Massarani Tullio

pittore politico scrittore
Mantova, 3 febbraio 1826 - Milano, 3 agosto 1905

Nasce a Mantova il 4 febbraio 1826, muore a Milano il 3 agosto 1905.

Dopo aver studiato legge a Pavia, viene iniziato alla pittura alla scuola di Domenico Induno.

Durante i moti di Milano nel 1848, collabora con il giornale del Governo Provvisorio XXII Marzo ma è costretto all’esilio; dopo essersi rifugiato in Svizzera, rientra in Italia nel 1850.

Nel 1858 riceve incarichi nel Municipio e nel Consiglio provinciale di Milano. Poi, dopo il 1860, viene eletto deputato per tre legislature.

Dal 1867 in poi si dedica interamente agli studi letterari ed alla pittura.

Nel 1872, alla Seconda Esposizione Nazionale di Belle Arti nel Palazzo di Brera a Milano, espone l’opera storica: La distruzione della Biblioteca di Alessandria (intitolato anche: Le terme di Alessandria scaldate coi libri); Felice Uda nel 1907 scrive: “…Quella gran tela di pittura storica, che rappresentava la tentata distruzione del pensiero umano del 642, allorché Alessandria fu presa dagli Arabi, doveva staccarsi da ogni convenzionalismo, che ricordasse, neppur da lontano, il fare degli accademici, che fino ad allora avevano spadroneggiato in quel genere di pittura, di cui si gridavano i capi saldi ed i campioni ad oltranza. Quel quadro rilevava un pensatore profondo: oserei dire che v'era tutto là dentro il patriota, lo scrittore e l'artista in perfetta fusione di forme e di concetto, quandoche un ingegno mediocre e secondario a mala pena avrebbe ottenuto di far trasparire l'archeologo. Al contrario, si mostrava il valentuomo che “frugando ne’ vetusti idiomi”, come ben disse una sua ammiratrice, si era famigliarizzato non meno con le leggende che con la storia vera dell'estremo Oriente, il pittore già provetto, che, viaggiando da artista e da filosofo, riedificava con la bacchetta magica di Prospero l'incantatore di monumenti già da gran tempo scomparsi, evocando uomini, costumi e memorie di un mondo caduto, “un mondo quasi incognito o inedito - aveva detto il Dall'Ongaro, - un concetto gigantesco”. Notate, ve ne prego, che nel tempo che il pittore erudito esordiva con questo quadro, egli trovavasi tuttavia nell'evoluzione politica. Ora, Alessandria d’Egitto, nel settimo secolo, “quando la città egizia era serva e i costumi romani ed ellenici si erano nella confusione corrotti”, aveva qualche somiglianza con la nostra patria di anni addietro…

In questo fatto così nudo e greggio il Massarani esercitò la sua fantasia e creò un'epopea visibile, una leggenda immaginosa e tutta in azione. Gli parve lecito di supporre che fosse diventata cosa pressoché ordinaria la distruzione di tanti tesori dell'umano sapere. Quindi è che presiede al lavoro un vecchio sacerdote musulmano, un ulema, nel cui volto inflessibilmente severo si legge con un che di atroce tutta l’ispirazione del fanatismo religioso. Poco distante, una specie di pirata scaraventa nell'ipocausto un fascio di libri, e dalla mossa come dai lineamenti gli traspare condensato in un sogghigno il gusto barbarico della distruzione. Un povero fellah - un vero utensile umano - tramescola nelle fiamme gli ardenti volumi. Due sceikki, o capi militari, sembrano attendere alle parole del vecchio ulema, in piedi, rigidi, impassibili: sono venuti certamente - per assistere all'esatto adempimento della spietata cerimonia; il loro atteggiamento rende l'immagine dell'indifferenza consueta agli Orientali, e massime a’ seguaci del Profeta. In un angolo a sinistra, dove, attraverso il colonnato del fondo, s'intravedono gli stendardi del vincitore, il sapiente artista ha con grande accorgimento immaginato di riunire i vecchi e giovani dottori della biblioteca, che attoniti o sbigottiti, non so qual più, dell'incredibile audacia, testimoni dolenti ed in servitù dell'immane olocausto, vorrebbero pur sottrargli qualche inestimabile cimelio. E qui, insieme co’ rotoli (volumina), non potevano mancare i libri (libelli) rilegati alla maniera nostra, de' quali è menzione in Orazio, in Cicerone e in Suetonio, senza nulla dire delle immagini antiche scolpite e dipinte che pur se ne hanno alle mani. Perché poi in un antico asilo del sapere dovevano assai probabilmente trovarsene tutti gli strumenti, l'erudito artista credette non poco analogo alla scena, ch'egli apre ai nostri occhi, l'accatastare col resto anche una sfera armillare, un gnomone e frammenti di statuette e di glittica, che aggiungono, come altrettanti particolari, un colorito storico e locale alla grandiosità del suo quadro. In mezzo a questa parte del dipinto illuminato di luce sinistramente fantastica si direbbe che strisci nell'ombra quasi lo scintillio minaccioso di una scimitarra turchesca, tanta e l'immobilità, inconscia o voluta, che domina i diversi gruppi di figure, con la quale l'artista è riuscito a far penetrare nel nostro cuore un senso indefinibile di non so qual misterioso sbigottimento, di non so qual penoso sconforto. A questa scena, il cui effetto è di colpire dolorosamente come uno spettacolo di santa Inquisizione di quei tempi remoti, fa ingegnoso contrapposto quasi una seconda parte o scena che si svolge nel secondo piano del quadro. Essa serve evidentemente ad attenuare l'orrore della prima; perocché, lasciando stare dall'un dei canti la finezza e verità dell'ambiente architettonico, a noi pare che non un tocco di pennello, ne una sola gradazione di tinte o sfumatura d'ombra e di luce - siano entrati a caso nell'esecuzione del lavoro: tutto ha la sua ragione di essere, tutto è calcolato, misurato, studiato nel vero. Il fondo dunque a destra e il primo piano, pure a destra, ritraggono, in perfetta antitesi alla scena della prima parte, la vita consueta delle terme. La luce filtra splendida dagli ampi finestroni e riveste gran parte del peristilio.

