Funi Achille

pittore
Ferrara, 26 febbraio 1890 - Appiano Gentile (CO), 26 luglio 1972

Nel 1922 partecipa alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con i dipinti: La terra, Maternità.

Nel 1930 partecipa alla XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con cinque dipinti: La Venere latina, La melanconia, La Sibilla, La signorina, Ritratto.

Nel 1932 partecipa alla XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con una Mostra Individuale con presentazione di Benso Becca, dove espone ventisette dipinti: La Terra; Campidoglio (appartengono al pittore Arturo Tosi, Milano). Natura morta; Natura morta (appartengono al Sig. Gino Guardini, Milano). Bagnante (app. al Comm. Brigatti). Lago d’Albano (app. al Dr. Filippo Solimena, Milano). Castel Gandolfo. Ritratto di V. E. Barbaroux (app. al Sig. V. E. Barbaroux). Pescatore (app. al Sig. Francesco Di Stefano, Milano). Bagnante. (app. al Gr. Uff. Arnaldo Mondadori, Milano). Donna d'Albano (app. al Sig. Cesare Civita). Nudo (app. all’Arch. Gio Ponti, Milano). Testa (app. al Sig. Ambrogio Bussola. Milano). Pubblio Orazio uccide la sorella. Composizione. Adone morente. La figlia del pescatore. L’abbandonata. Donna romana. Figura in giallo. Portatrice di frutta. Nudo femminile. Paesaggio I. Paesaggio II Natura morta. Velieri.

Nel 1940 partecipa alla rassegna "Dodici artisti" nelle sale del giornale fiorentino "La Nazione".

Partecipa alla IV Quadriennale d'arte di Roma, al Palazzo delle Esposizioni, dal 16 maggio al 31 luglio 1943, con il dipinto Sposa Araba.

Nel 1953 partecipa all'Esposizione Nazionale d'Arte. Biennale di Brera e della Permanente, con il dipinto: Studio per affresco.


Presentazione: Le tele che Achille Funi ad una nella sua mostra personale, rappresentano lo svolgersi felice di una operosità pittorica, il cui dono nativo della franchezza e baldanza si tempera al fascino del bel sogno formale. Accenti e modi sensibili del gusto, impeti del possesso espressivo, ardore e sapore plastico, rallegrati da una sorta di intrepidezza costante, che è della vocazione e del carattere, conducono via via questo pittore genuino e sano alle immagini ideali della forma, per una laboriosa e assidua esperienza. Essa muove, nella esposizione qui ordinata, da un dipinto del 1920, La terra, e giunge alla grande tela del Publio Orazio, attorno alla quale si dispongono, trascelte, le altre numerose ed elette di questi dodici anni di valorosa fecondità. Il primo, segna il distacco dallo spensierato diletto dei simboli figurativi, propagatosi in tutta la pittura contemporanea, e nella nostra non divenuto mai privo di quella spontaneità primitiva, che ne traduce e salva argutamente il senso e il valore, con l’antica virtù o etimo della lunga, ininterrotta civiltà artistica. Due piccole «nature morte» testimoniano dell’ardito legame verso i temi della tanto vagheggiata modernità, ma la loro sorprendente vivezza decorativa, espressa nel libero estro ritmico della composizione, rivela il vigore e la validità propria dell’artista nel raccogliere e comporre succosamente i valori frammentari della pittoricità. Indi, il proposito arduo e alto della forma. Ed è esemplare questo dipinto della fanciulla che solleva il piatto delle frutta, con portamento tanto bene figurato: di una piana e attenta verità chiaroscurale, in cui l’espressione si accende moderatamente, per le ombrose zone tonali, di vivezze legittime, garbate, e talora sapienti, si intensifica, sicura, per argomenti particolari dell’ esperienza e del gusto, si distende calma e vigile, a determinare i piani fondamentali della struttura compositiva. In esso è l’impronta del rigore vero dell’espressione, per l’acquetarsi degli accenti e degli impeti dilettosi, nella meditazione dell’immagine da figurare; e all’esercizio castigato e amoroso non è già che si mortifichino le forze ardite del pittore, ma si compongono, anzi, nel modo di un’aspirazione perenne dell’arte, alla grazia, cioè, di un magistero. La rappresentazione del grande argomento dell’ultimo Orazio in atto di uccidere la sorella, si può quindi considerare come la più coraggiosa prova formale del Funi, condotta al suo nobile prestigio in mezzo al vario e alacre operare che rende ammirevole la di lui tempra pittorica.

Questa tela laboriosa si congiunge ardimentosamente allo spirito di quella tradizione ottocentesca che ambì a forme impeccabili di nuova classicità, e produsse anche presso noi opere tra le più valide e gentili. In essa vive una ragione figurativa animosa, determinata in chiare attitudini, per giusti valori e misure pittoriche. Ma quel che giustifica e fa vitale la sua presenza figurata è un modo di epica popolare, non in un senso minore, ma in quello della schiettezza e vigore delle antiche doti espressive che ci sono proprie, e inestinguibili, libere e rinascenti alla nostra sorridente virtù. E ne testimoniano tutte le opere che adornano questa sala ammirabile di pittura italiana.

