Moreno Giuseppe

incisore pittore
Torino, 5 luglio 1866 - Torino, 1945

Fu allievo di Giacomo Grosso all'Accademia Albertina.

Nel 1932 figura alla Mostra “L’Italie dans l’art di livre et de la gravure, exposition d’oeuvres de maitres graveurs illustrateurs et imprimeurs italiens et français anciens et modernes, Musèe de la Peinture, Bordeaux.

Partecipa nel maggio-giugno 1940, alla 12° Esposizione del Sindacato Interprovinciale Fascita di Belle Arti in Torino, che si tiene nel Palazzo della Società Promotrice, con le acqueforti: Predappio - Casa ove nacque il Duce,

Nel 2003 vengono esposte le sue acquaforti: Statua della libertà - New York (1902), La Lanterna di Genova (1932), Mancine idrauliche - Porto di Genova (1932). nella mostra a cura di Alida Moltedo Mapelli, “Paesaggio Urbano. Stampe italiane dalla prima metà del ‘900 da Boccioni a Vespignani”, che si tiene dal 25 settembre al 23 novembre, nella Calcografia di Roma.

La Calcografia Nazionale di Roma, conserva sue incisioni originali,


GIUSEPPE MORENO

.....Nato a Torino, da genitori genovesi, il 5 luglio 1866, Giuseppe Moreno, sin da bambino, dimostrò spiccatissima tendenza per le arti figurative. Come tanti altri chiamati all’arte, anche il giovinetto torinese, provò le avversioni della famiglia, e anziché realizzare il suo desiderio e inscriversi all’Accademia di Belle Arti di Torino, si trovò ad essere impiegato bancario per annuire al volere dei familiari, che, come tutti i buoni borghesi dell’ottocento, non vedevano né la vocazione artistica che zazzere incolte, pasti saltati e una via piena di triboli e di umiliazioni. La metodicità esasperante delle ridde di cifre, tanto dissimile dal suo temperamento, non impedì al bancario di dedicare tutti gli stralci di tempo libero alla sua aspirazione prediletta, di consacrarsi allo studio, sotto l’intelligente guida di Emilio Gamba, titolare della cattedra di figura all’Accademia Albertina di Torino. E tanto seppe durare in questa duplice vita di sacrificio, che nel 1893, a venticinque anni, vinte le ultime riluttanze dei genitori, poté finalmente entrare alla tanto agognata Accademia, dove ebbe a maestri Marchisio, Gaidano e Giacomo Grosso.

Conseguito il diploma di professore all’Albertina, seguitò a studiare accanto a Vittorio Cavalieri, frequentò altresì l’Accademia d’Urbino, ed in seguito quella di Napoli dove conobbe ed ebbe a maestro Domenico Morelli. Significativo esempio di studio tenace cui dovrebbero attingere molti pittorelli d’oggi ai quali pochi anni di studio, e qualche assicella esposta fra gli incensi degli intimi, ottenebrano il cervello, e si sentono di punto in bianco novatori e capiscuola.

Il Moreno pervenne alla sua arte prediletta tardi, ché il suo primo esordio fu nel 1898, a Torino, con due quadri ad olio di soggetto sacro: San Matteo Evangelista e Sacra Famiglia. Poco dopo, a Pietroburgo, alla Prima Esposizione d’Arte Italiana espose Ragazza Torinese, altro quadro ad olio, citato con significative parole dalla stampa del tempo. Nel 1902 dipinse per l’Abbaziale di Finalpia due grandi quadri storici: Clemente VII visita il Santuario nel 1533 e L’Imperatore Carlo V al Santuario nel 1525. Sono questi i primi lavori che ha dedicato alla terra de’ suoi avi e seppure non si possa affermare che abbia in questo genere trovato la sua via, si deve riconoscere che l’esecuzione è virtuosa nella fedeltà dei costumi, nella compostezza delle figure che il luogo per il quale furono dipinte richiede e nella complessa vitalità del quadro che, pur nel scenografico, conserva un’innegabile calore d’arte.