Dame e cortigiane vanno e vengono co’ loro paggi e servi alla maniera fastosa dell'Oriente; in un canto è persino una venditrice di frutta, perfino un mercante di gazzelle; quelle figure vivono e respirano tutte nella loro civiltà africana, od ellenica od asiatica che la si voglia chiamare; ed è tale e tanta la dolcezza della seduzione e del fascino, che si starebbe un pezzo, senza batter palpebra, assorti in contemplazione dinanzi al contrasto della duplice scena fusa in perfetta ed innegabile unità di pensiero e di forma.

Io non credo, come parve ad alcuni, che quest'atrio, così bene animato, delle antiche terme alessandrine, abbia il torto, se anco invidiabile, di essere troppo pensato. Un gran quadro d' invenzione e di storia è sempre quel che deve essere quando la bellezza dell'esecuzione corrisponde all'ampiezza del disegno e alla grandiosità del concepimento…”.

Con questa sua prima opera il Massarani partecipa a varie esposizioni nazionali ed estere.

Nel 1873 esegue postumo il Ritratto del poeta Francesco Dall’Ongaro, opera ad olio a mezza figura al vero, volta di tre quarti a destra, l’autore lo dona all’Accademia di Brera in Milano, (dal 1902 l’opera entra nella Galleria d’Arte Moderna del Comune di Milano).

È senatore del Regno dal 1876.

Nel 1876 partecipa all’Esposizione di Napoli con l’opera Castellana e Vassalla.

Nell’inverno del 1877, il critico Felice Uda per il giornale milanese la “Lombardia”, visitando lo studio dell’artista per vedere il contributo che l’arte lombarda avrebbe fornito all’Esposizione di Napoli, il cronista rimane sbalordito notando che l’artista aveva realizzato ben tre dipinti invece di uno.

Il primo ritraeva una ricca patrizia, una Castellana e Vassalla, “…dal suo palazzo, per una scala marmorea, essa scendeva nel giardino, quando allo stesso punto una donna del popolo - una vassalla - le scorse dinnanzi, che proprio allora, spingendole incontro un fanciullo - suo figlio - un monelluccio, che proprio allora doveva essere tornato dalla scuola, perché teneva sotto le ascelle il suo libro. Madre e figlio s’erano fermati come in ammirazione dinanzi alla ricca signora, che con nobile alterezza propria della sua casta teneva tra le mani un fiore, e li guardava un po’ distratta.…”.

Il secondo, il cui tema è Vita orientale (esposto poi nel ’78 a Parigi ed ora di proprietà della Pinacoteca Comunale di Roma), rappresenta l’interno di un Harem: “…La grandiosa galleria del serraglio delle donne si apre sui giardini; dagli ampi finestroni, che sembrano sfondare il soffitto, si vedono staccarsi in un cielo di zaffiro gli aranci e i sicomori nella fresca voluttà di un mattino estivo. Traverso agli arazzi e a' ricchi tappeti s'aprono fessure luminose, da cui entrano la voluttà e la vita. La poesia de' particolari si direbbe che evapori nella luce distesa che scende dalle cupole, inonda le arcate e allaga il marmo del pavimento, perdendo, nella sua freddezza, d'intensità e di calore. Nella vasca, ricca d'ingegnosi arabeschi, le odalische bagnano le loro carni di rosa; ma la più bella di esse è indolentemente distesa sopra assirii tappeti, nell'ombra che mette una nota malinconica in quell'orgia del senso…”.

Il tema del terzo quadro è Dopo il bagno: ricreazione di putti in Grecia, dipinto che rappresenta gruppi di fanciulli da poco usciti dal bagno, che giocano sotto le ombre festanti di una pergola nel giardini di una casa privata, il quadro misura m. 2,10 x 1,07.

