Saroldi Enrico

scultore incisore medaglista
Carmagnola (TO), 19 marzo 1878 - Milano, 23 giugno 1954

Partecipa con la scultura La guerra “Il canto del corvo”; Ai piedi della croce; e con Modelli di medaglie, alla Mostra Nazionale di Belle Arti che si tiene nel Parco di Milano dall’aprile al novembre 1906.

Partecipa con la scultura Aspettando l’onda, alla Mostra di Belle Arti dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911.

Con una Targa e una targhetta in bronzo, e con delle medaglie, partecipa all’Esposizione Nazionale Belle Arti nell’ autunno 1912 nella R. Accademia di Belle Arti in Milano.

Realizza il Monumento ai Caduti di Porta Romana “Esaltazione di nostra stirpe eroica” a Milano innalzato il 24 giugno 1923.

Esegue nel 1929 il Monumento equestre ad Enrico Dell’Acqua a Busto Arsizio.

Per il Cimitero Monumentale di Milano,

La figura in bronzo “Lux perpetua”, per la tomba coniugi LUCINI, anno 1921

2) Monumento in marmo di Gandoglia, bassorilievo che riproduce esattamente la defunta nelle sue diverse età, e tre ritratti in bassorilievo, tomba Famiglia FALIVA, anno 1920

3) Figura in bronzo “Ai piedi della Croce”, tomba Serafina NOBILI, anno 1912-

4) Cristo in bassorilievo, e Cariatidi del dolore, per l’edicola MOSCHIERI

5) esegue il Gruppo Prima Mors per il monumento funebre CAVALLAZZI.



Saroldi Enrico

Gli scismi che la storia dell’evoluzione dell’arte registra, hanno avuto sempre origine comune: la ricerca di nuovi stili e di nuove espressioni.

Il concetto della bellezza invece non causò mai, almeno fino a tutto il secolo scorso, dissensi o scissioni fra gli artisti.

Il bello trovò sempre concordi innovatori e tradizionalisti. La bellezza, per Masaccio come per Giotto, per Raffaello come per Leonardo e così via, fu sempre intesa in uno stesso senso. Espresso da ciascun maestro con stili differenti, il bello è identico in tutte le loro opere. L’umanità, a mezzo dei potenti portavoce che sono i maggiori artisti, s’è passata la parola ed ha così stabilito che una figura, un paesaggio, una scultura, una costruzione, eccetera, per essere belli devono (a grandi linee approssimative, naturalmente) essere così e così.

Le case cinematografiche non esigono che le attrici ed anche... gli attori, abbiano i piedi della tale misura, la circonferenza della vita di tanti centimetri, del petto di tanti altri e così via?

Si è arrivati insomma alla standardizzazione della bellezza.

Per secoli e secoli gli artisti si sono avvicendati, ripetendo con i più svariati stili l’identico concetto del bello. Da qui la saturazione del concetto stesso ed i recenti movimenti artistici che stanno tuttora tentando di sostituirne ad esso uno nuovo. A questo proposito non si può non ricordare le certo esuberanti, ma non insensate parole di Alfredo Oriani: « Nulla è più insipido di quella eterna regolarità di forme, e nulla più facile. In arte, come nel resto, io sono un ribelle e non amo le donne che rassomigliano alle statue ».

Più che rinnovazione di stile, il problema estetico moderno è quindi rinnovazione del concetto del bello.

Il pittore, lo scultore, lo scrittore moderno, si chiedono se una donna, un uomo anche meno che mediocri o magari brutti (brutti rispetto al bello convenzionale), purché siano stati « sentiti » dall’artista, possono, in un’opera, essere artisticamente belli. Se insomma il vero, brutto o bello esso sia ritenuto, non è sempre bello quando sia stato artisticamente rappresentato.

Intanto, mentre questi ed altri interrogativi permangono insoluti e dibattuti, l’arte dello scultore cui vorrò accennare più avanti, si ispira a quella bellezza tacciata di standardizzazione, ma che tuttavia non può a meno di imporsi, con la sua meravigliosa perfezione, all’ammirazione dei critici imparziali e degli amatori del bello in tutti i suoi aspetti.

