Allievo di Francesco Hayez, e dello zio materno Mosè Bianchi, fu paesista e pittore di genere.
Nel 1895 partecipa alla Prima Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con Il dipinto: Novembre.
Nel 1889 consegue un premio all'Esposizione Universale di Parigi, e un altro alla Mostra italo-americana del 1892.
Nel 1907 partecipa alla VII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con il dipinto: Sera d'inverno.
Nel 1909 partecipa alla VIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con il dipinto: Verso la notte.
Nel 1910 partecipa all’Esposizione Nazionale di Brera, con il dipinto: Il bosco dell'usignolo, e vince il Premio Principe Umberto con il dipinto Foglie morte.
Nel 1910 , Guido Marangoni, gli dedica un ampio servizio: Il pittore Emilio Borsa, su: Natura ed Arte.
Nel 1910 partecipa alla IX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con i dipinti: Mercato del lauro, Sul greto.
Nel 1922 partecipa alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, con la pittura: L'agonia del bosco.
La Galleria Nazionale d'Arte Moderna di roma, conserva il suo dipinto: Il Bosco.
La Galleria Civica di Milano possiede il dipinto: Nel Parco di Monza,
IL PITTORE EMILIO BORSA
Quando, pochi mesi or sono, la tristissima notizia si sparse nei cenacoli artistici milanesi, fu un coro solo di rimpianto amaro e di sincero dolore. Il pittore Emilio Borsa, passeggiando per una via della sua Monza, era stato colpito ad un occhio dall’aletta metallica di un giocattolo infantile. E la scienza, impotente a sanare la terribile ferita, altro non poté suggerire che la estirpazione dell’occhio colpito. Terribile sventura per un pittore quella che lo offende nell’organo più necessario all’esercizio dell’arte sua! Tutta una ignorata e terribile tragedia deve svolgersi nell’animo suo davanti alla spaventosa prospettiva di non riuscire più por l’avvenire a tradurre sulla tela i sogni del proprio estro! E in simile stato di abbattimento gli amici trovarono Emilio Borsa quando - percossi dalla dolorosa novella - si recarono ad abbracciarlo e confortarlo.
Né mancavano gli argomenti a dimostrare eccessiva la disperazione del povero amico. Il Guercino non dipinse tutta la vita con un occhio solo?
Questo difetto tipico è anzi la ragione del suo più straordinario pregio di pittore, giacche nessuno, dipingendo con due occhi, riuscì mai a ottenere un rilievo così potente come il maestro di Cento.
E Giacomo Favretto non fu vittima di sventura quasi identica a quella del Borsa? Se ben ricordo, non un giocattolo di latta, ma una pallottola di neve privò il rinnovatore del quadretto di genere veneziano di uno di quegli occhi onde tanta luce di bellezza era sfolgorata. Un’altra mano infantile, inconscia ed irresponsabile, era causa di tanto dolore e di tanto scoraggiamento. Eppure poco per volta il Favretto si venne abituando a dipingere con un occhio solo e le opere del periodo ultimo di sua vita non sono inferiori alle prime e non denunziano affatto speciali condizioni visive nelle quali l’autore dovette crearle.
Possiamo adunque con sicura fiducia riprometterci di ammirare ancora, nelle future esposizioni, i quadri simpatici e suggestivi di Emilio Borsa. La sventura sua e dell’arte sarà meno grave di quanto fosse apparso a principio. E gli affezionati apprezzatoli di questo originale e fecondo maestro lombardo, si feliciteranno di veder sfatati nella realtà i loro timori pessimistici ed esagerati.
Pochi artisti godono come il Borsa così larghe e diffuse simpatie. La sua arte fine e delicata conquista il pubblico e gli intenditori polla sua profonda sincerità, per il sottile sentimento che la pervade.