In quel torno di tempo richiesto, dall’Istituto del Sacro Cuore in Venezia, di dipingere due scene sacre in sostituzione di due arazzi asportati, si cimentò egregiamente figurando due episodi della vita del Nazareno: Sinite parvulos venire ad me e La pesca miracolosa.

Per qualche tempo si allontanò dall’Italia, soggiornando a New-York e St. Louis dove esegui numerosi ritratti ad olio e a pastello, e fra questi, ammiratissimo, quello del Vescovo di St. Louis. Più tardi visitò il Brasile e l’Argentina, riportandone innumeri studi ad olio e disegni.

Il 1915 lo trova in patria. Ex-volontario del 50 Reggimento Bersaglieri, si presenta al Comando della sua Arma il 24 maggio per essere arruolato. Non è tempo di pennelli e di bulini, ma di armi, ed egli, pur avendo oltrepassata l’età, si presenta. Non viene accettato, adducendosi il motivo dell’età. Gli si dice di attendere. E cosi anche questo suo generoso sogno, questa sua pura offerta, è frustrata.

Nei primi anni della guerra è nominato professore di disegno nel R. Educatorio della Provvidenza. Qui si esplica una delle sue migliori attività: quella del maestro. Egli la intende come una missione, come un sacerdozio, e vi si consacra con amore e con sacrificio. Non solo nell’intelligente divulgazione quotidiana dei rudimenti dell’arte, ma anche in aurei libretti che ebbero il consenso delle Autorità della Pubblica Istruzione e dei colleghi insegnanti. Sono sei fascicoletti pubblicati in quel tempo, dedicati all’insegnamento del disegno nelle scuole elementari, basati su sistema del quadrato, sistema che offre pianamente alla mente del bambino essenziali punti di riferimento per disegnare schematicamente a semplici tratti lineari, e dare in seguito la consistenza volumetrica e la caratteristica degli oggetti con il cosiddetto disegno contiguo. Contengono disegni di animali domestici e selvaggi, paesaggi, foglie, elementi di figura e pennuti. Un settimo fascicoletto: II disegno reso facile e dilettevole, contenente cinquanta tavole sull’anatomia e l’espressione umana, è tuttora un prezioso ausilio per i giovinetti che si accostano alla difficile arte del disegno.

Anche l’illustrazione del libro, la cui rinascita è in pieno sviluppo, ebbe il Moreno ardente collaboratore, e fra le edizioni Paraviane, quella della Libreria Editrice Internazionale, e quelle dell’Unione Tipografica Editrice Torinese, ci piace ricordare quelle di quest’ultima che ci presentano nell’Enciclopedia Pomba una ricca serie illustrante tutti gli stili. Ma a sommo di tutta questa sua attività, il Moreno ha sempre coltivato il suo segreto sogno: l’acquaforte.

Avveduto raccoglitore di stampe d’ogni epoca, geloso bibliofilo dei libri che trattano del bianco-nero, si è sempre sentito attratto a quest’arte fine ed aristocratica, che a pochi eletti concede il conseguimento. Più che attratto, nato per quest’arte, frequenta il Chessa e il Turletti. Chi non ricorda gli elzeviri Casanoviani, i nitidi volumetti del Praga, del Corradino, del Boito? chi non ricorda il severo e romantico Medusa di Arturo Graf, dove il Turletti, il Chessa ed altri hanno profuso quelle piccole e deliziose illustrazioncine su rame e su pietra su cui sognarono quanti della generazione passata ebbero amore per la poesia e pel bello? Questo amore è il canone di Moreno. Ottenuto dal Turletti un torchietto di legno, inizia le prime prove. Non lo spaventa il lento e difficoltosissimo processo. Subito acquista dimestichezza colla lastra di rame. La spalmatura di vernice resinosa, il delicato disegno col bulino, la miscela degli acidi, la morsure; l’inchiostratura, ottenuta con un lavoro da certosino di gradazioni di veli, ed infine la torchiatura, non hanno più segreti per lui. Quale ansia quando svitato il torchio, si guarda la prima tiratura. E quante prove e riprove per illimpidire il cielo là dov’era troppo scuro, per isnellire un particolare, per correggere la delimitazione d’un «piano». Alternative a volte febbrili, a volte angosciose, che il Moreno tutte supera con tenacia degna dei maestri antichi, sorretto da un amore che signoreggia d’ogni ostacolo e d’ogni difficoltà, sino a conseguire l’oggetto de’ suoi sogni.

