Cangiano Giorgio

pittore
San Giorgio a Cremano (NA)

Nato a San Giorgio a Cremano (NA) è vissuto stabilmente ad Ercolano fino al 1985 data in cui è stato chiamato ad insegnare Grafica pubblicitaria e tecnica della fotografia all’Istituto d’Arte “Venturi” di Modena. Nel decennio successivo ’85 - ’95, l’artista pur stanziatosi in Emilia, prima a Modena e poi a Reggio Emilia, continua a mantenere i contatti con la città vesuviana, organizzando mostre e iniziative culturali di rilievo. Nel 1992, in veste di presidente del Centro d’Arte e Cultura “Marco De Gregorio”, a villa Campolieto, indice l’Esposizione Internazionale di mail art, per la salvaguardia del patrimonio artistico di Ercolano. Dopo una breve parentesi bresciana, a Ghedi, dove gli viene organizzata la personale: “Un artista tra i banchi di scuola”, nell’ambito delle attività di fine a.s. 1995/96 promosse dalla S.M.S “Caduti di Piazza Loggia”. Un suo lavoro: “Larario” diventa oggetto di una sceneggiatura per un’animazione teatrale a cura degli allievi, alcuni dei quali presentano una tesina sull’Artista. Lo scrittore Umberto Malafronte, per la circostanza, redige un significativo scritto sull’artista. Nel 1995 rientra definitivamente a Reggio Emilia città dove vive e lavora. Personalità poliedrica, Cangiano, è stato uno dei maggiori operatori artistici e culturali di Ercolano; per circa un trentennio, innumerevoli le iniziative promosse a favore della Città alla quale è rimasto visceralmente legato. Nel 1985, a Portici, gli viene conferita la Targa Vesuvio quale Artista dell’anno. Nel 2004, a Ercolano riceve il PREMIO NAZIONALE DELLA CULTURA, assegnato a chi ha contribuito ad esaltare il ruolo di Ercolano in Italia e nel mondo. Docente di materie artistiche, ha esperienza di docenza ai Corsi abilitanti e di Commissario al Concorso abilitante per docenti di materie artistiche. La sua attività si alterna, essenzialmente, tra la pittura e il giornalismo.

È autore di scritti, recensioni di artisti contemporanei e mostre d’arte e di alcune pubblicazioni: “REDEMPTORIS MATER” (1988); “PER ASPERA AD ASTRA” (1991); “LA SIGNORA DEGLI ANELLI” (1992); “MERCATO ARTISTICO DELLA PITTURA DEL’900” (1993); “DIZIONARIO D’ARTE CONTEMPORANEA”, Selezione 1994; “IN MEDIO IGNIS NON SVM AESTVATA” (1995); “IL PRESEPE di Giuseppe D’Antonio” (1999); “L’OTTOCENTO IN ITALIA DA MARCO DE GREGORIO ALLA NUOVA SCUOLA DI RESINA” (2005).

Collabora con il mensile di cultura “Il Saggio” e il periodico La Voce Vesuviana sin dalla fondazione.

A Reggio Emilia, città ove vive e lavora, da anni, ha intensificato il suo interesse verso quelle problematiche adolescenziali legate al disagio e al tema del bullismo.

Partecipa attivamente alla vita artistica italiana dal 1972, sia direttamente, che quale membro di giurie.

Sue opere si trovano in varie raccolte in Italia e all’Estero.

L’artista si è messo in bella evidenza con alcune opere murarie, Murales eseguiti per la città di Ercolano; nella stessa città ha eseguito un interessante ciclo pittorico: “Il tempo e l’archeologia”, per una committenza privata. La collaborazione tra l’artista e la città campana, risale al 1999 quando fu invitato ad esporre nel complesso archeologico degli Scavi di Ercolano, in occasione della visita dei responsabili di governi aderenti all’OCSE, riuniti a Napoli per un convegno sulla sicurezza. È stato invitato più volte dal Sindaco e dall’Assessore al Turismo, a “rappresentare”, con le sue opere la Città degli Scavi, in occasione di eventi importanti: Visita degli Alti Responsabili dei Centri di Governo dei Paesi aderenti all’O.C.S.E.; BIT di Milano; Borsa del Turismo Archeologico di Paestum; Lugano, Salone Internazionale Svizzero delle Vacanze. Nel 2003, ha fatto parte dello Staff tecnico di artisti reggiani, che a Riccione hanno preso parte alla realizzazione del disegno più lungo del mondo. Dal 2018, per incarico del presidente dell’Accademia Ercolanese, il dr. Aniello De Rosa, è direttore artistico della Rassegna Internazionale di Arte Contemporanea: “Le Primavere dell’Accademia Ercolanese”.