Nato a Milano nel 1857 da una famiglia di artisti, egli fu pittore per vocazione e per istinto. Ebbe i primi insegnamenti dell’arte dal padre suo Paolo Borsa, modesto e valentissimo professore di disegno, ed entrò giovanissimo, ma con ideali già maturi, nell’Accademia di Brera ove seguì il corso di Francesco Hayez il quale, fedele ai vecchi procedimenti della tecnica accademica. dovette frenare gli impeti audaci e la vena irrompente del giovanissimo allievo.
Ma chi doveva influire più vigorosamente ad indirizzare la visione giovanile di Emilio Borsa fu suo zio Mosè Bianchi, il grande caposcuola della moderna pittura lombarda. Al suo esempio il Borsa attinse le norme più sicure e sulle sue tracce ricollegò la propria arte alle superbe tradizioni di obbiettività e di eclettismo che sono retaggio o gloria della scuola lombarda. Il paesaggio che esprime il senso panteista dell’epoca contemporanea, avvinse soprattutto l'anima vibrante del giovane pittore il quale dedicò le forze migliori alla celebrazione della natura, a cantare in strofe inspirate la bellezza dei campi, la gloria della luce, le trasparenze dell’aria libera.
Ancora sui banchi della scuola, con quella serena temerarietà che è l'indice dei temperamenti predestinati, il Borsa si lancia nell’arringo dell’arte concorrendo nel 1881 ad uno dei premi di istituzione cittadina banditi dall’Accademia di Brera. E il quadro che segna il primo successo e la prima vittoria e rivela nel giovane esordiente la stoffa di un futuro maestro. È appunto un paesaggio, una visione magnifica di pianura digradante, accesa di riflessi e palpitante di vita.
Primavera si intitola la prima opera del Borsa e segna davvero una promettente e gagliarda primavera d’arte. Tutto celebra la rifiorente gloria della vita campestre nel quadro genialissimo: sotto i mandorli che osteggiano le prime candide corolle dai rami ancora scheletriti, la buona terra arata feconda i primi verdi intensi e lucidi. Le gaie contadine stornellatrici si curvano alla nuova fatica, rilevate con rapidi tocchi robusti sullo sfondo vasto o luminoso. E lontano biancheggia lo svelto campanile del villaggio su quel tripudio di freschezza e di toni chiari. Fra i primi dipinti del Borsa vogliono ancora essere ricordati un Ritorno dal pascolo, robusto di colorazione e di originalissima composizione, e il geniale Buon cuore che sollevò tante ammirazioni quando erano in voga i quadri anedottici. E una vispa figura di contadinella che ritta in piedi sulla stia, in un impulso di buon cuore la apre e lascia uscire in libertà gli starnazzanti volatili imprigionati dalla crudeltà micidiale della massaia. La trovata argutissima è tradotta nel quadretto con signorile grazia festevole e con quella fermezza di espressione che il Borsa aveva già saputo assimilare dalle tele meravigliose di Mosè Bianchi.
In brevi anni la visione del pittore si allarga e la sua tecnica si rinvigorisce in tutte le ardue difficoltà del paesaggio. Il soggiorno di Monza gli offre un modello prezioso: il parco immenso dove i giuochi di luce e gli incanti infatti inspirati tutti i celebri Boschi del Borsa, trionfatori di varie esposizioni italiane ed estere ed oggi non meno ammirati alla galleria Nazionale di Roma, nella raccolta d’Arte moderna di Milano, in parecchi musei tedeschi.
Nessuna esposizione d’arte nazionale ed internazionale, venne disertata dal nipote di Mosè Bianchi durante il periodo che segue la sua piena e vibrante maturità d’artista. A Milano, a Torino, a Roma, a Palermo, a Genova il pubblico ha la testimonianza sicura della sua attività febbrile e dei suoi continui progressi.
