“Ombre nella nebbia”
di Renzo Margonari
Riflettere circa le “oscillazioni del gusto” cui richiamava Gillo Dorfles permette che oggi si possa comprendere facilmente ciò che non avevamo considerato in precedenza. C’è un’avanguardia nascosta che non accede alle mode culturali e c’è sempre qualcosa che sfugge tra la numerosa fauna artistica di luoghi che il Po separa dalle vicende più evidenti vissute dagli artisti che vivono al centro del territorio urbano. Negli anni Settanta frequentavo assiduamente quei luoghi, attratto dall’amicizia per Giuseppe Gorni e Lanfranco. La mia attenzione critica era concentrata esclusivamente sulla loro opera. Pensavo che in quegli anni non vi fossero artisti locali migliori, ma mi sbagliavo.
Già dai primi dipinti di Sandro Gozzi (Quistello, 1954-2022) è denso il sentore padano. La vista delle sue immagini attira percezioni di altri sensi. Sembra quasi di odorare la terra limacciosa e l’erba putrida delle lanche. Si percepisce l’umidità, tutto è impregnato e il colore trasuda freddamente la fatica di sopportare la vita, sensazioni che penetrano lentamente. Nelle semplici rappresentazioni, apparentemente ingenue, si concentrano con forte emozione solitudine, isolamento, nostalgia, silenzio, e le forme liquide, cancellate, sembrano un velario, lì per svanire nel ricordo o nel sogno. Gozzi è un pittore autonomo, originale, e i suoi dipinti avanzano timidamente con delicatezza e raccontano a bassa voce favole, leggende rivierasche intensamente magiche. È un pittore fantasticheggiante, specificamente visionario, che nasconde le sue facoltà come un abile scrittore che si fingesse analfabeta, compito assai arduo poiché come disse un filosofo nulla è più difficile della semplicità e, in effetti, la pittura di Sandro Gozzi è assai complessa, sia nelle modalità contenutistiche, sia nei modi sia nei significati.
Pare che in quel 1976 io abbia visitato una mostra collettiva, senza accorgermi di questa timida bellezza. Lo dice la scarna biografia dell’artista rilasciatami gentilmente da Giuseppe Billoni. Forse non ero ancora criticamente maturo per accorgermi del suo valore poetico che ora mi pare così evidente ma che si deve percepire sensibilmente. La sua opera, però, parlava sommessamente in un periodo storico artistico in cui tutti urlavano. Ecco la nota biografica di Billoni che mi accompagna sui luoghi dell’artista dove pure lui ha abitato e poter ricevere la bella impressione che deriva dai quei dipinti. Gozzi poetizza la sua pittura valendosi di procedure delicate e di un cromatismo impoverito, un intimismo narrativo di gran suggestione e delicatezza. Quanto alsuo immaginario, l’unico paragone possibile in campo letterario potrebbero essere i romanzi fantastici di Giuseppe Pederiali. Mai dimenticare un poeta.