Già nel passato si era avvicinato al rame. Durante le sue peregrinazioni d’oltremare Le rive d’inverno del fiume Hudson, La statua della Libertà Saint Louis gli avevano ispirato delicate e suggestive tavole. Nel 1926 lasciata la scuola cui si dedicava con entusiasmo e abnegazione, si consacrò interamente alla sua passione dominante.

Umberto di Savoia, visitatore assiduo di ogni manifestazione d’arte, aveva avuto occasione di ammirare le opere del Moreno, e nell’estate del 1931, a Pessinetto, dove si trovava col suo Reggimento, saputo che il Moreno soggiornava in quei luoghi, l’invitò a portargli in visione le sue acqueforti. Dopo averle attentamente esaminate, esprimendo giudizi improntati a quella conoscenza tecnica e a quella signorilità di gusto che distinguono, disse all’artista: «Io ho visto le sue belle acqueforti di Finale Ligure esposte questa primavera alla Promotrice, che mi sono piaciute perché ben disegnate, di effetto, e romantiche. Verrebbe Professore a farmi delle acqueforti del mio Castello di Racconigi?». È ovvio dire dell’accettazione dell’artista.

Al 23 Ottobre del 1931, il Moreno è ricevuto nel Castello di Racconigi dall’Ereditario che lo accompagna personalmente nel vasto e pittoresco parco, facendogli notare e rimarcare i punti più suggestivi e i motivi più profondi.

Così questo ottocentista coscienzioso e ingenuo, che grado a grado dalla pittura di paesaggio e di figura, s’è venuto spogliando dell’ausilio del colore per cimentarsi nel bianco nero dove tutta la gamma dei colori, ha da essere soppiantata dalla rigidezza del bulino e dalla maestria delle sfumature e dei chiaroscuri, si è accinto all’ambito e difficile incarico di creare una serie di opere d’arte che traducesse tangibilmente il desiderio e le preziose indicazioni dell’Augusto Personaggio.

E nel giugno del 1932 presentava al Principe le cinque acqueforti delle quali Emilio Zanzi scrisse sulla Gaietta del Popolo di Torino: «In una tavola la facciata del Castello verso la piazza del Municipio è accarezzata dalia luce calma, grigia e fredda di pomeriggio invernale: sullo spiazzo, oltre l’invisibile cancellata, si vedono una carrozza di Corte alla postigliona e quattordici figurette di gentiluomini, di dame e di domestici nelle fastose uniformi settecentesche. Un'altra tavola descrive ancora, da un diverso punto di osservazione, la mole del padiglione centrale col cupolone: molte finestre sono aperte. Davanti al palazzo alberelli di cedro nei vasi giganteschi formano una decorazione piacevole la quale dà risalto alla scalea monumentale. La terza tavola esalta la bellezza della facciata prospiciente il parco. Sotto il cielo movimentato da leggere nubi, l’alta e robusta architettura ha un netto rilievo nelle ritmate alternative dei neri e dei grigi. È primavera: Le piante versicano: si vedono i giardinieri che stanno collocando i vasi di cedro: nove donne sono intente a pulire lo spiazzo dalle erbacce. Un raggio di luce intensa fa biancheggiare un lato dell’edificio. Assai pittoresche sono le ultime due tavole. In una i grandi alberi secolari dalle nere e rudi cortecce, le sottili piante giovinette e le vaste praterie danno la sensazione dell’immensità verde e chiusa del parco: il Castello è lontano e favoloso. La più bella di tutte, ricca di armonie tonali, ci è sembrata quella che descrive il romantico laghetto vigilato da una cicogna e da un cicognino di bronzo e sul quale fanno i belli sette cigni bianchi. Abeti e faggi donano una bellezza arcaica e solenne al panorama che ha per centro lontano e scenografico il Castello riflesso nello specchio delle immobili acque. La nobiltà del taglio, la vastità della prospettiva aerea e il segno scarno rivelano i valori gemini di una tecnica controllata e scrupolosa che vorremmo fosse sempre osservata dall’artista».