A Monaco, a Pietroburgo, a Berlino, a Parigi dove fu premiato alla mostra universale del 1880 il Borsa reca la sua gioconda nota lombarda piena di vivacità, di franchezza, di energia e qualche volta soffusa di un sottile velo di melanconia. Nel Guado egli sembra precedere Andrea Zorn nel fondere e armonizzare il tono azzurro delle acque correnti col verde intenso della corona circostante di cespugli, vivificando la impressione paesista con la silhouette gentile di una figurina muliebre; colla Solitudine preludia alle pensierose suggestioni della nuovissima scuola inglese, nei mezzi toni annebbiati ottiene le colorazioni chiare e trasparenti degli scozzesi, senza farsi seguace o pappagallo di maniere esotiche. E tutta la sua esaltazione della umile vita dei campi sembra - per il contenuto - una cosciente e degna continuazione della pittura francese della prima metà del secolo scorso, la prima che elevò il contadino a dignità di protagonista dei propri dipinti.
Chi non ricorda l’ampio, arioso, magnifico Sullo stradone? Una donna è tutta affaccendata a mettere al sicuro le sue oche venute incautamente fra il tramestio polveroso del Viale di Monza che sfugge a sinistra in magnifica prospettiva l’ambiente è reso con straordinaria forza di rievocazione nella grande effusione di luce, nei contrasti delicati, nel movimento rapido e perfetto delle molte figure.
E le lavandaie di Maggianico allineate sulla sponda del lago quieto e come assopito mentre vigilano lontane le prealpi nerastre? E l’incanto del limaccioso canale, chiuso nelle ombre cupe dei filari d’alberi e delle case lungo la stradicciuola che conduce Al Mulino? I quadri si susseguono di successo in successo, la vena del pittore, assillata dalle parole di lode, si prodiga nei soggetti più vari ed il Borsa assurge fra i più acclamati e significativi rappresentanti della scuola nostra in tutte le mostre.
Fra i dipinti che segnarono una vittoria più completa nella vita artistica del Borsa non è dimenticato Amor riscalda, uno dei più gustosi e rappresentativi suoi quadri. Attraverso una pianura desolata dall'inverno, tutta bianca di neve argentina, limitata all'orizzonte da un filare di alberi nudi, una coppia di amanti procede abbracciata, bisbigliando tenere ed appassionate parole d’amore. Il contrasto fra l’ambiente squallido, freddo, assiderato, ed i due personaggi accesi dalla impetuosa passione è di una arguzia finissima e la sinfonia di bassi toni invernali rappresenta una delle pagine più delicate della pittura di Emilio Borsa. Egli ha saputo unire la giovialità gioconda del vecchio quadro di genere alla larga significazione del paesaggio modernissimo con un procedimento affatto originale e personale. Alla morbida poesia di questa tela fa stridente riscontro la forza di rappresentazione ond’è condotto Dopo il temporale, un altro dei più noti quadri del Borsa. Gli elementi hanno infuriato sopra un angolo di campagna ubertosa, in piena fioritura estiva. Nell'aria ancora impregnata di umidore sono le tracce della tempesta recente, sul cielo ritornato limpido si curva ironico l’arcobaleno. Ma gli steli verdeggianti giacciono abbattuti al suolo, le foglie gocciolanti abbandonano i lembi lacerati alla brezza che le lambisce, una strana e diffusa mestizia avvolge i campi che avevano preparato tanta promessa di raccolti. E una contadina guarda pensierosa e tacita lo spettacolo di desolazione, indicandolo al tiglio che tiene fra le braccia come per prepararlo alle delusioni ed alle avversità del destino.
Alla Quadriennale torinese del 1908 il Morsa partecipò con due piccoli quadri, eppure fu uno dei pittori più notati e discussi. In Valsesia, rapida impressione evocante un gruppo di montanine col caratteristico fazzoletto rosso in testa spiccante sul verde cupo della vegetazione, fu giudicato un piccolo poema di freschezza e di grazia; Sulle vice del Lambro parve un saggio di virtuosità pittorica del Borsi il quale si propose tutte le difficoltà del mezzo tono e delle colorazioni in sordina, per superarlo agilmente, con la disinvoltura e la sicurezza di un pittore principe. E una prova di bravura consimile ci offrì nella penultima esposizione di Brera col Triste Inverno, magnifica visione decembrale sapientemente concepita ed eseguita, così nella prospettiva di paese come nelle due figure indovinatissime. La macchietta del bimbo specialmente, è un delizioso capolavoro di arguta psicologia infantile. Questo meraviglioso quadro del Morsa, trascurato dalla commissione di premiazione fra le più vive proteste degli artisti milanesi, venne comprato dal Re.