Contatti:

Giorgio Cangiano

Cell. 328.9271048

E-mail: giorgio.cangiano@gmail.com

Sito Internet: www.giorgiocangiano.jimdofree.com

Pagina Facebook Giorgio Cangiano


Sue incisioni sono inserite nella Raccolta delle Stampe Adalberto Sartori di Mantova,

Sito internet: www.raccoltastampesartori.it


Esposizioni:

New York, Bressanone, Parigi, Modena, Bari, Santhià, Ghedi (BS), T. del Greco; Biella, Roma, Napoli, Bologna, Benevento, Colle Val d’Elsa (SI), Perugia, Torino, San Sebastiano al Vesuvio, Ercolano, Portici, Piano di Sorrento, Santa Anastasia, San Giorgio a Cremano, Solofra, Atrani, Pimonte, Reggio Emilia, Castel d'Ario (MN), etc.


L’artista è inserito nelle maggiori pubblicazioni e riviste d’arte, tra le quali il Catalogo Nazionale d’Arte Moderna BOLAFFI n.16, Vol. 1 critico finanziario.


Di Lui hanno scritto:

A. Calabrese, G. Imperato, G. Ciavolino, A. Crovella, C. Borrelli, V. Ascione, G. Cozzolino, M. Tarallo, A. Zefiro, R. Puviani, S. Fraternali, F. Accardo, G. De Fraia, U. Malafronte, V. Perna, T. Piccolo, M.G. Bo, D. Iovino, L. Leone, R. Puviani, L. Sannino, M. Capuozzo, A. Illario, V. Utri, S. Giannantonio, A. Cestaro, A. Bigazzi, C. Clemente, altri.


Giudizi critici:

Un artista alla ricerca dell’autenticità dell’uomo: Giorgio Cangiano

L’arte di Giorgio Cangiano si può paragonare a una profonda, sofferta, partecipata “discesa agli inferi” della condizione umana.

L’Uomo nella sua condizione esistenziale costituisce il centro della riflessione artistica del Cangiano.

Tutta la creatività dell’artista e la stessa impostazione tecnica delle opere convergono verso l’uomo quale punto Omega di un doloroso sforzo di compenetrazione con la problematicità dell’esistenza.

A questo punto si potrebbe essere tentati di architettare l’autore come “esistenzialista”. In realtà, la riflessione di Giorgio Cangiano sull’uomo abbraccia l’integralità della persona umana, vista non solo nelle pieghe, pur le più riposte, dell’io individuale, ma anche nei rapporti con gli altri e con una società troppo spesso opprimente, condizionante e, a volte, annichilente.

Ed è proprio su questo fondamento che si innesta ed esplode, con una grande carica morale, la descrizione-riflessione-partecipazione dell’autore: ora con drammaticità, ora con ironia, ora con una vera e propria vis comica.

Ma, accanto alla riflessione partecipe sulla condizione umana, venata da un sostanziale pessimismo anche nei momenti in cui l’ironia dell’autore invita al sorriso, è presente una sfida all’osservatore e, in special modo, agli intellettuali, ai chierici del nostro tempo, per la creazione di una condizione umana diversa e migliore.

Il pessimismo della ragione, scaturante dall’osservazione disincantata della realtà, diventa ottimismo della volontà, sfida e coinvolgimento diretto del e per l’osservatore. La dolente poesia della descrizione pittorica si fa poiesi e prassi per una proposta di azione. La riflessione teorico-artistica, meravigliosamente espressa con tecniche e scelte cromatiche molto appropriate, diventa affrontement ed engagement dell’uomo e della sua realtà.

L’osservatore si trova coinvolto e quasi costretto a riflettere e a scegliere, viene provocato ad uscire dalla neutralità, dalla mediocrità e, in ultima analisi, dalla viltà di una valutazione puramente estetizzante per elevarsi su un piano di impegno etico.

