Puccini Mario

pittore
Livorno, 28 giugno 1869 - Firenze, 18 giugno 1920

Nel 1922 alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, gli viene ordinata a cura di Ruggero Focardi e Plinio Nomellini, con testo di presentazione di Ugo Ojetti, una Mostra Individuale, dove vengono esposti Trentotto dipinti.

Il pittore livornese Mario Puccini morì di tubercolosi a Firenze nell'ospedale di Santa Maria Nuova, il 18 giugno 1920. Aveva cinquantadue anni, Giovanni Fattori l'aveva amato come un figliolo, ma la fama di lui non era ancora uscita dalla Toscana. Era un solitario innamorato della sua Livorno e della Maremma. Nel 1911 e nel 1912 era stato in Francia dove un suo fratello cantante di teatro s’era raccolta una discreta fortuna, e con lui aveva vissuto per molti mesi a Dygne nelle Basse Alpi dove quel suo fratello possedeva una villetta. Ma una mattina colto dalla nostalgia lasciò il fratello e la villa e gli agi e, per quante strettezze lo angustiassero, non si volle più partire da Livorno, e persino a Firenze dove aveva amici e committenti, si recava di rado e alla sfuggita.

A Livorno per molti anni visse in due stanzucce terrene che prima di lui occupava un pescatore, nel quartiere del Gigante, beato nella sua solitudine, nella sua povertà, nell'arte sua, ché gli bastava guadagnar tanto da comperare tele e colori e dipingere. Non dipingeva grandi tele, ma vedute del porto e della maremma con un piglio rapido e squadrato, un colore intenso e tempestoso, turchini fondi, rossi di cinabro, verdi d alloro. Dipingeva denso e netto, coi piani risoluti che egli aveva imparati dal suo Fattori. Per esercitarsi in questo sforzo costruttivo disegnava molto a carbone e a conté, e non solo appunti dal vero per sua memoria, perché conduceva i più dei suoi disegni di paesi e d’animali a compimento come fossero quadri, con una delicatezza e una fermezza di chiaroscuro magistrali. Per lunghi mesi non faceva altro, e viveva di questi disegni, accontentandosi d accumulare, in pittura, tavolette e studioli senza mai sforzarsi assalire di proposito al quadro quando non ne sentiva l’intima necessità. E dei collezionisti toscani che gli rapivano per poche lire anche queste tavolette, rideva tranquillo e stupefatto. Negli ultimi anni aveva dipinto qualche ritratto all'aperto, solido e luminoso, con un'osservazione del carattere molto acuta.

Fu un savio che conosceva bene l’arte sua e i suoi limiti e, se la sorte gli fosse stata meno nemica e non gli avesse fin dalla giovinezza stroncata nella miseria la salute e messa in cuore tanta diffidenza verso gli uomini e verso quel che si suol chiamare la vita, sarebbe stato pei giovani un maestro sicuro e una guida incomparabile. Ma sopra tutto fu poeta d’una sincerità incontaminata, con un fondo tragico e disperato, un poeta che per poco si placava in paesaggi sereni e in idilli e presto tornava a quella sua colorazione infocata quasi che la sua ora diletta fosse il tramonto.

Naturalmente nessuna pubblica galleria ha finora un dipinto di Mario Puccini. Anzi credo che in questa mostra veneziana si raccolgano per la prima volta, fuori di Toscana, quadri di lui.

Ugo Ojetti (1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra).


Bibliografia:

1922 - Ugo Ojetti, XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 84/87.

1996 - La Biennale di Venezia. Le Esposizioni Internazionali d’Arte 1895-1995, Venezia, Electa, p. 588.

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