Ultimo lavoro del Borsa è lo splendido Verso la notte che si ammirò all’esposizione di Venezia, in una collocazione non del tutto favorevole. Si stacca bruscamente da tutta la precedente produzione pittorica dell’autore. Il celebratore della luce si dedica in questo quadro alla difficile impresa di fermare sulla tela le ardue nuances delle penombre crepuscolari. Un povero barroccio sgangherato si avvia per la strada maestra, verso l’ignoto, nel buio che incombe. La campagna all’intorno si fascia di oscurità e l'intonazione cupa del quadro è rotta soltanto dalla fievole fiammella del lanternino che tremolando incerta guida i passi stanchi del vecchio cavallo nella sua marcia notturna. Ed è certo, quest’ultimo, uno dei saggi più preziosi dell’arte profonda e gagliarda di Emilio Borsa. Solo un pittore di primissimo ordine poteva affrontare un tema così scabroso e gravido di pericoli. Un pennello mediocre sarebbe precipitato nella monotonia e nella banalità là dove il Borsa con le risorse infinite del suo temperamento privilegiato è riuscito ad una varietà di toni, ad una precisione di tocchi, ad una raffinatezza di contrasti veramente straordinarie, affermando in modo incontrastabile la superiorità dei suoi mezzi e la gloria del suo nome.
Il bellissimo quadro venduto a Venezia è andato ad arricchire una galleria di Buenos-Ayres.
Ed ora, dopo questa frettolosa, disadorna, disordinata ed incompleta rassegna dell’opera pittorica di Emilio Borsa, non mi resta che augurare di vederla continuata più vittoriosamente ancora in avvenire, malgrado il destino avverso onde fu percosso tanto crudelmente questo artista che tanto laboriosamente onora la scuola lombarda.
Guido Marangoni, 1910 (Il pittore Emilio Borsa, Natura ed Arte, Milano, anno XIX - N. 4, 20 gennaio, pp. 217/224).
Bibliografia:
1895 - Prima Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 75.
1907 - VII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 112.
1907 - Settima Esposizione Internazionale d'Arte in Venezia, Fascicolo Terzo, Pubblicazione dell'Illustrazione Italiana, p. 24.
1909 - VIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 129.
1909 - Guido Marangoni. VIII esposizione Internazionale di Venezia. Pittori Italiani, Milano, Natura ed Arte, anno XVIII, n. 23, 1° novembre, p. 724.
1910 - IX Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 126, 139.
1910 - Guido Marangoni, Il pittore Emilio Borsa, Natura ed Arte, Milano, anno XIX - N. 4, 20 gennaio, pp. 217/224.
1910 - Foglie morte. Natura ed Arte, Milano, Vallardi, N. 23 - 5 novembre, p. 736 f.t. ill.
1910 - Guido Marangoni, L’Esposizione Nazionale di Brera. Pittori e scultori - L’arte applicata. Natura ed Arte, Milano, Vallardi, N. 23 - 5 novembre, p. 752 ill,
1911 - Virgilio Colombo, Le più belle opere d’arte esposte nella Mostra di Brera dal 1869 al 1910, Premi Principe Umberto, Milano, Alfieri & Lacroix, p. 40.
1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, p. 48.
1922 - XIII Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, Numero speciale della Illustrazione Italiana, Milano, Treves, supplemento al n. 31 del 30 luglio, p. 37.
1931 - Osservatorio - Arte (necrologio), L'Illustrazione Italiana, II° semestre, Milano, Treves, p. 625 ill.