Grasso Francesco

pittore
Catania, 1952

Francesco Grasso è nato nel 1952 a Catania dove vive e lavora.

Ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte e l’Accademia di Belle Arti di Catania nel Corso di Pittura diplomandosi nel 1977.

Nel 1975 ha ottenuto il 1° premio alla quarta edizione del “Premio Lubiam” di Mantova.

La sua prima mostra personale è alla New Gallery di Catania nel 1977.

Ha insegnato Discipline Pittoriche e Laboratorio di Tecniche Murali.

Dal 1979 al 2018 è docente presso l’Istituto Statale d’Arte di Catania e al Liceo Artistico Statale M.M. Lazzaro di Catania.

La sua personale ricerca artistica si sviluppa usando la tela pagina per il suo “diario pittorico” raccontando gli eventi e le esperienze in una sorta di notes autobiografico.

Ha partecipato a numerose mostre collettive e rassegne d’arte.

Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.


Contatti

Sito internet: www.francescograssoartista.it


Mostre personali

1977, New Gallery Catania. 1979, Galleria Arte centro, Messina. 1984, Galleria Arte Club, Diario pittorico, Catania. 1985, Galleria Due Ruote, Vicenza. 1985, Galleria Il Poliedro Ezio Pagano Artecontemporanea, Bagheria (PA). 1991, Spazio Espositivo Istituto Statale d’arte di Siracusa, testo Giovanni Iovane, catalogo Maimone Editore. 1993, Istituto Statale d’Arte Catania, con uno scritto di Manlio Sgalambro, catalogo Maimone Editore. 2000, Galleria l’arte club, di Catania. 2007, Galleria L’arte Club, Catania. 2010, Palazzo della Cultura Catania, Omaggio alla musica di Battiato - Sgalambro. 2015, Herborarium Museum, Catania. 2017, Liceo Artistico Statale M.M. Lazzaro Catania, Omaggio a Bianca Boemi. 2018, Palazzo della Cultura Catania, mostra personale e Pubblicazione del Libro Francesco Grasso Diario Pittorico, prefazione di Roberto Fai, Giuseppe Maimone Editore. 2023, Galleria Arianna Sartori Mantova, Fantastiche visioni cromatiche, testo di Giuseppe Bacci. catalogo Giuseppe Maimone Editore. 2024, Galleria Arianna Sartori, Mantova, Del colore, anzitutto, presentazione di Corrado Peligra, catalogo Maimone Editore. 2025, Galleria Arianna Sartori, Mantova, Dei fiori e altri incanti, presentazione di Giuseppe Bella, catalogo Maimone Editore.


Mostre collettive dal 2020

2020, Quintetto d’Arte a cura di Giorgio di Genova e Carla Guidi. 2020, BIAS Biennale Internazionale Arte Contemporanea Sacra, Loggiato San Bartolomeo, Palermo. 2020, BIAS, Palazzo della Cultura Catania. 2020, XLVII Premio Sulmona 2020, Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea. 2021, Venti per Venti – Bella ciao, Mostra Internazionale del piccolo formato, curata da Gennaro Ippolito e Giovanna Donnarumma, Napoli. 2022, Premio Cimitile “Alla ricerca della forma dell’acqua” artisti contemporanei per la salvaguardia del pianeta a cura di Giuseppe Bacci. 2022, Artisti per Nuvolari, Casa Museo Sartori, Castel d’Ario (MN). 2023, Galleria La Vite Catania. 2023, Premio Cimitile XXVIII Edizione a cura di Giuseppe Bacci. 2024, Premio Cimitile XXIV Edizione “Nel segno della luce aspettando il Giubileo del 2025” a cura di Giuseppe Bacci. 2024, Civico 23 No Profit Art Gallery, Salerno.


