Bonatto Minella Carlo

pittore
Frassinetto (TO), 10 agosto 1855. - Frassinetto (TO), 6 giugno 1878

Carlo Bonatto Minella, morto a ventitré anni (1878), è forse la perdita più dolorosa: in questo ragazzo, spento di tisi quando appena aveva compiuto gli studi scolastici, la pittura piemontese perdeva una promessa superba.

Era nato nel 1855 a Frassineto Canavese, piccolo borgo rintanato sopra una balza dei monti della Valle del’Orco. Figlio di un contadino abbastanza agiato, dovette dare prove precoci delle sue attitudini al disegno, poiché, compiuta la quarta elementare, fu dal padre stesso inviato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove entrava nel 1869. Vi passò otto anni e pel corso di pittura fu allievo di Andrea Gastaldi, che lo ebbe caro. Nel 1878, appena compiuta l’Accademia, stretto dal male, veniva trasportato al paesello nativo: vi moriva dopo pochi giorni.

Cinque o sei opere scolastiche, accademie di nudo o di testa e concorsi di fin d’anno, cinque opere esposte, durante gli studi, alle mostre d’arte torinesi, alcuni quadri dipinti per chiese e piloni del paese: ecco quanto resta di lui. Concorso accademico è l’Andrea Vesalto che studia anatomia, con cui si apre la serie delle sue opere, concorso accademico è la testa della Pensierosa che la chiude.

Tre anni appena di attività pittorica quasi puramente scolastica, eppure questo prodigioso ragazzo infonde un’impronta personale in tutto ciò che tocca. Nel tema obbligato del Vesalio introduce l’intimità della luce scialba e cerca sottili armonie di colore nell’ombra; nella Giuditta si libera dal convenzionalismo romantico con cui dal maestro e dai coetanei era trattato il quadro storico, atteggia la scena con la purità di un quattrocentista e raggiunge smalti di colore che fanno pensare ai preraffaelliti inglesi: nella Donna pompeiana studia il carattere della figura e della stoffa in modo da togliere al tema abusato ogni apparenza di superficialità decorativa; in Un’ebrea (in Egitto) accorda la tristezza dell’esule con un’armonia di grigi in un paesaggio mirabile di realismo incisivo, sottilmente poetico; nella Religione dei trapassati, ambienta la figura, evocata da un affresco pompeiano, in un naturalismo paesistico descritto con l’amorosa minuzia di un primitivo; nella Pensierosa, trasforma, per la sensibilità delicatissima della visione, una modella d’accademia in una immagine di sogno, ma saldamente costrutta, che fa pensare al Whistler.

Un senso innato ed ingenuo di poesia, che lo fa immune sin dai primi passi dalle virtuosità esteriori che allettano di solito i giovani, una facilità nativa pel disegno, una delicata sensibilità del colore, un amore di primitivo per la struttura delle cose naturali, un’ingegnosità riflessiva che gli fa escogitare mezzi tecnici nuovi a rendere la trasparenza ariosa delle cose, quali la fattura a puntini nella Giuditta e quella pomellata nella Pensierosa: poteva dare alla pittura italiana cose grandi. Enrico Thovez - (1922 - XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra).

Nel 1922 viene ricordato con una Mostra Individuale, alla XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, vengono esposti sette dipinti, catalogo testo di Enrico Thovez.


Bibliografia:

1922 - (Enrico Thovez), XIII Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo mostra, pp. 26/27.

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