Le innumerevoli mostre e le importanti partecipazioni su invito a rassegne d'arte nazionali e internazionali, come l'interesse di stimati critici per il suo lavoro, avvalorano il percorso artistico di Flavio Roma. Nasce nel 1950 a Manesseno di Sant'Olcese (Genova). Espone dal 1964. La sua avventura artistica con la ceramica, e poi con la scultura, inizia nella fornace di Lino Grosso ad Albisola, città che Filippo Tommaso Marinetti definì Libera repubblica delle Arti. È scultore, ceramista, pittore. Artista eclettico, schietto e fortemente avverso ai compromessi, considerato tra i più rappresentativi e coerenti artisti contemporanei, stabilisce un'efficace espressività soprattutto con la terracotta. Sue opere sono presenti in oltre 30 musei e collezioni di sette nazioni, fra tutti ricordiamo:National Centre Of Fine Arts Of Giza (Et), The Chapel Of Art (Uk), Museu de Ceramica de Manises e il Museu de Ceràmica de L'Alcora (E), Keramikmuseum Westerwald (D), Espace Bourdelle Sculpture, Montauban (F), la costituenda Pinacoteca d'Arte Città di Ruffano a Lecce (I), la Casa-Museo G. Mazzotti 1903 e il Museo Giardino Pacetti di Albisola (I), la Raccolta Internazionale d'Arte Ceramica F. A. Grue a Castelli (I), il MDeC Museo Internazionale del Design Ceramico di Cerro (I), il Museo Civico della Ceramica di Nove (Vicenza) (I), il Museo Giuseppe Gianetti di Saronno (I), la Collezione Arianna Sartori di Mantova e la Casa Museo Sartori a Castel d’Ario - Mantova (I). Nel 2008 gli viene intitolato il "Museo Flavio Roma" ospitato nella settecentesca Villa Serra-Pinelli di Comago (S.Olcese-Genova (I). La raccolta museale che riunisce una selezione di opere realizzate nel periodo che va dal 1968 al 2007, offre una esaustiva conoscenza della creatività dell'artista ed una buona panoramica della sua avvincente avventura artistica. Il catalogo del Museo è curato da Paola Roseo con un approfondito testo critico di Martina Corgnati.
Contatti:
Studio & Archivio Flavio Roma
Via Tederata 18 - Albisola Superiore (SV)
Cell. 347.8358136
E-mail: flavioromart@libero.it
Bibliografia essenziale recente
- “Museo Flavio Roma” – 2008, monografia a cura di Paola Roseo con testo di Martina Corgnati (Ed. Bacchetta, Albenga).
- “Flavio Roma: The Sound Of the Fire” – 2010, a cura di Mara De Fanti, Museo Gianetti / Regione Lombardia - testi di Mara de Fanti, Giovanna Franzin, Martina Corgnati.
- “Maestri della Ceramica: Flavio Roma” - “Archivio” Aprile 2012, Mensile d’arte e Cultura di Arianna Sartori, Mantova – a cura di Maria Gabriella Savoia.
- Catalogo Sartori d’Arte Moderna e Contemporanea – edizioni del 2013, 2014 e 2018 - Arianna Sartori - Archivio Sartori Editore.
- OI-Orizzonte Italia Magazine 2017 - (En-Ru) Arte, Cultura.
- Flavio Roma: Musei e Collezioni in Italia e nel mondo (2018 e 2021 It-En) Tip. “Immagine”.
- Persistenze Figurative 2016 - Palazzo Lomellini Carmagnola (To) – a cura di Angelo Mistrangelo.
