo sentiero senza però trovarvi la propria risoluzione. Dopo questa nuova esperienza sorgeva anzi l’imperativo di una sintesi: bisognava fondere le due essenze che fanno l’uomo completo ed il perfetto artista che vuole esprimere la totalità della vita.

Intanto le esposizioni si susseguivano; si inauguravano le mostre personali a Trieste, Stultus partecipava a tutte le mostre sindacali, veniva accolto in tutte le mostre nazionali e nel 1930 arrivava all’internazionale di Venezia. Ovunque il successo era sempre lusinghiero.

L’onda rivoluzionaria iniziata dalle ribellioni di Van Gogh o di Cézanne che nel dopoguerra s’era riversata impetuosa sul mondo delle arti abbattendo le colonne della tradizione, inalberando nuovi credi: sintetismo, volumetrismo, surrealismo, ecc. disorientando artisti vecchi e giovani, suscitando polemiche non trascinò con sè Stultus.

Nell’insorgere delle violenze verbali e delle clamorose abiure pittoriche egli non si abbandonò nè al primitivismo, nè alle ironie del grottesco, nè alle deformazioni idiote. In silenzio continuava la sua via, obbediente ad una semplice legge venutagli dagli antichi che insegnava ad essere fedeli e coscienti al vero, ciò che imponeva un approfondimento sempre più severo dell’esecuzione e della tecnica ed un ac- costamento sempre più stretto alla vita.

In questo momento egli incontrò un maestro, il Carena, ed il novecentismo sano fu per lui come un fiume felice.

Esso lo portò verso la meta senza che la formula sopprimesse la vita né che il timbro personalissimo della sua pittura ne venisse attutito.

Questo è lo Stultus delle internazionali veneziane (1930, ’32, ’33), delle mostre estere di Barcellona (1927) e degli Stati Unito (1931), dellemostre personale di Milano (1932) e di Roma (1933-34).

I suoi paesaggi dai toni sobri, ricchi d’acque, dove le forme vegetali hanno una corposità densa, spirano quasi un senso biblico della natura. I suoi adolescenti dagli occhi sognanti come nelle carni il peso della terra alla quale aderiscono come delle piante carnose, ci dicono come questo giovane sensitivo, cresciuto fra gli asfalti della città senta profondamente le creature dei campi,come egli si immedesimi nel loro destino, nella loro melanconia silenziosa, nella loro serenità che pare attinga agli orizzonti infiniti ed al placido silenzio della campagna.

Dyalma Stultus sente la terra come se egli vi fosse attaccato da radici millenarie. Gli adolescenti del Carso sassoso sono gli interpreti delle sue visioni, con i loro occhi oblunghi e sognanti, l’immobilità nei visi assorti disegnati con linea moderna, dove la bocca ferma sboccia come un fiore, con parchi gesti, nella sommarietà e nella rudezza degli ambienti rurali.

Sirene del villaggio, vecchi scarniti, adolescenti fresche, bambinelli, viandanti che raccontano storie sono queste le figure che si stagliano fortemente dagli ambienti angusti, quelle che popolano le sue vaste tele. In esse domina la figura umana con tutto il suo sentimento nascosto da cogliere e da manifestare. La figura umana che più del paesaggio esprime il senso del dramma continuo. Egli vuole ridare nei suoi quadri il senso tragico e misterioso della vita. Si può dire anzi che Stultus sia un pittore che imprigiona i suoi fantasmi romantici nella migliore tecnica novecentesca.

La povertà ed il sogno che furono i compagni della sua fanciullezza ritornano nelle sue tele sentite con profondità umana, rivestite di austera bellezza. Povertà di creature e povertà di paesi: ma le carni sotto le misere vesti hanno sinuosità rigogliose e gli squallidi muri delle casupole carsiche sono animati da giuochi di luce così armoniosi che tutto è profondamente bello come la misteriosa vita.

Stultus ha una sensualità calda, il gusto della pennellata sensibile, che si rivela nel colore, il quale appartiene al pittore come il profumo al fiore, come il ritmo al poeta. Accanto però a questa sensualità c’è un’intellettualità raffinata ed ambidue sono completamente espresse nel grande e meditato quadro del «Sogno».

Quattro contadinelle ammirano le forme dorate di una bella donna nuda dormente. La donna venuta dalla città si abbandona al contatto della terra e riposa. Ha lasciato cadere col volume che le scivola dalle dita tutto il peso della cerebralità. Per un momento stanno accanto: lo spirito che vuole diventare carne e la carne che guarda il mistero dello spirito. Lo schema metafisico qui è riuscito ad esser incarnato e si è fatto arte.

Nelle ultime opere (quelle della mostra di Torino 1935) Stultus si va sempre più svincolando dai dogmi della scuola: già i suoi paesaggi sono più fluidi, l’esuberanza dei bruni e dei neri è più costretta, già le carni sono meno irrigidite.

Come ogni vero artista egli aspira a giungere, all’infuori di ogni moda e di ogni pseudo scuola, alla fusione dei tre elementi che fanno la grande pittura: l’espressione, la forma e la composizione. E a poco a poco, l’espressione vince negli ultimi quadri qualche rigidità delle membra e qualche artificio della composizione.

Stultus aspira a cogliere l’ultima vibrazione della nostra moderna sensibilità e giungere ad essere nello stesso tempo specchio della collettività. «È ferma la mia fede - dice il giovane pittore - che anche l’arte mia potrà dai gorghi di questa nuova umanità raccogliere in una totalità il suo grido eterno».

Dyalma Stultus è un asceta della pittura. La sua anima è abbandonata totalmente all’arte, tutti i suoi giorni non sono che un avvolgersi perdutamente in questa meravigliosa rete che lo astrae dalla vita, lo sospende quasi sopra la vita e lo fa specchio delle più alte armonie della forma e del colore. Lina Galli (1935 - Lina Galli, Artisti contemporanei: Dyalma Stultus, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 4, aprile, pp. 12/15.)


Bibliografia:

1926 - Dyalma Stultus, "Ritratto" (olio), Napoli, Cimento, p. 238 ill.

1930 - XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 63.

1932 - XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 67.

1935 - Lina Galli, Artisti contemporanei:Dyalma Stultus, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 4, aprile, pp. 12/15.

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