Nel 1968 si iscrive all’Istituto Statale D’Arte di Mantova dove avrà come insegnanti Aldo Bergonzoni, Albano Seguri e Giordano Frabboni. Nel 1972 partecipa al “Premio Lubiam” a Mantova; nel 1973 a una scelta mostra collettiva alla Galleria “Icaro” di Suzzara (Billoni-Gozzi-Poli-Tirelli), e a un’altra nel “Ridotto dell’Antico Caffè Teatro “ di Quistello. Nel 1973 ottiene la Maturità Artistica all’Istituto D’Arte e si iscrive alla facoltà universitaria DAMS di Bologna che però abbandonerà dopo un paio d’anni. Nel 1976, un’altra mostra collettiva, (Bellutti - Billoni - Galantini - Gozzi -Tirelli) al “Galleria Gherardi” che riceve, anche se fugace, una visita di Renzo Margonari. Successivamente tiene una mostra personale nel Ridotto dell’Antico Caffè Teatro di Quistello. Sempre nel 1976, a 22 anni, vince il primo premio della quinta edizione del “Concorso Nazionale di Pittura” a San Benedetto Po, con l’opera intitolata Le albe particolari. Infine partecipa al “5° Concorso Nazionale di pittura Città di Parma. Gozzi ha frequentato Giuseppe Gorni e Giuseppe Billoni col quale intratteneva una profonda amicizia. Ebbe anche qualche contatto con Lanfranco. Poi la sua attività espositiva cessa del tutto dagli anni Ottanta, pur continuando a dipingere e disegnare fino alla morte dopo una lunghissima malattia. Ascoltava molta musica e nulla avrebbe potuto staccarlo dai suoi luoghi. I primi dipinti risalgono al 1972. Nel 1973 pur continuando i modi pittorici e soggetti precedenti, integra alcune opere con l’applicazione di tessuti sovrapposti matericamente e pittoricamente al supporto in tela, inoltre la parte data come cielo, si anima di insetti e strutture indefinite. Nel 1974 i modi precedenti sono ricondotti a un maggiore ordine formale con figure scure, anche gli alberi sono ridotti quasi a sagome scure. Questa “maniera” pittorica e inventiva andrà avanti, con variazioni di poco conto, fino agli anni Ottanta o poco oltre. Nel 1974 sperimenta un sincretismo di modi precedenti. Questo suo “modo” procederà, con variazioni di poco conto, fino agli anni Ottanta circa.
Ecco tutto, ed è poco. Ma i dipinti dicono molto di più e devono essere considerati nella vicenda dell’arte mantovana degli anni Settanta. Il racconto delle sue immagini è radicato ai luoghi, alle presenze occulte che li abitano, alla casa che sembra imbevuta dall’acqua e pare quasi disciogliersi nei colori maligni di sortilegi e stregonerie, di muffe e fatue luci. Le cose reali sono sfumate evanescenti mentre quelle immaginarie sono fini sagome profilate, trasparenti, ombre del subconscio. Storie di esseri notturni velati che svaniscono nell’alba brumosa dove ancora sostano strati di nebbia. Mostri ittici e stregoni scuri come ombre fluttuanti che sono anche ricordi di vita povera, nella vecchia casa persa nel vuoto, immagini inquietanti eppure ingenue. Anche la risoluzione formale dell’immagine è semplice, o meglio semplicistica ma passata con una sottile sapienza esecutiva, una gamma infinita di grigi e fuliggini stratificati nell’aria umida e nel contempo ai margini dell’illustrazione faux-enfant. È un’espressione sincera, spontanea e senza filtri intellettualistici. Inizialmente vi sono brevi similitudini con quanto andava facendo anche lo stesso Billoni. Più tardi l’artista sarà attratto da un’infatuazione -quasi ovvia, dati i precedenti- per le astrazioni di Klee e Kandinskij (non per caso ambedue pittori musicisti) senza riuscire a completare questa evoluzione a causa della malattia. Poteva essere la seconda fase di una ricerca spiritualista ben rara tra gli artisti del suo tempo, ma resta una transizione incompleta. Tanta pregnanza è ottenuta, senza trasgredire la forma, sciogliendo lo strato pittorico in velature, intonando direttamente sulla trama della tela, strofinando, oppure incidendo nella materia il profilo degli oggetti, come un profilo luminoso di una forma fatua, forse inesistente, priva di volumetria, senza proiettare ombre. Magia. Sono modi la cui procedura esige una preventiva veggenza, difficili a descriversi proprio per l’apparente ingenuità procedurale che, invece, richiede all’artista una sicura levità di mano e mentale. E’ un artista maturato in solitudine che prima di esemplificarsi grandi maestri ideali, ha innanzitutto ascoltato una propria voce interiore.
Se si dovesse mai definire -occorre avere scienza e coscienza dei valori- un onesto e giusto dizionario degli artisti mantovani, Sandro Gozzi, a dispetto della sua troppo breve avventura artistica, dovrebbe esservi incluso senza esitazione.
Renzo Margonari
24/03/2023
Contatti
E-mail: gozzifra90@gmail.com