Giudizi critici
“(…) È la reazione, la denuncia delle vittime: un sentimento su cui Flavio Roma insiste moltissimo, al punto da poterne parlare come di una sua sigla molto riconoscibile. Una denuncia che talvolta diventa urlo di dolore, talaltra invocazione, e in questo caso prende forma di cilindro, di semplice forma plastica convessa, ottusa e piena. Qui l’artista ritorna alla consistenza primordiale del vaso, uno dei prodotti più antichi e più indispensabili dell’homo faber e forse il primo oggetto modellato con la ceramica; e per farlo sbarazza il corpo dai dettagli superflui, arrivando ad eliminare le spalle, gli arti, il sesso e il busto, lasciando un lungo collo innaturale e la testa sospesa in cima. Si guardi per esempio Testa (2006), dal volto rotondo come la luna, quasi enfiato, un volto che coniuga tratti classici e elementi deformi e che sembra scaturire da un pensiero rivolto a Picasso, alle sue monumentali figure degli anni Venti, come anche indirettamente a Guernica e naturalmente alle bellissime ceramiche degli anni Sessanta cotte e modellate a Vallauris. Lo rivela il naso storto ma affilato e fine, l’occhio inciso che sembra sbarrato eppure contiene una speciale intensità espressiva, resa più intensa dal contrasto, amatissimo da Flavio Roma, fra la semire rossa e i tocchi di smalto, luminosi e vibranti di riflessi metallici. Un contrasto che si ripropone nell’incredibile Acrobata del 2003, vera e propria prova di virtuosismo che l’artista ha voluto dare, agganciando la figura in un solo punto al supporto metallico che la sostiene in aria, come un vero trapezio reggerebbe un vero acrobata: qui la tensione muscolare, l’ebbrezza del vuoto lascia affiorare gli ossidi di rame e ferro che ravvivano la superficie opaca della terra refrattaria. L’artista apprezza particolarmente la sua superficie scarna e abrasa, ama quello stato di natura tipico del semire e dell’argilla. Per questo le affida le situazioni difficili che le sue figure spesso sono chiamate ad affrontare, figure maschili e ancora di più femminili, per esempio quella seduta su un uovo (Come su un uovo, 2005), posizione impervia più che scomoda, un uovo liscio, senza appigli e oltretutto fragile, sul quale la figura troppo grande sembra rannicchiarsi, per non scivolare e perdere l’equilibrio. E non meno imbarazzante sembra la situazione di quella Chaise tragique (2006), una mano posta sulla sedia troppo grande, la gamba già protesa nel vuoto. È l’instabilità, la precarietà, quella che l’artista rappresenta con singolare efficacia, l’essere “seduta” è un eufemismo, in realtà la posizione della figura è un passaggio, una transizione momentanea, catturata con un’attenzione quasi fotografica (…)”.
Martina Corgnati
L’eleganza formale e la maestria tecnica che traspaiono dalle opere recenti di Flavio Roma non sono una novità per chi ne apprezza da tempo il talento, bensì confermano ancora una volta la ricchezza della sua vena creativa e la potenza del suo gesto artistico.
Nel consegnare le sue creazioni al fuoco, Flavio Roma sfida l’elemento primordiale ottenendo efficaci contrasti cromatici e sapienti effetti di luce legati alla presenza degli smalti. Ogni opera è un universo inquieto in cui la figura umana e gli elementi naturali sono accomunati da uno stesso destino cosmico di decadimento e sono raffigurati in una situazione di equilibrio precario. Cose, animali e uomini sono deformati da una perenne tensione e comunicano una sorta di “spasimo della creazione”. Il cono e la punta sono forma e segno predominanti delle realizzazioni scultoree di Roma e veicolano un senso di sofferenza e di inquietudine.
La mancanza degli arti superiori, tipica delle sue figure umane e simbolica di una mutilazione spirituale, di una carenza profonda dell’uomo, viene per contrappasso bilanciata dalla riduzione di tutto l’essere a due braccia protese in opere come “Prigionieri”, dove i due arti superstiti, martoriati ancora da protuberanze a forma di cono, diventano simboli efficaci dell’annullamento che causala mancanza di libertà.
Il suono che queste opere uscite dal fuoco producono è l’urlo muto dell’essenza vitale che combatte per sopravvivere e si dimena nella trasformazione della materia operata dal calore, a cui Flavio Roma come un demiurgo affida i suoi manufatti.”