La provocazione del Cangiano avviene attraverso l’uso di simboli-chiave che costituiscono il fil-rouge di un discorso pittorico che abbraccia una sequenza di opere. Il leit-motiv è costruito ora sul binomio filo spinato-pipistrello, ora dal monaco figura dell’intellettuale (clericus) – osservatore.

Nella serie del filo spinato, per esempio, è denunciata la condizione di oppressione in cui l’uomo è costretto a vivere; oppressione sociale, ma anche culturale in cui l’uomo oscilla tra il sonno e il delirio della ragione, che comunque generano mostri e rendono l’uomo stesso irriconoscibile e deforme.

Nella serie del monaco questa denuncia si estende al tradimento dei chierici-intellettuali e dello stesso osservatore dell’opera.

Troppo spesso gli intellettuali si sono crogiolati in una miope estasi dell’esistente senza proiettarsi oltre.

Così anche l’osservatore è chiamato dal Cangiano a porsi oltre la mera contemplazione estetica dell’opera per confrontarsi e farsi coinvolgere in una presa di posizione di fronte a ciò che essa rappresenta e alla stessa realtà nella quale viviamo.

Sapremo noi raccogliere la sfida?

Sapremo proiettarci nell’opera e oltre l’opera, nelle cose e oltre le cose, in noi stessi e oltre noi stessi?

Auguriamocelo, non solo per godere pienamente dell’opera di Giorgio Cangiano, ma anche per migliorare noi stessi e la realtà che ci circonda.

Francesco Accardo

Presentazione in occasione della mostra tenuta all’Artexpo di New York allo Jacob K. Javits Convetion Center 23-25 Aprile 1991


Nel piazzale della Circum la realtà di Ercolano

In un «murales», arte e degrado

Ercolano – C’è “murales” e “murales” ma quello realizzato nel piazzale della Circumvesuviana, nella parete frontale per chi esce dalla stazione ferroviaria, dal maestro Giorgio Cangiano, ha particolarmente colpito la sensibilità dell’intera città vesuviana per il senso con cui il giovane artista ha interpretato la triste realtà del degrado architettonico del vasto e interessante patrimonio artistico e culturale ercolanese.

Il <<murales>> in questione presenta, nella sua tematica artistica e pittorica, due immagini che corrispondono a due aspetti importanti del nostro patrimonio architettonico: da un lato l’artista sangiorgese di nascita, ma di adozione ercolanese, ha presentato un aspetto deprimente della chiesa del Salvatore al Vesuvio, struttura architettonica risalente al 1656, realizzata dalla dignità e dalla devozione di un gruppo di cittadini scampati al morbo della peste e, sul lato destro, per chi guarda il <<murales>>, la splendida struttura di Villa Campolieto, totalmente restaurata e di prossima inaugurazione, riprodotta da un francobollo che sta girando il mondo.

In questo tema artistico, il professore Giorgio Cangiano, ha posto in evidenza non tanto la sua finezza artistica, quanto tutto lo sdegno verso chi potendo non riesce a muovere un dito, determinando, cos’, il lento, inesorabile declino del nostro patrimonio artistico culturale.

Giuseppe Imperato

Quotidiano “IL MATTINO” Anno XCI – Martedì 19 Ottobre 1982 - Cronaca di Napoli - pag. 9