È di recente pubblicazione una cartella di dieci acqueforti che il Moreno ha consacrato alla città che predilige: la Superba. La prima di queste tavole: raffigurante l'Elettra, la candida e misteriosa nave di Guglielmo Marconi nel cui interno tanti miracoli si sono compiuti per la tenace volontà e l’inesauribile genialità del grande italiano, venne, in tiratura avanti lettera, offerta dall’autore al Marconi stesso, che si compiacque caldamente dell’eletto dono in un autografo di ringraziamento. L’agile nave è disegnata solidamente, e le alte murate che le fanno da sfondo, sovrastate dai poderosi palazzi liguri, le fanno degna cornice. In questa e nelle altre nove tavole, la città di Ciano e di Guglielmo Embriaco ha trovato in Giuseppe Moreno un appassionato illustratore che ha saputo ricercare fra le costruzioni della vecchia repubblica del mare, quelle che più ne cantano, attraverso le nobili e antiche pietre, la gloria imperitura. Due di esse sono dedicate a Porta Soprana, caratteristico fortilizio merlato del secolo XII, angolo della vecchia Genova dove vive tuttora intensa la memoria di Colombo, reso con sottile e semplice gioco di tratti minuscoli che descrivono efficacemente lo storico edificio. Il palazzo di Andrea D’Oria che Nicolò da Corte costrusse nel 1480, soggetto arduo per un acquafortista, è diligentemente eseguito nel frontale che ci mostra la classica decorazione genovese a bande alternate, le agili bifore e gli ariosi loggiati, e nello scorcio della vecchia straducola che lo fiancheggia, poco più grande di un carrugio. Alto sopra la merlatura e i cornicioni, un lembo di cielo arioso e profondo conferisce una sobria luminosità alla delicata rievocazione. Fra i richiami più suggestivi della vecchia Genova, vi ha un portale in piazza San Matteo, uno dei tanti portali genovesi che sono veri gioielli d’arte, che Giovanni Gagini ha decorato nel 1457, con una superba figurazione di San Giorgio a mò di sovraporta a sommo di una fine riquadratura in marmo. Anche questo soggetto ha colpito il vigile occhio dell’acquafortista, che ha saputo trarre dal suo bulino un’altra affettuosa interpretazione da un soggetto che è tutt’altro che agevole a rendersi sulla lastra di rame. Né il vetusto Palazzo San Giorgio che frate Oliviero da Sestri costrusse nella seconda metà del secolo XIII poteva mancare in questa collana d’amore che il Moreno ha consacrato alla città de’ suoi avi. Ed anche qui, nel tracciare il superbo massiccio, sovrastato dai merli che recano lo stemma genovese, traforato dalle agili trifore a colonnine, sorretto dall’ampio e fosco portico ogivale, l’artista ha saputo signoreggiare l’arduo compito impostosi e creare un altro delizioso quadro. La lanterna, La Chiesa Abbaziale della famiglia D’Oria e Tramonto nel Porto di Genova dimostrano l’eclettismo e la versatilità del bulino del Moreno, che dalle vecchie tipiche costruzioni genovesi vetuste di secoli e di gloria, alle congestionate scene del grande Porto, sa cimentarsi egregiamente, rendendo con amore d’arte e signorilità di esecuzione gli aspetti più difformi e più significativi della città amata. Squisita la tavola Tramonto nel Porto, dove le grandi moli delle navi, immensi pachidermi nerastri riflettentisi nelle acque infoscate dal crepuscolo, paiono strofi di un poema della forza e del lavoro, cantate sotto il cielo vasto ed oscurantesi.

