Suo padre era Raffaello, suo nonno Pasquale Romanelli. Lavorò nello studio paterno e in quello di Domenico Trentacoste all’Accademia di Belle Arti. Copiava Masaccio nella Cappella del Carmine e si iscriveva alla facoltà di matematica nell’Università di Pisa. Per breve tempo ufficiale di vascello, rimase tre anni in Cina, dove conobbe e ammiro l’arte orientale. A Parigi frequentava Auguste Rodin e Maurice Denis. Lavorò ed espose a Londra. Del 1907 è la sua prima opera monumentale, “Ercole che strozza il leone,,. Con stile proprio e potente, ha eseguito centinaia di sculture; numerosi e vivi ritratti, potenti altorilievi come “Romolo che traccia il solco,, (1926), in bronzo, pel Ministero delle Corporazioni in Roma; “La Giustizia di Traiano,, (1939), in marmo, pel Palazzo di Giustizia a Milano. È autore di medaglie che basterebbero da sole alla fama dell’artista. Tra le principali opere:“Donna sdraiata,, (1906), bronzo; “San Paolo,, (1908), bronzo; “La Dolente,, (1910), varie repliche in marmo e in bronzo; “Maschera ridente ,, (1912), bronzo; dello stesso anno “Il portatore d’acqua,,.“ Studio di Isadora Duncan ,,, “Risveglio di Brunilde ,,, e altri bronzi come “Il bacio,,, sono del 1913. Seguono “Ritratto del bambino con l’uva,, (1916), “Èva,,, “Donna col pesce,,, “Il Duca degli Abruzzi,, (1918); “Idolo del sarcasmo ,, (1919), “Il bambino negro ,, (1920), “La donna allo specchio,, (1921), “Leda col cigno,, (1922) : tutti bronzi. La “ Fontana delle anitre e delle foche ,, (1923) , per Montecatini Terme, è di bronzo e travertino. Di bronzo è “ La Pietà,, (1924-25) per la Casa Madre dei Mutilati in Roma. “Statua di Diana,, (1925), stucco dorato; “Statua del pugilatore,, (1926), “Una gotica,, (1927), ritratti di “Luigi e Paolo Guicciardini,, (1927-28), nelle edizioni di bronzo e terracotta; “Giano e la Vergine,,; “Monumento equestre al Generale Botha ,, (1928); “ Ritratto di Giovanni Papini,, (1929); “Giovinetta etnisca ,, (1931), “Pugilatore in riposo ,, (1932), “Monumento a Scanderbeg,, a Roma e a Tirana. “Donna giacente,, (1939) marmo. Del 1942 è una “ Testa di giovane donna ,,. Suoi bronzi sono nell’Accademia Navale di Livorno e nel Palazzo del Senato a Roma. Nel 1932 per il Mausoleo Luigi Cadorna di Pallanza, realizza una scultura di Cristo collocata all'interno dello stesso.
Per la Cripta dei Caduti, sotto la chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli a Roma, realizza per l'altare un "Crocifisso" bronzeo (1934).
Partecipa con la scultura Ercole ed il leone, alla Mostra di Belle Arti dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911.
Romano Romanelli insegna nelle scuole professionale di Selva e Ortisei negli anni ‘20
Nel 1923 all'Esposizione Quadriennale di Torino, espone un Autoritratto in gesso, e un Ritratto.
Nel 1926 partecipa alla XV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con 1 scultura
Nel 1928 partecipa alla XVU Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con 1 disegno e 5 sculture
Nel 1930 partecipa alla XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la puntasecca: Il frantojo, e le sculture: Ritratto di Ardengo Soffici (bronzo), Pugilatore seduto, Ritratto di Domenico Giuliotti (terracotta), Studio per la medaglia a Cristoforo Colombo (bronzo).
Nel 1932 partecipa alla XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la scultura in bronzo: Pugilatore, ed il disegno Testa di donna tedesca.
Nel 1934 partecipa alla XIX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con tre sculture in bronzo: Modello per la Statua equestre a Giorgio Washington, Ritratto, Donna sdraiata.