“(…) Forse è l’ampiezza dello scenario vesuviano che Giorgio Cangiano ha sempre tenuto di fronte ed è per lui tanto familiare e domestico da ritrovarne costantemente i profili, o è forse l’assidua frequentazione degli Scavi dove ha appreso la meraviglia della scoperta e il gioco allegorico nelle grandi narrazioni affrescate, a fargli preferire opere di vaste dimensioni. Forse è anche quel suo istinto che gli impone l’etica della socialità a dare un senso classico-metafisico-simbolico che li pervade. Giorgio Cangiano si trova a suo agio quando può narrare visivamente e stabilire nell’opera in cui è sempre attore spettatore quelle che sono le emergenze oggettive e simboliche di una condizione esistenziale. Oseremo dire che i disegni e le piccole dimensioni non sono che studi per un progetto più vasto dove infatti si ritrovano elementi ricorrenti in quegli appunti che egli ha disseminato sia quando nei primi anni ’70 interpretava volumetrie geometrizzanti e scansioni spaziali, sia quando una più matura essenzializzazione gli ha dato la possibilità di dipingere in fase simbolica-contemplativa. Non è che si sia sottratto agli allettamenti di rapide soluzioni, ma sempre ha finito per prevalere gli elementi che sfuggono all’occhio comune. Ercolano è sinonimo di reperto. Il Vesuvio rappresenta la massima modificazione, la precarietà che ripropone il primordio, le Ville Vesuviane significano lo splendore della ragione, i culti religiosi, quelli presenti e quelli di memoria pagana, spesso commisti nella ritualità popolare che mai rinuncia alle radici e alla storia, sono eloquente pietas che scongiura il rischio sismico. Come meravigliarsi allora del teschio, della pietra, del rudere esposti tra mare e cielo in eloquente solitudine? Le motivazioni psicologiche e quelle razionali hanno evidenti scarti quando Cangiano narra se stesso come condizione umana: il prigione nudo ingabbiato che non può ne andare ne agire, i pipistrelli, il filo spinato sono evidenze di un modo di essere che l’artista denuncia sollecitando ad amare la natura, a rispettarla, a garantire vitalità al patrimonio ambientale perché possa vivere la memoria e non disperdersi. Anche il suo lavoro di istinto iperrealista che gigantesca in dimensioni murarie quelle di un francobollo reale commemorativo delle Ville Vesuviane diventa metafisicità simbolica allusiva al degrado contemplato dall’omino incappucciato che difende la memoria. Il titolo appropriato mi sembra “MAIL ART… MA IL DEGRADO”.

Alle grandi dimensioni Cangiano torna con il recupero degli affreschi ridotti ad ombre appena emergenti dell’Ospedale Fatebenefratelli di Benevento e sempre tenendo come promemoria e particolari di pitture di più vasto respiro disegni e dipinti elaborati seconda dell’ispirazione, eccolo ad affrescare Villa Suarino. Negli spazi architettonici scompartiti egli ha fatto convergere la natura che si rigenera, la memoria storica, i reperti immaginati nella loro funzionalità quotidiana.

Ha messo insieme memoria illuministica e ricostruzioni ideali d’età romana, rivitalizzando il tutto tra il consueto mare sempre mutabile e il consueto cielo mutabilissimo, non dimenticando i gerani fioriti, la tazza del caffè, l’ultimo arrivato in famiglia, il sonno di Ercole, la gazza ladra, l’erma che non si sveglia al canto del gallo, la mitologia referenziale e le eterne balaustre dalle quali continua ad affacciarsi come spettatore, fingendosi intanto protagonista dei luoghi della sua storia inventata, delle stagioni rigogliose che Ercolano ebbe, e alle quali continua a rinunciare per ignoranza, per incuria e soprattutto per disamore. Sono certo che l’istinto pittorico non allontanerà mai Cangiano dall’opera che ha in sé il sogno e il “contenuto”, vale a dire la pregnanza del messaggio. Il colore vivo affrescato è il segnale della sua speranza. Del resto la sua partenza naturalistica gli ha consentito l’allegoria e la metafora che si estendono dalle sue allusioni simboliche”.

Angelo Calabrese

Presentazione alla personale tenuta negli Scavi di Ercolano in occasione della visita degli alti responsabili di governo dei paesi aderenti all’OCSE - 10 ottobre 1999


“(…) Cangiano, a buon diritto, può essere ritenuto un neo-simbolista. Nelle sue opere non vi è nessuna concessione al tratto meramente descrittivo o al moto dei sentimenti: la selva di simboli che compongono i suoi paesaggi pittorici esprimono la fisionomia del suo paesaggio interiore fatto ad un tempo di partecipazione e di severo distacco dallo “spirito del tempo” (Zeitgeìst direbbe un Heidegger). Questa aporia è solo apparente: Cangiano, quale figlio della sua Terra coglie e assume in sé, con la sensibilità dell’artista, la necrosi della decadenza che ha colpito quella parte d’Italia ma che diventa archetipo di una decadenza di vasta portata. Da qui i simboli della morte; lo spirito maligno del pipistrello signore delle tenebre; l’alienazione delle identità carnali e il drappo tricolore o quello statunitense come sudario di una appartenenza più antica e in via di dissolvimento; il filo spinato e le gabbie ferree a rinchiudere l’autentica libertà dello spirito umano: quello di essere se stessi; le rovine civili cariche di memorie; le croci quali immagini del Verbo incompreso, ora custodito dagli epigoni della Philosophia perennis (emblematico, l’inserimento in una sua opera del libro di Renè Guenon, “Il Simbolismo della Croce”).