Nel 1878 Massarani viene nominato, dai governi francese e italiano, presidente della giuria dell’Esposizione artistica parigina, in questa occasione scrive uno dei suoi saggi più noti, “L’arte a Parigi”.

All’Esposizione di Firenze del 1880, presenta i dipinti Castellana e Vassalla e Dopo il bagno: ricreazione di putti in Grecia.

Nel 1881 all’Esposizione Nazionale di Belle Arti nel Palazzo di Brera a Milano espone il dipinto Messaggero d’amore in oriente.

Negli anni ’80 partecipa alle diverse Esposizioni che si succedono a Bologna e a Napoli.

All’Esposizione Universale di Parigi del 1885 presenta quattro disegni ed il quadro di soggetto orientale Schiava delle colombe; il critico del Journal des Dèbats, signor Clement, sull’edizione del 17 maggio, di quest’opera scrive: “Sembra che la schiavitù delle donne esistesse ancora in pieno secolo XVII, e che Cosimo II de’ Medici facesse dono al Duca d’Ossuna, governatore della Sicilia, di tre giovanette di Cipro rapite dalle sue galee. La fanciulla che il signor Massarani ha rappresentato seduta al primo piano del suo paesaggio, è una delle tre, quella certamente che più destò la gelosia della Duchessa, e che questa determinò di far morire. Essa ha il torso nudo, le gambe incrociate, la testa appoggiata alla mano. Le colombe favorite bevono in un bacino d’argento l’acqua avvelenata, che dovrà del pari dar la morte anche a lei. Quelle rocce, quei grandi alberi con una luminosa veduta sul fondo lontano, sono di una esecuzione seria e solida, e formano un insieme poetico di vero interesse”.

Altre sue opere conosciute di carattere orientale sono l’Ammaliatrice e il Pastore errante dell’Asia.

Del 1892 circa è la sua opera In primavera, raffigura una giovane donna che, sul punto di scendere al bagno, si sofferma a contemplare un virgulto di pomo appena fiorito.

Nel 1893 a Roma, gli editori Forzani e C. Tipografi del Senato, pubblicano la lussuosa prima edizione dell’“Odissea della Donna”, il volume edito in 350 esemplari è corredato da venticinque disegni eseguiti dallo stesso Massarani. L’opera viene ristampata in un formato più piccolo, dallo stesso editore nel 1907 nell’“Edizione postuma delle Opere”.

In questa “Edizione postuma” viene pure pubblicata l’opera Esmea (finemente illustrata da disegni appositamente eseguiti) opera che l’autore non aveva avuto il piacere di vedere pubblicata e se ne rammaricava spesso, perché credeva d’aver dato saggio nei canti e nei disegni della sua migliore genialità.

Del 1893 o 1894 è l’opera che ha per tema Sakuntala, l’Arianna indiana che sedotta e abbandonata da Dusianto, “…siede in un lembo desolato di campagna indiana, al di qua del Gange, adombrata da un gigantesco albero di açrattha e dalle rupi fra le quali si stendono in lucentezza silenziosa le acque profonde del fiume sacro…”.

Il dipinto Interno di un harem, si trova nel Museo di Berna, ed il Ritratto di Francesco Dall’Ongaro è nella Galleria d’Arte Moderna di Milano.

Il Massarani ha lasciato una gran quantità di articoli e saggi critici e di altri scritti storico-politici e autobiografici, traduzioni e poesie, raccolti in un'edizione postuma di 24 volumi (1906-1911), che testimonia anche dell'autorità e fama a cui era assurto verso la fine del secolo. Critico non profondo, ma di grandissima e aggiornata informazione e di un felice equilibrio tra il giornalistico e l'accademico, il Massarani esercitò con garbo e misura la critica militante, e si adoprò meritoriamente, accanto al Nencioni e al Chiarini, a diffondere nel pubblico italiano la conoscenza degli scrittori della moderna letteratura europea. Particolarmente notabili, in questa sede la serie di articoli su Enrico Heine e il movimento letterario in Germania pubblicati nel Crepuscolo del 1854, e, sempre nello stesso periodico, gli articoli su Gli studi in Francia.

Tra i suoi studi di più largo respiro L’idea italiana attraverso i tempi (1869), e Carlo Tenca e il pensiero civile del suo tempo (1886). Un'opera caratteristica, per l'agile manipolazione di un ricco materiale di erudizione curiosa e lodevole, è la Storia e fisiologia dell'arte del ridere scritta negli ultimissimi anni della vita (1900-1902). Da ricordare ancora: Come la pensava il dottor Lorenzi, L’odissea della donna, Sermoni.


Bibliografia:

2002 - Adalberto Sartori - Arianna Sartori, Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX. Dizionario biografico, volume IV, La - Mu, Mantova, Archivio Sartori Editore, pp. 1862/1867.

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