Giudizi critici

Ritratto dell’artista da fanciullo

Da giovane pittore, Francesco Grasso amava le tonalità chiuse e mormoranti; il suo culto era dedicato alle cromie uniformi, estese campiture di verde, di blu o di viola talora striate di arancio o di bianco, spesso composte per bande orizzontali, bagnate marginalmente dalla luce, riportanti in superficie i segni del lavorio del pennello, con marcate rigature impresse come obliqui freghi: si intuiva che, sotto, agivano pulsioni a stento trattenute, ciò che dava alla sua pittura un carattere di ricerca irrequieta. Era, quello, il tempo del cielo e delle acque (Cielo, Mare n.1, Cielo, Mare n.2, entrambi del 1980) i quali apparivano ai suoi occhi creati da un’identica sostanza, che poteva indifferentemente collocarsi ora in basso ora in alto; tuttavia, si trattava di una sostanza da cui non si sprigionava serenità, ma un senso di allarme, non proprio di minaccia - ma insomma, c’era in essa come un presagio. Si potrebbe addirittura affermare che, in quegli anni, l’energia creativa di Grasso era dominata, pur lui giovane, dalla figura del Senex - entità archetipica incline alla saggezza ma, insieme, alle meditazioni melanconiche.

Poi, in quello stesso torno di tempo, accadde qualcosa, un evento tale da torcere la direzione del suo sguardo; non più rivolto, questo, alle profondità della mente.

In ogni momento, tutto, occorre dire, è presente in nuce nel mondo immaginifico dell’artista, quindi disponibile all’utilizzo; possono cambiare, come in effetti variano, le forme dell’espressione, secondo le mutevoli tecniche con cui un’idea viene nel tempo resa operante nello spazio dell’azione creativa; ma le configurazioni simboliche rimangono immutate, uguali a se stesse, sempre, mai in sostanza si trasformano, sia che agiscano come archetipi, sia che sgorghino dalle terre profonde della mente.

Due nobili ombre sono solite visitare Francesco nei giorni più grigi e inquieti, nelle ore dominate dallo spleen, quando gli sforzi dinanzi alla tela non producono i risultati voluti; sono i fantasmi mentali di Klee e Kandinsky. Il primo porta con sé l’idea che l’immaginazione, lungi dall’essere una mera attività della mente, separata dalla realtà per quanto a essa funzionale, è - o dev’essere - un esercizio spirituale che dia senso e nobiliti la presenza nel mondo dell’artista. Kandinsky, dalle visioni ugualmente psicagogiche, offre in dono l’idea che forme e colori debbano entrare in un rapporto di reciproca risonanza, animando forme che riemergono dai territori fabulosi dell’infanzia. Ma non sono venuti a impartire lezioni, i due Maestri. Devono aiutare Francesco a tirar fuori da sé gli eidola che ci sono, celati nel fondiglio brumoso dell’inconscio-mare calmo, ma faticano a nascere. Devono adempiere un compito maieutico.

Il δαίμων che guidava l’occhio e la mano di Francesco si raddolcì, pertanto, tralasciò il diletto degli abissi, sia acquorei sia celesti, e scrutò in alto. Sospeso fantasticamente nell’aria immobile, si svelò l’Aquilone. Questa mirabile visione fu propiziata sia dall’influsso dei due Maestri sia, verosimilmente, anche dal fatto che Francesco conoscesse a fondo, apprezzandole, le esperienze neoavanguardistiche della pop art (Michelangelo, acrilico su tela 1982, et alia). Sia come sia, da quel momento il Fanciullo cominciò a crescere negli spazi insondabili dell’animo di Grasso. L’Aquilone rimarrà a lungo una presenza iconica costante nella sua vita artistica: e insieme a esso, quale sfondo gioioso, ecco che il cielo assume un aspetto versicolore, l’aria si scompone in mille e mille molecole sfavillanti. Non c’è decennio, nella produzione pittorica di Grasso, in cui l’Aquilone non faccia la sua apparizione. È un emblema di ardita leggerezza, l’aquilone. All’estremità del filo che lo trattiene dall’involarsi, c’è sempre un bambino, che ride e saltella. Però, anche qui si annida un’ombra. Si rammentino quei versi di Pascoli: l’allegria fanciullesca trascina con sé tristi ricordi, ricordi di morte. Questo per dire che, nelle ultime pitture del nostro, le rondini quali creature aguzze lanciate in voli temerari, i fiori sgargianti e d’incredibile esuberanza, l’intera natura infiammata da un tripudio di colori, celano tutti, sotto una patina di idillio, una segreta inquietudine.