Per il Padiglione Italiano all'Esposizione di Parigi 1937, realizza per il Salone d'Onore "Lo stato corporativo", le sculture: Le boxeur, e Tête de cheval.
Nel 1942 partecipa alla XXIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con 8 sculture e 1 dipinto
Nel 1995 figura alla XIX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, Centenario della Biennale - Palazzo Ducale, con 1 scultura.
Artisti Italiani: Romano Romanelli. 1937 - Il Frontespizio, Firenze, Vallecchi Editore, n. 11 novembre, pp. I/VIII (22 opere). Romanelli Romano
È nato a Firenze, il 14 maggio 1882. Il babbo scultore lo educò all’arte, nei primi anni dell’infanzia. Poi il mare lo ebbe ufficiale della Marina italiana. Poi, dopo la guerra di Libia, la scultura; poi nella Guerra mondiale ancora il mare; poi ancora la scultura.
Domenico Giuliotti, che fu già ritrattato dal Romanelli, ha scritto per lui questo ritratto che non ha nulla a invidiare alla scultura.
«Alto, squadrato, atletico. Volto fiero, imperioso, abbronzato nei lunghi viaggi, sotto il sole d’ogni clima. Mani atte a reggere il timone d’una nave, a impugnare il mazzuolo, all’occorrenza il moschetto o la zappa. È stato, infatti, marinaio e soldato, è supremamente scultore e non gli dispiace d’essere piantatore d’olivi e di vigne.
Cammina con passo pesante, un po’ traballante, come fosse ancora sopra a coperta. Ha qualche cosa, al tempo stesso, del gentiluomo rurale e dell’atticciato popolano. Talvolta un duro piglio lo infosca, un chiaro sorriso lo illumina, un riso aperto e cordiale ne svela la bontà nascosta sotto un’apparenza di superbia.
Impossibile immaginarlo accasciato dalla vecchiaia. Si direbbe, anzi, che sia stato sempre e che debba restare sempre nel pieno vigore dell’età; che, morendo, non debba avere né malattia né agonia, ma piuttosto che sia destinato a franare di schianto, come una torre fulminata.
Fiorentino, discendente, in linea materna, da Francesco Ferrucci e da un armatore di velieri, in linea paterna da una famiglia di scultori, ha la triplice nobiltà dell’uomo d’arme, del navigatore e dell’artista.
Da questa felice mischianza ne risulta, per così dire, un metallo umano di eletta e saldissima tempra.
Scultore, se volesse scrittore, (un suo libro auto-biografico emulerebbe il Cellini) imprime nella creta, nel marmo e nel bronzo, con equilibrata forza, con arginato tumulto o con armonica grazia, i pensieri, gli affetti, le passioni o le certezze che intensamente vive, che maschiamente soffre.
Ha visto, ammirato e studiato gli antichi, ma è moderno e perciò interprete multiforme del suo tempo, sebbene avverso a tutti i futurismi, esotismi e bolscevismi artistici, non ancora spazzati dalla nettezza pubblica.
Accademico (il più venusto e virile degli accademici) è forse l’unico sul quale la caricatura non ha presa, e che sa portare con perfetto stile la feluca, così come indossa nello studio la bluse e la cacciatora in campagna.
Tuttavia Papini, suo recente collega, lo schizzò - fisico e morale - in due tratti: «Un viso arsiccio e ben nasuto che sembra ancora illuminato dal tramonto di Gavinana».
E Giovanni Papini, che fu tra i primi e i più autorevoli estimatori del Romanelli, scrisse infatti, negli Operai della Vigna, un capitolo bellissimo, che in parte riproduciamo: «Ha guardato tutti e non ha copiato nessuno. Ha studiato infaticabilmente il vero e non è caduto nell’abietto realismo della scultura umbertina. Ha ritrovato le leggi dei primitivi e non è rimasto schiavo all’arcaismo morto degli impotenti. Se talvolta le sue sculture sembrano arieggiare quelle di Olimpia o di Reims, è ch’egli ha riscoperto in sé i principi eterni della scultura che non appartengono in proprio né ai greci né ai gotici. Non ci sono state al mondo, fino ad oggi, che quattro grandi razze di scultori: gli Egiziani, i Greci, i Romanici e i Fiorentini.