Oltre queste dieci tavole, altre ne esegui di soggetto e di ambiente ligure: Castelletto di Finalpia, che riproduce nostalgicamente la località com’era, prima che l’inizio della costruzione dell’attuale Castello non la deformasse forse irrimediabilmente per sempre. Diciamo forse, ché la saggezza del Podestà di Finale ha fatto sospendere la costruzione e ha interessato della cosa l’Ispettorato delle Belle Arti. Anche in questa tavola riconosciamo le doti dell’artista nella distribuzione dei piani, nella solida prospettiva, nell’animazione discreta del soggetto; solo vorremmo una maggior mobilità e naturalezza nell’acqua, pur sapendo quanto sia difficile rendere con il bulino l’increspatura e il movimento flussorio dell’acqua marina. Castello di Paraggi a Santa Margherita Ligure e Barche peschereccie, la prima, incisione di rara efficacia, dove l’autore è sempre fedele a quel suo romanticismo sano e vigilato che non trascende nel piatto sentimentalismo, e che conferisce aspetti di leggenda e di favoloso a qualsiasi soggetto tratti, raffigura delicatamente uno dei soggiorni prediletti della Principessa Maria di Piemonte; l’altra, pur trattando un argomento caro a molti e sfruttatissimo, e qui sta appunto il merito della tavola, ci descrive una scena deliziosa, cui solo lo schietto sentire dell’artista conferisce valore d’arte, a un soggetto in cui era facilissimo cadere nel comune e nello scenografico.

Affermatosi dopo lunghi e severi studi a fianco dei migliori Maestri dell’ultimo ottocento, con una schietta e inconfondibile linea personale, prima nell’olio e poi nel bianco-nero, conservando, pure nella limitazione monocroma, intatta la sensibilità del colore, Giuseppe Moreno ha sempre tradotto in atto le visioni che hanno colpito il suo vigile occhio assetato di bellezza.

Davanti alle tavole illustranti nostalgicamente la vecchia Genova, cade acconcio il richiamo a un grande incisore del settecento: Gian Battista Piranesi. La sana e geniale attività che è propria di Giuseppe Moreno, ci è arra sicura che la città dei Doria e dei Fieschi e dei Grimaldi, avrà da lui consacrato un poema di visioni profonde e suggestive, come quelle che il grande romano consacrò alla città di Cesare e di Pietro.

Teresio Rovere (1936 - Teresio Rovere, Un acquafortista: Giuseppe Moreno, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 1, gennaio, Milano, p. 9/11).


Bibliografia:

1936 - Teresio Rovere, Un acquafortista: Giuseppe Moreno, (con ill.), Torino, a b c rivista d’arte, n. 1, gennaio, Milano, pp. 9/11.

1940 - 12° Esposizione del Sindacato Interprovinciale Fascita di Belle Arti in Torino, catalogo mostra, maggio-giugno, p. 42.

1955 - Luigi Servolini, Dizionario Illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, Gorlich, p. 550.

2003 - Alida Moltedo Mapelli, a cura, Paesaggio Urbano. Stampe italiane dalla prima metà del ‘900 da Boccioni a Vespignani, Roma, Artemide Edizioni, pp. 51, 121, 122, 205/206, 222, 238.

2006 - Zeno Davoli, La Raccolta di Stampe “Angelo Davoli”, volume VI, M-Ne, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, p. 308.

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