Giovanna Franzin
“Flavio Roma, con le sue sculture, ripropone, più che le esperienze, gli ideali perseguiti dai Precursori del dinamismo plastico e degli stati d’animo. L’uomo e la natura, nell’apparente scomposizione dei piani, balzano in ricchezza e varietà di contenuti, che, nella continuità dello spazio, si affermano con integrità nuova, cattivante, piena di fascino. La tradizione delle manifatture ceramiche della sua Albisola è palese nell’amore con cui egli sceglie le terre e le plasma e le rende fluenti, sempre nel segno di una ben controllata nobiltà di sensi. Anche i suoi personaggi sono simboli di una realtà lacerata da incubi, ma la nota dominante non è la disperazione. L’urgenza drammatica pare subito riassorbita in una chiara, esaltante purificazione. Catarsi greca, redenzione cristiana. L’urlo si modula e diviene canto disteso, ritmicamente melodico. E tu avverti il connubbio felice di due componenti psicologiche solo in apparenza antinomiche: l’irruenza disfattista e una nativa, incoercibile aspirazione all’armonia. E’ nell’aria il sapore del suo mare, dove confluiscono gli echi delle grottesche saghe del Nord e delle flautate euritmie d’Arcadia, del ghigno (…) dei doccioni di Notre Dame e del muto, dolcissimo rimpianto di Euridice.”
Luigi Pagnoni
“(…) Egli è inequivocabilmente un artefice che predilige la figura umana, mai restituita in veste realistica, naturalistica, bensì con fattezze informali/espressioniste.Per lo più la terra da lui manipolata viene rivestita e trattata cromaticamente in modo piuttosto essenziale e non uniforme, con un’operazione che tende ad evidenziare soltanto zone e tratti, ad esempio le pieghe profonde dei corpi. L’epidermica serenità e tranquillità di Flavio Roma, garbato, gentile, cordiale e discreto, sembra smentire di netto il tormento che trapela dalla maggior parte delle opere, concepite come immagini deformate, magari contorte e grottesche, stravolte; quanto meno incerte, se non smarrite. Quasi che, nel suo fare, l’artista trasponesse con molta naturalezza l’anima oscura della fatica del vivere: così operando, catarticamente, egli non subisce apparentemente danni; si scarica, oserei dire, in modo tranquillo; trasforma la lacerazione esistenziale dividendola – senza calcolo beninteso – fra vita “obbligata” e sfera creativa, artistica. In quest’ultima si è più liberi di esprimersi, di materializzare i segni e le convinzioni interiori che accompagnano, in modo del tutto personale, originale ed unico ognuno di noi. Peccato che non a tutti risulti così spontaneo sentirne la voce…”.
Alida Gianti
Un artista e la sua materia
“Tutte le volte che penso a Flavio Roma mi viene in mente il bambino che guardava le sculture di Lucio Fontana dal marciapiede di fronte al Museo-Giardino Pacetti. Non solo perché la stima - nata attraverso la progressiva ed oggi profonda conoscenza della sua opera - si è trasformata in salda amicizia e che m'induce il grande affetto che ho per lui ma perché sono certa che la tensione emotiva che provava, il voler fare, sono rimasti intatti ed immutati così come l'eterna scoperta della vita che si ritrova - intatta attraverso gli anni - in tutte le sue opere. Naturalmente non è dato a noi, comuni mortali, di comprendere appieno il sacro fuoco che pervade l'artista quando crea ma - osservando Flavio Roma al lavoro - si può avere un'idea abbastanza precisa di ciò che attraversa non solo le sue mani, anche tutto il suo corpo, mentre modella o disegna: quella linfa vitale che, sospinta dal cervello e dal cuore, si trasferisce nell'opera - sia essa una creatura vivente che un oggetto - ma mai, in nessun caso, privo di vita.Basta cercarla, questa vita: essa dichiara con forza la sua esistenza attraverso gli invisibili pori dell'argilla, attraverso i tratti della matita, appiattata sulle curve e negli incavi delle sue creature.