«Se mettete accanto un Faraone del Medio Impero, un dio di Delfi o d’Atene, un Adamo o un David delle chiese medievali e un santo o una Madonna del Quattro e Cinquecento nostri vi accorgerete subito che son volti fraterni e terribilmente somiglianti d’una stessa profonda e potente verità. L’architettura del viso umano, dove la materia sia vivificata dallo spirito, non può esser che quella. È il reale trasfigurato senza diventare anonimo o allegorico; la personalità che diventa quasi simbolo senza perdere la sua espressione propria di creatura unica; l’anima rivestita di quel tanto di pietra che basta par farla riconoscere e adorare.
«Romano Romanelli appartiene a una di queste grandi razze e ama di giusto amore le altre tre. Le ama perché le conosce; e le conosce perché si sente un po’ fratello di tutte.
«E queste quattro grandi famiglie d’operai si somigliano perché hanno, di fronte alla vita e all’opera, le medesime disposizioni spirituali. Non pensavano - come la maggior parte dei venali ed ambiziosi moderni - alla gloriòla del nome, alla moneta del guadagno, alla bramosia di apparir nuovi e d’esser lodati come originali. Avevano l’umiltà del credente e la calma dell’artigiano: volevano che la statua del morto sembrasse eguale alla fisionomia del vivo e che la statua di Dio ispirasse agli altri lo stesso amore che sentivan dentro mentre la scolpivano. Per la via della preghiera eran vicini al cielo; ma per la via della natura si tenevano ben piantati sulla terra. S’inginocchiano come s’inginocchia egualmente il mistico e il servo. Siccome si sentivano null’altro che schiavi e artigiani erano capaci di effigiare degnamente Dei e Re: trovavano la semplicità della grandezza perché avevano l’umiltà amorosa nel cuore. Come tutte le cose più belle e più sacre la scultura è una collaborazione tra l’uomo e Dio: se l’uomo non conosce che il modello e la propria superbia, farà opere mediocri; se aspetta che il suo braccio sia guidato ogni istante da Dio non farà che abbozzi. La grazia dall’alto scende soltanto su coloro che son tanto orgogliosi da lavorare anche se Dio non si manifesta e tanto umili da sapere che non faranno nulla di grande se Dio non li sorregge.
«Romano Romanelli non è uno scultore religioso nel senso ch’egli faccia soltanto statue di santi e di madonne, ma è profondamente religioso in questa attitudine mistica del suo spirito. Egli sa d’essere null’altro che un povero operaio che deve trasformare colla stecca la creta e collo scalpello il marmo, ma nello stesso tempo si ricorda d’esser figliuolo d’Iddio e che Dio non ha mai abbandonato i suoi figliuoli. Sente che dar forma definita alla mota o togliere il soperchio dal blocco è un’opera manuale ma anche una forma della preghiera. Ogni statuario è, se ben si pensi, un modellatore di bamboccie, insieme, l’imitatore d’iddio nell’opera del sesto giorno.