Le scene originate dalla fantasia di Grasso, in questi ultimi anni, hanno assunto una valenza vieppiù infantile; quadri ricomposti dagli occhi pieni di stupore di un pittore/fanciullo dinanzi alle fiabe che si rivelano nelle visioni di paesaggi già noti ma riscoperti in nuove configurazioni, e degni di costituire un “diario pittorico”, una sorta di registro degli stupori, delle meraviglie che una collina/mondo/seno-materno, un vulcano eruttante, un trenino dal fumo diffuso come una nuvola puntiforme, suscita negli occhi candidi del bambino scaturito dalla canizie. Un digesto degli incanti, nelle cui pagine le immagini riposino, mentre lievitano dentro l’anima nel silenzio dei giorni e delle notti.

Giuseppe Bella, 2025


I racconti dipinti di Francesco Grasso
Sono passati alcuni anni da che ho conosciuto il pittore catanese Francesco Grasso, dalla conoscenza alla stima il passo è stato breve perché l’artista ha nel sangue e nel suo DNA la caratteristica ricchezza di una tavolozza piena di luce, abbagliante per la bellezza dei colori che ci parlano della particolare luce della terra e dei mari siciliani.
Così nascono i suoi quadri dedicati alla raffigurazione idealizzata di questi paesaggi non descrittivi piuttosto fondi astratti che riempiono le tele dove prevalgono gli azzurri del cielo, i colori terragni della terra e il blu del mare. A volte la silhouette dell’Etna taglia il quadro imponendosi con la sua presenza scura. Su questi sfondi Francesco Grasso interviene rendendo ogni opera un libro aperto. Con parafrasi creative dipinge una volta un treno, una volta un aquilone, oppure uno stormo di migranti rondini posti in primo piano a raccontarci le sue storie; ed è proprio il viaggio in sé a catturare la passione di Grasso che con la sua pittura dipinge il suo diario, il racconto biografico della propria vita, delle proprie esperienze, il racconto di un viaggio vero percorso, con tutte le sorprese riservate all’avvenimento.
Nel 2022 a Casa Museo Sartori in quel di Castel d’Ario, partecipava alla rassegna “Artisti per Nuvolari” con il dipinto appositamente realizzato Nuvolari. Nel catalogo edito per la rassegna, dell’artista scrivevo che “… porta avanti la sua ricerca pittorica che nell’aquilone trova costante stimolo per realizzare il contingente e l’allegorico…”. L’aquilone, che si staglia alto nel cielo, metaforicamente e simbolicamente raffigura l’artista stesso che osserva dall’alto, quindi con una certa passione, ciò che è nel suo interesse artistico raffigurare contestualmente.
Nel caso del quadro Nuvolari, racconta di un lungo viaggio, un incontro tra la Sicilia (l’Etna) e il grande pilota Tazio Nuvolari (a Castel d’Ario a Casa Museo Sartori). “…e la pittura introspettiva, attraverso un caleidoscopico modo di frantumare la verità oggettiva, porta l’artista al racconto…”.
Il dipinto, realizzato con maestria, vede l’uso dei colori acrilici adattarsi agli strumenti e alla mano dell’artista. La tela, divisa in due dalla grande scritta in stampato maiuscolo del nome del pilota, trova, nella parte superiore, un cielo azzurro e luminoso, arricchito dai raggi del sole e qualche nuvola bianca che a volte può portare pioggia, mentre, in basso tra la folla sconosciuta, definita da linee di silhouette, un’auto rossa, piccola, ci parla di lui… Tazio Nuvolari è, infatti, il soggetto principale del dipinto. Tazio non è più una persona, ma ormai è elevato a mito, non serve la sua immagine, già il nome lo definisce come il pilota più veloce di tutti i tempi, il pilota campione di italianità, il diavolo dei piloti… e Tazio, mantovano di Castel d’Ario, più di novant’anni fa aveva avuto a che fare con quella terra fantastica, la Sicilia, vincendo in più di nove ore di gara appassionata, il Primo Premio XXII Targa Florio nel 1931, con la famosa Alfa Romeo rossa, al Grande Circuito delle Madonie, su strade pressoché impraticabili, mulattiere pericolose non solo per il fondo sterrato, ma anche per la presenza di animali allo stato brado.
Un nome grande, famoso nel tempo e nella storia, ancora oggi, a distanza di tanti anni, ha offerto l’opportunità di un viaggio, di un incontro, della valutazione del tempo che passa, di una pagina di vita dipinta dall’artista.
Maria Gabriella Savoia - Mantova, 6 settembre 2024

