Artisti italiani: ARDENGO SOFFICI
Ardengo Soffici nacque a Rignano sull’Arno, da Giovanni e da Egle Turchini, benestanti rurali, il 7 aprile 1879. Imparò a leggere e scrivere da quel pievano, il quale, essendo uomo amante delle lettere, lo accompagnò in questa disciplina ben oltre le consuete nozioni elementari.
Trascorse sulla nativa collina, detta Bombone, un’infanzia poetica, felice tra i giuochi fanciulleschi e le delizie campagnuole delle varie stagioni, e dando i primi segni della sua vocazione di pittore e di scrittore, col ricoprire i muri della sua casa d’ingenue figure e composizioni, ed i fogli dei suoi quaderni di prose e versi ancora più ingenui.
Verso i tredici anni d’età si trasferì con la sua famiglia a Firenze, dove continuò i suoi studi presso i Padri Scolopi di via del Corso. Ma non passarono molti anni che un rovescio di fortuna dei suoi lo costrinse ad abbandonare le scuole ed a cercare il modo di guadagnar qualche cosa. Morto il padre, la sua adolescenza passò così tra miserie e tristezze appena temperate da qualche speranza e dal sentimento di poter forse ugualmente seguire le sue nobili aspirazioni artistiche e letterarie. Fu impiegato in una fabbrica di smalti a buon mercato, e per qualche anno giovane di studio da un avvocato civile. Codesto avvocato, il quale, essendo ricco si contentava di pochi clienti e lavorava perciò a comodo, che era un buon uomo, e per giunta mezzo letterato, gli permise d’iscriversi all’Accademia fiorentina di belle arti, e di frequentare in date ore del giorno scuole private e biblioteche pubbliche.
Fu in quegli anni che alla Scuola del Nudo dell’Accademia, ed in altri luoghi di studio, egli conobbe giovani artisti, poeti e scrittori, come Armando Spadini, Giovanni Costetti, Giuseppe Graziosi, Cesare Vinzio, Ermanno Luckert, Ferdinando Paolieri ecc., di cui divenne amico, ed in compagnia dei quali si spinse più avanti nella teoria e nella pratica delle arti, verso le quali solo era volta tutta la sua anima. Insieme ad alcuni di costoro lavorò per certe pubblicazioni illustrate di quel tempo, e, a vent’anni, dette vita a un giornaletto settimanale letterario. La Fiamma, che durò tre numeri.
Nel novembre del 1900, saputo che il suo amico Costetti, Umberto Brunelleschi ed un altro pittore, Gino Melis, andavano a Parigi per visitar quell’Esposizione universale, risolse improvvisamente di seguirli, e con poche lire in tasca partì, verso la fine del mese, con loro.
Visitata l’esposizione e fattasi un’idea di Parigi, tutti decisero di rimanervi; ma i pochi mezzi che gli amici possedevano ebber ben presto fine, e i primi tempi di quella dimora parigina furon, per i giovani, atroci di miseria e di scoramento.
Dopo aver già esposto agli Indipendenti ed essere stato favorevolmente notato da critici eminenti, dipingeva e disegnava di lena, senza tralasciar lo studio letterario e l’esercizio personale della penna. Ciò gli valse di entrare in contatto con più d’un giovane collega, francese o straniero, è con alcuni gruppi artistici e letterari di molto valore, tra i quali doveva poi vivere e lavorare con suo grande piacere e profitto. Fu così ch’egli si accostò ai cenacoli famosi della Piume, della Revue Bianche, dell’ Europe Artiste, dell’Oeuvre d’Art International, riviste alle quali collaborò con disegni e scritti; che conobbe e si fece amici giovani pittori e scultori come lo spagnuolo Picasso, il catalano Manolo, i francesi Braque, Derain, Matisse, Vlaminck; poeti e scrittori come Guillaume Apollinaire, Max Jacob, André Salmon, ai quali si deve la più gran parte dei movimenti artistici e letterari che dal principio del secolo hanno tenuto a soqquadro il mondo. Nell’ardente ed operante consuetudine, collaborazione e fraternità di codesti spiriti creatori egli stette tre anni senza uscir di Parigi: dal 1903 al 1907 se ne allontanò ogni anno per trascorrer l’estate in Italia, e solo in quell’ultimo anno ne partì definitivamente per non farvi più che un soggiorno annuale di qualche mese fino allo scoppio della grande guerra.
Già fin dal suo primo ritorno in Italia, nel 1903, Ardengo Soffici aveva conosciuto di persona in Firenze un altro giovane della sua età, Giovanni Papini, che allora dirigeva e redigeva insieme al suo amico Giuseppe Prezzolini, la rivista Leonardo, nel'a quale egli subito pubblicò uno scritto che esprimeva il sentimento risvegliato in lui dalla vista della patria ritrovata. L’amicizia onde egli si legò tosto con Papini, con Prezzolini e con altri giovani di Firenze ebbe un’ importanza decisiva nella sua vita ; e ciò apparve appunto nel 1907 quando, rientrato definitivamente in Italia, divenne al tutto della loro brigata e cominciò a lavorare con loro all’opera di risveglio spirituale della nazione, ch’essi avevano gagliardamente intrapresa. Con Prezzolini e Papini dette mano al giornale La Voce, fondata sullo scorcio del 1908 e nella quale egli pubblicò durante vari anni articoli intesi a far conoscere l’impressionismo francese, a rivelare all’ Italia lo scultore Medardo Rosso, il poeta Arturo Rimbaud, la scuola cubista, con altri scritti di diverso genere e non pochi disegni e incisioni. Per ragioni di vario genere, nel 1913, egli insieme a Papini si distaccò alquanto dalla Voce e fondò l’altra rivista Lacerba, pubblicazione di carattere più francamente artistico, di spiriti più liberi, spregiudicata fino al punto da accogliere nelle sue pagine le espressioni verbali e grafiche del futurismo marinettiano, e che anch’éssa ebbe una parte notevole nella formazione della nuova temperie spirituale italiana.
