Colacitti Pasqualino

pittore
Centrache (CZ), 5 giugno 1933
trulli
Trulli - 2011

PASQUALINO COLACITTI, EVOLUZIONE DEL REALISMO

di Dorian Cara

Un lento umile cammino, le cui origini si devono ricercare nell’orgoglio per un ricatto della terra natia che amorevolmente, purtroppo come fosse prassi, sempre tradisce, contraddistinto da tenacia e continua sfida a conoscere, sedimentare e trasmettere con passione agli altri i segni dell’umano.

Nel percorso esistenziale di Pasqualino Colacittisono condensati non solo innumerevoli spunti creativi, coerentemente declinati nel suo stile diretto e colmo di espressione, ma soprattutto nella vitale attenzione a scrutare l’umana realtà, a farne i conti e ad esprimere con lucida esigenza di verità i sensi e le sfumature profonde.

Al grande fotografo Ferdinando Scianna l’onore di ritrarre puntualmente il suo sguardo “Pasquale Colacitti espone alla galleria d’arte Delia di Seregno (1973) una serie di quadri di appassionata ricerca figurativa. Vi si raccontano i suoi conterranei meridionali, visti sul treno, un momento fondamentale di innumerevoli e drammatici viaggi della speranza”.

Colori vivaci, occhi sgranati potenza iconica dell’immagine, mediata da una sua plasticità importante, il mondo della sofferenza letto e declinato in temi diversi che affronta da più di settant’anni, sono solo alcuni spunti d’indagine a cui potersi riferire per comprendere più compiutamente l’opera.

Per cogliere il suo lunghissimo e ricco lavoro è indispensabile tenere presente alcune tematiche ricorrenti, cardine del suo animo e fondamento d’ispirazione.

Innanzitutto, la donna, la madre, la madre terra abbandonata e sognata, gli ulivi nodosi ulteriore simbolodella terra d’origine.

E poi la mitologia greca che scorre nelle sue vene e che, con i suoi protagonisti, è parafrasi pirandelliana dell’animo umano, gelosa eredità custodita da millenni dalla sua terra calabra, emergono naturalmente e diventando punto di riferimento morale delle sue creazioni, contatto e ponte costante con i due mondi, l’arcaico e l’attuale.

In conseguenza a questa intima genesi culturale non possono che esprimere nella propria produzione quei topoi che appartengono alla civiltà: l’amicizia, l’energia e la competizione sportiva, l’attenzione per l’ambiente, la salute e le pandemie, le emergenze sociali, i secolari drammi delle emigrazioni dal Sud Italia nel Dopoguerra alle tragedie odierne degli annegamenti nel Mediterraneo, le persecuzioni razziali e i lager in tutte le sfumature dittatoriali, la pace e la guerra con le sue vedove di sempre.

Tra tutte le meditate vocazioni artistiche, una personale preferenza va verso le sue nature e luoghi abbandonati a causa dell’emigrazione, posti in contrasto con le fredde e ciniche realtà esistenziali dei nuovi mondi incarnati dalle metropoli dove emerge il paragonarsi tra passato e presente, tra dolci abbracci famigliari lotta per la sopravvivenza per un futuro migliore, forse mai ontologicamente compiuto.

Non è questo il destino di qualsiasi emigrante? Non tutti troviamo lidi sicuri o sappiamo o abbiamo possibilità di erigere i destini sognanti.

Tra gli innumerevoli giudizi sul lavoro, due dipingono egregiamente Pasqualino Colacitti. Quello di Domenico Manzella del 1971, che dipinge chirurgicamente l’essenza del nostro artista: “Alle ataviche inquietudini se ne associano altre, per l’insoddisfazione connessa alla natura umana, per lo sradicamento dalla propria terra o dalle tradizioni frantumate dell’evolversi dei costumi”.

Nelle sue atmosfere immobili, Colacitti riesce a cogliere fotograficamente “eventi straordinari” (cit. Libero De Libero) della sensibilità umana, quei momenti in cui si è fragili e allo stesso tempo energicamentevisibili, colti solo da chi ha un’emotività e delicatezza educate dal tempo.

Sempre Domenico Manzella scrive: “(...) il realismo del Colacitti, la dove emerge con prepotenza istintiva, non cede mai alla tipizzazione ironica(...)”, sottolineando che nel suo stile alcune rappresentazioni quasi grottesche non devono essere paragonate stilisticamente agli esasperati scimmiottamenti di denuncia sociale alla Egon Schile, George Grosz, Otto Dix o James Ensor. Ma tutt’altro.

Esse sono il ritratto del sentimento umano evocato nitidamente, a tratti malinconico, focalizzato simciò che deve piùprofondamente trasmettere, ossia il rapporto uomo e realtà.

A partire dalla propria “mitologia famigliare”, titolo preso in prestito da un volume scritto da un suo storico amico ed estimatore, Domenico Cara, fino ad oggi, Colacitti ha percorso un realismo e attenzione il cuore del mondo, raccontandone con schietta e vera semplicità le essenze.


Pasqualino Colacitti vive a Seregno (MB).

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