Ed ecco allora i cavalli: possenti nella loro tensione motoria, adulti nell'estensione esasperata dei colli volti all'insù, infantili e teneri nelle forme tondeggianti dei possenti deretani. Poi i tori scalpitanti che si liberano dalla materia lavorata velocemente con i pollici in forme vorticanti dotate di un dinamismo senza fine. Il soffio vitale è anche dentro i derelitti Gatti di Baghdad - una delle opere che chi scrive ha amato di più - è lì, che cerca di farsi strada attraverso i piccoli anfratti aspri di quei corpicini magri che si aggirano per strade desolate dove il cibo manca non solo per loro ma anche per i bambini. Vive e vitali sono pure quelle sedie su cui poggiano con estrema levità, quasi a sottolinearne il passaggio, figure dai volti senza volto ove l'attenzione scivola verso i corpi, fragili o possenti, atteggiati ora alla mollezza del riposo, ora alla tensione di positure complicate. L’idea gli è suggerita da un alberello profuma-auto che - secondo l’artista – emana un pessimo odore: non avendo quindi l’oggetto nulla di magico, gli venne in mente il tragico e quindi l’Arbre Tragique in riferimento alla natura violata dall’insensatezza umana, “da un uomo con la “U” minuscula che si crede padrone di ciò che non gli appartiene… poco dopo mi trovai a modellare una serie di soggetti con tale contenuto e di conseguenza anche le Sedie Tragiche (Les Chaises Tragiques) come se fossero realizzate con ciò che rimaneva dei poveri alberi.” Al fine di estrinsecare con maggior forza questo concetto le sedie sono coperte da chiazze realizzate con ossidi bruciati e riflessati, che appaiono quasi come antichi reperti da poco venuti alla luce.
Fra le figure umane, realizzzate nello stesso anno delle sedie – il 2006 – ci sembra utile citare qui due in particolare: la Grande asimmetria con donna che, presentando una base asimmetrica e spigolosa in evidente contrasto con il corpo femminile, è ancora una volta monito della precarietà che contraddistingue le nostre vite nel mondo di oggi e Prigionieri: “Non si è prigionieri “solo” perché ai ceppi o inoffensivi perché con catene d’acciaio ai polsi. La vera prigionia è dentro, nell’ io più profondo. Per chi non ha imparato a sperare, per chi non vuol sapere, per chi è arrogante, per chi sceglie l’ignoranza. Per chi ha paura della verità che libera e consola: questa è la prigionia.” In questi ultimi lavori il messaggio si fa sempre più sottile, maturo, saturo com’è di significati, qualcuno dei quali rimane inespresso o meglio, intrappolato nel turbine della materia scaturito direttamente da quello dei pensieri (…).
Ci piace infine ricordare qui - fra le innumerevoli opere della prima giovinezza -almeno Se la guerra fosse un brutto sognodel 1966 e, di due anni più tardi, l’Uomo-Larva seduto, entrambe appartenenti a collezioni private. La prima è caratterizzata da un andamento statico-dinamico che pone l'accento sulle diverse positure delle figure: quella di destra che si copre il volto con una mano enorme e i cavalieri modellati nell'atto di scendere dai cavalli i quali posano incerti sulle gambe sottili, quasi filiformi. l'artista stesso che racconta come “l’idea mi sorse nel ’66 (avevo 16 anni) sognavo che le brutture della guerra sarebbero cessate come finisce un brutto sogno…”. L'Uomo-Larva seduto, realizzato nella fornace di Lino Grosso, è l'esemplificazione del concetto - sorto in quell'epoca di grande fermento culturale - secondo il quale ogni individuo, per quanto dotato di forza di carattere, viene ridotto a larva cosciente o inconsapevole da qualsiasi sistema umano nel quale egli scelga di vivere. In entrambe l'idea che le ha ispirate soffia talmente forte attraverso il modellato da non aver bisogno di essere accompagnata da parole esplicative.
Il segreto del “fuoco” sta dunque forse principalmente in quella materia duttile, premuta, strapazzata ma mai doma attraverso la quale l'artista esprime se stesso aiutandone l'essenza ad emergere con l'ausilio dei suoi meravigliosi smalti dai magici colori, con i non finiti, con le elaboratissime craquelure e le preziose iridescenze che la rendono finalmente paga della sua esistenza. Flavio Roma non ha mai rinunciato quindi al messaggio, a quella meravigliosa capacità di esprimere il sè e il dentro di sè che noi speriamo e ci auguriamo continui sempre ad accompagnarci e ad accompagnare gli ampi registri attraverso i quali è capace di donarsi attraverso le sue opere.”
Paola Roseo