(Mensile "ARCHIVIO", ottobre 2024)


Francesco Grasso, l’intimo significante

Muoversi teoricamente nell’opera di Francesco Grasso significa continuamente incontrarsi con un fitto mondo di cose ed eventi: treni improbabilmente colorati, decorati, bucati, destrutturati irregolarmente in superfici di favola, rotaie esplose in profondità tra sogno e topologia, e anche case e aquiloni dalle superfici nettamente scandite da colori piatti, alberi che si incrociano in prospettiva con stormi e piante, nuvole che catturano il rosso, persino una girandola, a muovere ulteriori girandole di rondini e piante. Presenze della vita quotidiana a comporre “diari”, come egli stesso ha intitolato alcune sue opere, a sottolineare l’obiettivo biografico e lirico della sua pittura.

Tuttavia su questo bisogna intendersi. Perché muoversi nell’opera di Francesco Grasso significa soprattutto incontrarsi con la dislocazione di tali cose e eventi nella profondità virtuale della superficie pittorica, e con le cadenze e le fusioni coloristiche, ora squillanti ma talvolta opache, che di tale dislocazione escludono un semplice valore grafico e/o geometrico e ne fanno un nuovo spazio pittorico, felicemente aperto tra le fatiche e le aporie del contemporaneo.

Ed è questo uno spazio certamente lirico, ma profondamente lirico, in cui le proprietà semplici del visibile (finite) rimandano a proprietà complesse dell’io (indefinite). In un certo senso c’entra Blanchot: il quadro (il libro-diario cui aspirano non poche opere di Grasso) è dato da un fermarsi a esso dell’autore, ma porta i segni di un viaggio continuo, inarrestabile: a questi si deve il tipico ‘incanto’ che le opere di Grasso producono su chi guarda. Forse c’entra pure la fisica: suddivisioni del quadro in quadretti, sorta di teche, “pacchetti”, sì, ma simboliche di un flusso.

Ma in fondo insistere sul valore simbolico di un’opera pittorica, sul suo generare senso rinviando ad altro del visibile, potrebbe essere “ovvio” e “ottuso”. Ma nel caso di Francesco Grasso occorre parlarne. Perché tra il visibile e le sue possibilità allusive si inserisce un terzo livello, un metalinguaggio che, in virtù soprattutto del colore, squillante e/o opaco che sia, carica il livello simbolico di una sorta di commento affettivo (tra ironia, gioco, nostalgia e quant’altro) nonché di una dilatazione o riduzione del senso dei segni.

Si veda, tra l’altro, Il trenino. La casa sull’albero, piccolo acrilico su tela del 2020, presente in questa mostra. Qui sono due gli scenari (ma forse bisognerebbe parlare di teche, data la profondità), con il più piccolo che si sovrappone, come per intervento successivo, all’altro. La sovrapposizione genera visibilmente la spezzatura dell’altro, e, sempre visibilmente, una sorta di nascondimento di una parte della scena ‘maggiore’.

Da un punto di vista simbolico si rileva facilmente, invece, la fusione delle due scene, sorta di metaforizzazione dove la simultaneità si impone su spazi diversi, in una cronotopia che niente ha a che fare con l’analisi cubista (o qualsiasi altro ‘sistema’) ma crea invece un livello favolistico.

Se pensiamo anche che i due scenari si arricchiscono di interpretazioni ‘liriche’ della luce, del colore (i colori esplodono ma entro i limiti grafici) e delle distanze (si vedano le profondità aprospettiche entro cui corre il trenino), si conferma il metalinguaggio di Francesco Grasso, contemporaneità di utilizzazione e commento (in questo caso gioioso e ludico, forse anche ironico) delle risorse pittoriche. In tale simultaneità emergono pure tensioni e contrasti, tanto grafici quanto coloristici. Ma sono mantenuti nei limiti di una leggerezza (Calvino) sempre lirica, che in alcuni casi può declinare dall’allegro verso la nostalgia, ma mai verso il dramma.