Con la rottura della guerra, nell’agosto del 1914, terminò il periodo giovanile e più felice della sua attività artistica e letteraria. Subito egli fu tra i più accaniti partigiani della partecipazione italiana al conflitto gigantesco: di conserva con Papini trasformò Lacerba in organo politico dell’interventismo; vi scrisse articoli appassionati contro la torpida prudenza dei governanti, in favore della guerra: manifestò in piazza col popolo, fu malmenato e spesso fermato con i suoi amici dalla polizia giolittiana. E quando finalmente anche l’Italia scese in campo, partì volontario per il fronte. Dal dicembre del '15 all’aprile del '19 partecipò, quale ufficiale di fanteria, alla lotta: fu due volte ferito e decorato al valore: visse in pieno il gran dramma nazionale, in profonda comunità d’animo col suo popolo ; ciò che gli valse di tornare a casa, dopo la vittoria, tutt’altro uomo da quel che era partendo.
Nel 1919 Ardengo Soffici prese moglie e si stabilì nella casa materna del Poggio a Caiano. Sperava di poter ormai riprendere tranquillamente la sua funzione di pittore e di scrittore; ma la bestiale ondata di sovversivismo del dopo guerra lo richiamò sulla breccia civile e gli offerse una nuova occasione di battaglie.
Ricominciò dunque la sua collaborazione politica al Popolo d’Italia, scrivendo una lettera aperta a Mussolini con la quale si apriva (secondo diceva quest’ultimo in un «cappello» appostovi) l’offensiva fascista contro la coalizione dei disfattisti e dei nemici della nuova grandezza italiana. La stessa azione egli condusse nella rivista trimestrale Rete mediterranea da lui interamente redatta per tutto l’anno 1920 e dove scritti di politica si alternavano a scritti letterari e di critica destinati a ricondurre il senso dell’ordine anche nel campo delle lettere e delle arti ugualmente minacciati dalla straripante anarchia morale, intellettuale ed estetica.
Negli stessi anni, che andarono dalla fine della guerra alla Marcia su Roma, insieme a quest’opera di risanamento e di sistemazione politica e spirituale - una parte della quale fu riunita nel volume Battaglia tra due vittorie - egli ne attuò altre nella sua qualità di pittore: dipinse, disegnò, incise, modellò anche, tanto che nel 1921 l’amico suo Vallecchi poté organizzare in Firenze un’esposizione di più centinaia di tali suoi lavori.
Subito dopo la vittoria del Fascismo - al quale egli sempre appartenne - e l’andata di Mussolini al potere, Ardengo Soffici fu chiamato a Roma per dirigervi la terza pagina di un nuovo grande giornale del partito. Egli si proponeva, andandovi, di costituire, accanto al motore politico, un nucleo di forze artistiche e letterarie capaci di esprimere i nuovi spiriti e la nuova figura ideale dell’ Italia rinascente ed incamminata verso il suo grande destino; ma per molte ragioni, e di ogni genere, il suo disegno non poté essere attuato.
Dopo un anno e mezzo dal suo arrivo, egli lasciò dunque la capitale e ritornò nella sua vecchia casa del Poggio a Caiano.
E dal Poggio a Caiano non s’è più mosso dipoi che di rado e per brevi periodi di tempo. (1937 - Il Frontespizio)
Nel 1926 partecipa alla XV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con una Mostra Personale, con 25 dipinti.
Nel 1928 partecipa alla XVI Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con 7 dipinti
Nel 1934 partecipa alla XIX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con i dipinti: Aprile, Novembre, Processione.
Nel 1936 partecipa alla XX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con 4 dipinti
Nel 1960 partecipa alla Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, Mostra Storica del Futurismo, con 8 dipinti
Nel 1995 figura alla Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, Centenario della Biennale -- Palazzo Ducale, con 1 dipinto; Palazzo Grassi con 1 dipinto
Bibliografia:
1934 - XIX Esposizione Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, catalogo mostra, p. 139.
1937 - Artisti Italiani: Ardengo Soffici. Il Frontespizio, Firenze, Vallecchi Editore, n. 1 gennaio, pp. I/VIII (6 quadri - 15 disegni).
1949 - Ardengo Soffici, Pensieri sull'Arte, Firenze, Arte Mediterranea, nov/dic. , pp. 62/63.
1992 - Ardengo Soffici, a cura di Luigi Cavallo, con un saggio di Giorgio Barbieri Squarotti, catalogo mostra, Milano, Palazzo della Permanente, 18 settembre - 18 ottobre, Mazzotta Editore, pp. 168.
1996 - La Biennale di Venezia. Le Esposizioni Internazionali d’Arte 1895-1995, Venezia, Electa, p. 635.
Nel 1934 partecipa alla XIX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con
1934 - XIX Esposizione Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, catalogo mostra, p. 139.