Enrico Saroldi è scultore di monumenti. Confesso che sono molto diffidente verso questi scultori. Certi orribili (da un punto di vista rigorosamente artistico) monumenti equestri e... pedestri dai nostri padri sparsi ovunque; quelli moderni, brutti come quello di Piazza della Vittoria a Brescia, polemici come quello di Viareggio, aridi come quello di Brindisi, mi hanno fatto scettico. Ma questo scultore lombardo (piemontese d’origine), monumentista per eccellenza, vince la mia radicata prevenzione e mi persuade che, una volta tanto, le sue opere sono creature vive d’arte e non banali fatiche da marmista.

Egli è uno dei pochissimi che, a mio avviso, abbia dimostrato di avere capito che una statua destinata ad essere collocata in una piazza, al cospetto della materialità della vita pratica degli uomini e del suo pulsare fragoroso, esposta ai venti come alla pioggia, al solleone come al gelo, deve emanare da sé lo stesso intimismo che è in una statuina da salotto, da galleria o da giardino di villa patrizia, dove essa spande il fascino dell’arte.

Se una statua è posta in una pubblica piazza, non per questo essa deve risentire di quel senso monumentale od ufficioso che finisce per divenire compassato, retorico, vacuo, vuoto, in una parola: freddo.

Guardiamo pure il monumento più complesso del Saroldi, quello ad Enrico Dell’Acqua in Busto Arsizio e noi ne ravviseremo subito nell’insieme, e vieppiù nei particolari, il clima artistico che non solo domina, ma toglie completamente all’opera il carattere glaciale della monumentalità.

Quanta umanità, infatti, e quanta naturalezza e spontaneità nella figura dei Pioniere e del cavallo! Se da un punto di vista moderno, il cavallo e l’uomo col lungo manto di tessuto traverso il corpo nudo e scendente sino a terra, sarebbero bastati ad esprimere in sintesi il grande cotoniere italiano, i particolari aggiuntivi non appesantiscono tuttavia il concetto dell’opera e la sua armonia plastica.

Pure essendo figure decisamente allegoriche, quelle che rappresentano il commercio, l’industria tessile cotoniera e la potenzialità di produzione, conservano ciò nonostante la propria umanità: umanità sana e rigogliosa, modesta e possente, lirica e fattiva, interpretata da un artista che ha forza e sicurezza, ma che conosce anche la fatica, le ansie ed il dolore.

A questi attributi che costituiscono poi la personalità di questo scultore, corrispondono anche un Cristo in bassorilievo, umanissimo e sublime ad un tempo; Cariatidi del dolore (Edicola Moscheri) e Prima mors (Monumento Cavallazzi) nella quale non sai dire dove finisca l’umano, il mistico e l’universale, entrambi al Cimitero Monumentale di Milano e non da meno il Monumento ai Caduti del Rione di Porta Romana in Milano, in cui il sacrificio del fante sorretto dal legionario romano e dal guerriero di Legnano, virilmente esalta l’eroismo di nostra gente.

Spartaco Balestrieri (1935 - Spartaco Balestrieri, Enrico Saroldi, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 6, giugno, Milano, pp. 13/15).


Bibliografia:

1906 - Mostra Nazionale di Belle Arti, catalogo illustrato, Milano, Parco, aprile-novembre, p. 79, 90, 92;

1911 - Esposizione Nazionale di Roma, Mostra di Belle Arti, catalogo, Roma, p. 26;

1912 - Esposizione Nazionale Belle Arti - Autunno 1912, catalogo mostra, Milano, R. Accademia di Belle Arti in Milano, p. 23, 24;

1923 - Luigi Larghi, Guida del Cimitero Monumentale di Milano, Milano, Enrico Gualdoni, p. 145,179, 182;

1935 - Spartaco Balestrieri, Enrico Saroldi, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 6, giugno, Milano, pp. 13/15.

1951 - Ettore Padovano, Dizionario degli Artisti Contemporanei, Milano, I.T.E., p. 309

1994 - Vincenzo Vicario, Gli scultori italiani, Dal neoclassico al liberty, seconda edizione, volume secondo, Lodi, Il Pomerio, pp. 953/954

2003 - Alfonso Panzetta, Nuovo Dizionario degli Scultori Italiani dell’ottocento e del primo novecento, volume II, M-Z, Adarte, p. 841

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