E alla chiarezza simbolica degli elementi compositivi, compendiata dalla nettezza cromatica, fa da contrappunto l’ambientazione solare di nitidi spazi celesti o la mole solenne della montagna vulcanica vesuviana, il “Monte Analogo” di Doumail (richiamo all’axis mundi o al mistero della caverna, pur presente in una sua opera?).

Il riferimento esplicito al mondo delle essenze come poli orientativo è la risposta dell’artista all’avanzata del nulla; sicché la sua impersonalità introduce un linguaggio evocativo in cui le essenziali figure simboliche, cesellate come ideogrammi, risultano irriducibile a qualsiasi logica discorsiva (altro che lo sciocchezzaio semantico tipo emittente-ricevente).

In tal senso la sua arte si distacca dai canoni contingenti ed individualistici della modernità per farsi arte universale ed intemporale. Egli, al pari dell’artista classico (tradizionale si dovrebbe dire in modo più appropriato; e poi: è corretto parlare di artista o non dovremmo parlare di iniziato con la grazia dell’arte?) è il mediatore, il ponte tra l’umano e il sovraumano, tra il mondo dell’immanenza e quello dei principi primi.

Laddove Cangiano dà spazio all’uomo in quanto individuo, lo raffigura con il volto celato e in vesti monacali: muto spettatore, presente in questo mondo, ma non di questo mondo. Non crediamo che sia azzardato, allora affiancare il frate di Cangiano (Cangiano stesso?) all’evoliano uomo in piedi tra le rovine, all’anarca jungheriano o alla figura del viandante nella foresta: ultime figure apollinee che attraversano un mondo pervaso da una ebrezza dionisiaca autodistruttiva.

Umberto Malafronte

Presentazione alla personale “Un Artista tra i banchi di scuola” tenuta alla Scuola Media Statale “Caduti di Piazza Loggia” - Ghedi (Brescia) - Giugno 1995


La “pietra antica” nelle opere di Giorgio Cangiano

Ho conosciuto e imparato ad apprezzare Giorgio Cangiano fra le rovine pulsanti dell’antica Ercolano e in quell’Eremo del Vesuvio da dove partirono per secoli escursionisti-visitatori di ogni parte di Europa, ristorati dalla singolare figura dell’Eremita. Egli ha contribuito in maniera decisiva a salvarlo dall’incuria e dalle devastanti trasformazioni cui era destinato.

La sua arte si nutre dell’amore di questa terra fertile e vitale, interpretando l’antico della sua Terra con uno spirito nuovo: anche in questo sta a continuità, ma anche la novità, rispetto alla gloriosa tradizione dei paesaggi meridionali.

Attraverso la sua arte, la pietra antica parla all’uomo di oggi.

Dr. Mario Pagano

Primo Dirigente Archeologico Ministero Beni e Attività Culturali, già Direttore degli Scavi di Ercolano.


“Giorgio Cangiano mi piace nella sua continua ricerca a scandagliare le varie potenzialità del rapporto tra l’idea di sogno e di realtà, sistemati sul piano compositivo con un equilibrio di toni cromatici che danno voce alle presenze fisiche del quadro, inmezzo a un silenzio melodioso di colore; il rapporto così singolare non di meno è presente quando riesce ad esprimere lo stesso equilibrio con l’uso della monocromia.

Le sue opere invitano lo sguardo a distendersi dalle evidenze in primo piano ma su prospettive diverse che, talvolta, non sono semplici punti di fuga ma una vera e propria “fuga dal tempo” dove spesso luce e colore convergono in una sintesi dagli effetti seducenti, realizzando un tratto di congiunzione fra memoria e fantasia, tra le esperienze reali e sogno, così come egli lo vive a contatto con il reale…”.

Il maestro pare muoversi nella piena consapevolezza di fissare la realtà sulla tela imprimendole quel guizzo lirico che sospende in una posizione d’incanto cosicchè i luoghi paiono estraniarsi dal mondo fisico proprio partendo dai suoi ricordi.

Avv. Dante Iovino (dal sito dell’artista, Libro degli Ospiti, sabato 3 gennaio 2015)

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