Figure e paesi, delle quali, alcune virilmente prorompono nel quadro, e altre portano della femminilità un fiorire soave, nella ponderabilità robusta della forma; dei quali, alcuni recano della natura un vivido e rapido possesso, e altri la traducono in temi di elegia contesta di memorie e di visione.

Achille Funi, pittore carducciano, viene a mente di dire, se non sia significazione obliata. Pittore a cui va resa simpatia e onore.

BENSO BECCA (1932 - XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra).


Giudizi Critici

""Nel 1940 espone alla Galleria del Milione nella rassegna "Quaterna di pittori: Funi, De Chirico, Borra, Reggiani", …Di faccia all’«Accademia di Brera» (sono, le virgolette, un che di ironico?) è la (galleria del Milione dei bravi Ghiringhelli: una Galleria che sprezza il riposo. (E l’affermazione è già tutto un mio ringraziamento).

L’ultima mostra è stata una quaterna di pittori: uno più interessante dell’altro. Vogliamo discorrerne un po’?

Achille Funi espone 9 opere (tutte del 1939); opere intrise di quello strano (e dolce) senso che ha più volte fatto ricordare la parola «romanticismo».

Si può ancora, per Funi, parlare di «equilibrio libero da imposizioni culturali»? O è più vicino a noi il giudizio della Sarfatti: «Discepolo verace dei Discepoli dello Squarcione, ricerca ogni briciolo di sapienza dell’antichità classica…»?

È questa, l’accusa ad una piega sulla memoria. È l'agonia della «pittura pura», lo sperdersi nel labirinto dei «ricordi».

Come risponde Funi a parole le une cosi diverse dalle altre?

Nei quadri di «figura» (e qui una nota di poco conto, forse: fisionomicamente somiglianti) a volte appaiono nelle aperture delle finestre, paese addormentati in un fiabesco e sano orizzonte; e nei cieli è l’incanto, pendente al sentimentale, di una timida luna. Una «Lucrezia» saldamente costruita (ma si insinua un sospetto di posa») vive una tristezza imbronciata e, venata di dubbio. Una «romantica», appena nata da una cupa atmosfera, ha nelle mani una lettera di un bianco velato. È, il tema, risolto nell’aperto contrasto?

Tutte cose, queste, alle quali accenno nel tentativo «Sconoscere se l’elemento culturale sia entrato nella genesi di queste opere. I ricordi delle esperienze (più sane) del passato vivono per una ragione estetica o sono invece condizionati dalla memoria? È Funi ancora «il solo preoccupato di ridare attraverso pure forme e puri colori un'emozione plastica»? Sono ancora, le sue «opere di una severità plastico fino ad ora sconosciuta, liberate da «ogni servitù letteraria e sentimentale»?

Parole di Boccioni, le riportate. E ancora Boccioni, più avanti, scriveva: «Quando il pubblico se ne accorgerà vedrà nel Funi «uno dei migliori campioni della giovano pittura italiana».

Se più sopra mantengo (o debbo mantenere?) l’interrogativo, a questa ultima affermazione è sufficiente il punto fermo. Punto fermo che (perdonatemi la rima) è una completa approvazione.… Franco Valtorta,"" (1940).


Bibliografia:

1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 118.

1930 - XVII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 79.

1932 - (Benso Becca) XVIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 121/123.

1932 - XVIII Esposizione Internazionale d'Arte - Venezia, 1932 X° 28 aprile 28 ottobre, Fascicolo di Maggio della Rivista Le Tre Venezie, anno VIII°, N° 5, pp. 248, 276.

1940 - Giorgio Cartei, Dodici artisti una discussione e... un ombrello, Assisi, La Festa, n. 10, 10 marzo - XVIII, pp. 116/117.

1940 - Franco Valtorta, Quaterna di pittori: Funi, De Chirico, Borra, Reggiani, Assisi, La Festa, n. 11, 17 marzo - XVIII, pp. 126/127.

1943 - Raffalele Carrieri, IV Quadriennale, Tempo, n. 215, Milano, 8/15 luglio XXI, pp. 22/25, 31.

1953 - Esposizione Nazionale d'Arte. Biennale di Brera e della Permanente, catalogo mostra, tav. 44.

1970 - Achille Funi. Testimonianza di Tino Gipponi, Milano, Edizione Centro d'Arte, pp. 26 + XXXVII tavole.

1989 - Adriano Alloati opere 1937-1974, a cura di Angelo Mistrangelo e con una introduzione di Floriano De Santi, Fabbri editore, p. 47.

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