Perciò la pittura di Grasso non tende alla visionarietà, né è compatibile con le correnti storiche (metafisica, surrealismo, ecc.) che l’hanno celebrata. Perché le pur vistose interpretazioni fantasiose (degli oggetti e delle forme) escludono le rappresentazioni del sogno o della profondità mentale, e sono invece elementi e tappe della memoria e della biografia che non escludono oggettività ed esteriorità, anche quando sono investiti dai valori della fantasia.

È l’Io, comunque, che traccia la differenza, ma investendosi delle proprie esperienze di forma: investe della propria autonomia umana e artistica l’eteronomia necessaria a una comunicazione lineare e discretamente coinvolgente della vita e dell’altro. La forma, che in sé non ha finalità, cede sì alla ‘cronaca’, diviene significante della storia umana dell’artista; ma rimanendo sempre forma. Così cose paesaggi ed eventi, immersi come sono nella fluidità pittorica, finiscono col perdere la loro oggettualità, e il tempo perde la propria linearità di racconto, assumendo quella connotazione sincronica o paratattica che è tipica di tutta l’opera di Francesco Grasso, segno di una intimità che ha perso esteriori definizioni e, fattosi valore estetico, può essere trasmessa felicemente a chi guarda.

Corrado Peligra, 2024


Il cromatico sincretismo creativo di Francesco Grasso

“L’analisi delle stagioni stilistiche di Francesco Grasso evidenzia l’ineluttabile valenza introspettiva, l’appartenenza alla crisi della modernità e, fortunatamente, la riconoscibile originalità espressiva. Non si tratta però di un’avventura romantica che estrania dal vissuto, poiché l’intento dell’artista è quello di far parlare le sue opere al cuore dei fruitori, onde smuoverne i sentimenti affinché prendano coscienza del dramma umano che ci circonda. Pur in un cromatico sincretismo, i colori e le composizioni di Francesco Grasso mirano all’identificazione dell’uomo, al recupero dell’“anima”, al confronto tra le genti, alla rinascita di un mondo a misura d’uomo.

L’immaginario personale di Francesco Grasso porta a ricostruire fantasiosi mondi primitivi allorquando si ritrova a realizzare cicli pittorici sullo studio del volo. Elementi contrastanti e seducenti sono impressi nei suoi elaborati artistici; le soluzioni pittoriche intentate richiamano la sua anima, sia astratta, sia figurativa così da coniugare questi due aspetti con grazia, in un discernimento iconografico che cerca incantamento materico e cromatico, pur indicando ancora nelle rappresentazioni il naturalismo.

La grazia è insita nella produzione pittorica di Francesco Grasso, mentre la stessa produzione di opere, è invece senza calcolo; è spontanea come i suoi movimenti, i suoi pensieri, come la rosa del poeta Angelus Silesius: “La rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce; non pensa a sé, non si chiede se la si veda oppure no”. Anche Francesco Grasso non si aspetta che si guardi “fiorire le sue creazioni”, né aspetta lo sguardo altrui che, quale ringraziamento, sarebbe la sua ricompensa. Egli produce per produrre, senz’altra ragione che la freschezza di una bellezza che lo pervade e gli basta sentire questo per continuare a produrre arte. La grazia delle sue opere unisce, così, la giovinezza del suo fare pittorico che fin dall’origine non ha bisogno di altro che di se stessa e la dolce incoscienza che l’accompagna nell’immaginare uno spazio pittorico incontrollato, prima dello studio e della conseguente irruzione della legge di uno stormo di storni in volo nelle sue opere. Proprio grazie allo studio sulla complessità degli stormi di uccelli, l’opera pittorica di Francesco Grasso, sotto l’incanto dei primi tempi, annunciava che era approdato “al tempo della grazia”; la sua pittura si vestiva così come uno di quei fiori campestri spontanei in tutta la sua gloria. (…)”

Giuseppe Bacci, 2023


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