«Romano Romanelli ha vivissimo il senso di quella duplice natura dell’arte sua - di questa irrimediabile terrestrità e di questa sopreminente dignità della scultura. Se guardasse soltanto al reale immediato cadrebbe nella scimmiottaggine del vero, negazione dell’Arte; se pensasse soltanto all’eccelso formerebbe idoli geometrici e inumani. Il segreto - ch’egli ha conquistato da sé dopo aspre esperienze - è la sintesi vivente del corpo e dello spirito, del vero e dell’ideale, dell’umano e del divino. Egli parte sempre dalla creatura, dalla verità, dalla forma data - senza mai copiarla servilmente ma senza mai dimenticarla. Non è di coloro che fanno magari un calco sul vivo eppoi, come dicono, lo stilizzano. Lo stile non può esser dato che dalla trasfigurazione fatta direttamente sull’esemplare presente, fatta da una mano docile alla scelta, dominatrice dell’occhio. Per Romanelli la stilizzazione non è lavoro in due tempi: prima, copia, eppoi deformazione. Stilizzare vuol dire scegliere i tratti essenziali, quelli che rivelano la vera faccia dell’essere - ma questa scelta va fatta in continua comunione col modello: né prima né dopo. Il segreto di Romano Romanelli è di scegliere mentre copia, di trasfigurare mentre ha dinanzi la figura. E per questo le sue statue hanno tutta la solida pienezza della terra e la luce spirituale del cielo». (Il Frontespizio, Firenze, Vallecchi Editore, n. 11 novembre 1937, pp. I/VIII (22 opere) Romanelli Romano).
Bibliografia:
1911 - Esposizione Nazionale di Roma, Mostra di Belle Arti, catalogo, Roma, p. 31.
1923 - Esposizione Quadriennale di Torino, catalogo mostra, nn, 716, 743.
1923 - F. Margotti, Arte Cristiana all'Esposizione Quadriennale di Torino, Milano, Arte Cristiana, anno XI, n. 6 giugno, pp. 181/187.
1924 - Mario Tinti: Romano Romanelli, Firenze, Alinari, pp. 26 + tavv. f.t.
1928 - Roberto Papini, L’arte degli italiani, Le Tre Venezie, n. 5, maggio, p. 36.
1928 - Ugo Nebbia, Per l’arte degli intagliatori di Val Gardena, (ill.), Le Tre Venezie, n. 7, maggio, p. 23/28.
1930 - XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 54, 101.
1930 - Alberto Zajotti, L’Arte Italiana alla XVII Biennale di Venezia, Ospitalità Italiana, Milano, ottobre-novembre, pp. 25/29.
1932 - XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 99 151.
1934 - XIX Esposizione Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, catalogo mostra, p. 137.
1937 - Le pavillon Italien. Exposition de Paris 1937, Edité par la Chambre de Commerce Italienne de Paris, p. 77.
1937 - Artisti Italiani: Romano Romanelli. Il Frontespizio, Firenze, Vallecchi Editore, n. 11 novembre, pp. I/VIII (22 opere).
1940 - Vincenzo Costantini: Scultura e pittura italiana contemporanea, Milano, Hoepli.
1941 - Piero Torriano: Romano Romanelli, Milano, Hoepli.
1945 - Piero Bargellini: Scultura italiana contemporanea,Firenze, Arnaud.
1949 - Armando Pelliccioni, Dizionario degli Artisti Incisori Italianiii (dalle origini al XIX secolo), Carpi (MO), Gualdi, e F., p. 151.
1949 - Francesco Sapori: Scultura italiana moderna, Roma,
Libreria dello Stato.
1949 - I Collaboratori di Arte Mediterranea - Profili di Ettore Allodoli: Romano Romanelli, Firenze, Arte Mediterranea, nov/dic. , p. 73.
1951 - Ettore Padovano, Dizionario degli Artisti Contemporanei, Milano, I.T.E., p. 290.
1955 - Luigi Servolini, Dizionario Illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, Gorlich, p. 702, 703, 704.
1960 - Luigi Servolini, Gli incisori d’Italia, Milano, Edizioni del Liocorno, ad vocem
1985 - Paolo Bellini, Storia dell’incisione moderna, Bergamo, Minerva Italica, p. 494.
1994 - Vincenzo Vicario, Gli scultori italiani, Dal neoclassico al liberty, seconda edizione, volume secondo, Lodi, Il Pomerio, pp. 901/902.
1996 - La Biennale di Venezia. Le Esposizioni Internazionali d’Arte 1895-1995, Venezia, Electa, p. 603.
2003 - Alfonso Panzetta, Nuovo Dizionario degli Scultori Italiani dell’ottocento e del primo novecento, volume II, M-Z, Adarte, p. 782.