La pittrice Adriana Filippi, nata a Torino, orfana di padre dall’infanzia, sentì fin da bambina la « vocazione » pittorica, alla quale diede saldo fondamento con severi studi, compiuti con grandissimi sacrifici da lei e dalla madre, sua fedele compagna d’arte e di vita, perseguendo il motto di Leonardo: «Non si volta chi a stella è fisso».
Licenziata dall’Accademia Belle Arti di Firenze, iniziata la carriera di professionista come ritrattista, vale a dire con tecnica e preparazione compiuta, dopo aver lavorato per anni a Torino, nello « studio » esponendosi al giudizio del pubblico e della critica, padrona ormai di un suo mezzo di espressione, del « mestiere », sentì un giorno la necessità di fuggire le adunate turbolente di teorismi della città e cercò rifugio nella solitudine montana; tesa ad una sua libertà intima, ad una sua formazione spirituale, senza influenze estranee, alla divina libertà dell’ingegno e del sentimento.
Visse così per parecchi anni in un’alta Frazione alpina, tra pastori e bimbi rozzi, vita primitiva e silenzi vasti. Interrogò il mistero dei bimbi tra spauriti e dolenti delle solitarie famiglie della montagna, nei lontani casolari sperduti in paesaggi di neve, seguì il lento sbocciare della loro intelligenza tarda e del sentimento crepuscolare, la grazia istintiva di certe fanciulline, la forza ‘tozza dei ragazzotti; e compose il primo dei suoi tre cicli: «Il poemetto della fanciullezza montana ».
In montagna, poi, sempre tornò, sì che tutta la sua produzione: figure, paesaggi, ambienti, cose, fiori, si può definire alpestre.
All’oscura, rassegnata esistenza degli umili abitatori delle capanne, su, negli alti pascoli, è ispirato anche il secondo dei suoi cicli pittorici: «Il poemetto dell’umile giornata di Maria » una serie di composizioni intorno alla vita della Mamma di gesù, esposte con grande successo in varie mostre di Arte sacra, fra le quali L’“Angelicum” di Milano. In montagna visse anche gli anni più cruciali per la nazione italiana, quelli dal 1943 al 1945, in Piemonte, là sulla Bisalta, il monte sovrastante l’altipiano e la città di Cuneo. La pittrice e sua madre si schierarono subito a fianco delle forze nazionali e condivisero con quei soldati la dura vita, sostando in piena montagna, dormendo sulla paglia, nei fienili, nelle baite, mangiando, quando c’era, il rancio comune; così, mentre la madre ne divenne l’infermiera, o meglio, la «mamma», la figlia ne divenne la «sorella» pittrice, la ritrattista, e nacque il terzo ciclo: «vita partigiana di montagna». Ebbero per questa loro opera la casa distrutta, ma la pittrice riuscì a salvare i documenti più preziosi, i quadri che andava man mano componendo e che, l’un dopo l’altro nascosti (il ritrovamento di uno solo sarebbe costato caro all’autrice, a sua madre ed al ritrattato) dissotterrò poi tutti in una volta alla fine della guerra. Queste opere, di grande interesse artistico e storico, che si svolgono attorno al tema unico della vita del partigiano in montagna, tratte dal vero, di immediata esecuzione, con i personaggi operanti, fra rischi e pericoli, tra interruzioni e riprese (avendo non di rado per cavalletto una lastra di pietra o un tronco di pianta) sono legate l’un l’altro da un nesso così stretto da costituire quasi una pellicola di quella travagliata vicenda. Esse «non sono freddo documentario obiettivo ma rappresentazione commossa e commovente del vissuto dramma quotidiano; rappresentazione delle ansie della solitudine, della tristezza, dei combattenti della montagna, isolati, viventi in baite, fra le rocce, su duri giacigli, a tutte le intemperie, lontani dalle loro famiglie, senza notizie con lo sguardo sempre a valle, cioè alla via della battaglia e dello sperato prossimo ritorno. E’, insomma, poesia! pittura con virtù di commozione e di ammonitore ricordo; nel suo complesso un canto pittorico dell’epopea partigiana» (Mario Vugliano poeta e scrittore — dal quotidiano « La libertà » Milano, 1° agosto 1945). «Questa raccolta si alza come grido di rivolta contro gli uomini che distruggono ed uccidono; come canto di vita che . dalle tane, dalle baite, dalle rocce, si libri incontenibile al di sopra della distruzione e della morte; come auspicio di speranza; come indomito « credo » nel perenne rifluire e risorgere della giustizia, della libertà, della vita » (Gaetano di Sales, scrittore e poeta). « In essa il nuovo risorgimento ha trovato una documentazione sicura, risolta con abilità di mano e freschezza di accento » (Pietro Bargis, scrittore e critico d’arte). Questa collezione, unica; è ormai nota anche all’estero; nel Canada, la rivista «Marie» definisce la pittrice Adriana Filippi «le peintre de la Résistance».
Di essa è in corso un interessantissimo libro d’arte con riproduzioni a colori.
Fu esposta in Italia subito, nell’anno 1945, a Cuneo e a Torino e nel 1946 a Bra e a Milano. Il Governo italiano l’ha chiesta per celebrare a Roma il «Decennale della Resistenza».
La pittura della Filippi è modernissima, ma fondata sulla tradizione dell’arte di chiaro linguaggio, buon disegno, forma, volume, elevatezza di concetto.
Nelle sue tele ad olio, sempre sobrie, con rinuncia a particolari piacevoli nocivi all’unità della visione pittorica, la luce è sempre dominatrice, il colore vibra trasparente e leggero, trattato a spatolate larghe, modellatrici, con tocco sì fine da raggiungere, quando occorre, le finezze del pennello.
E’ disegnatrice esperta. Col carboncino, con il conté, con la matita, con il pastello, con il pennello, il disegno occorre affrontarlo, non eluderlo. O si sa disegnare o si casca.
I suoi mezzi espressivi sono dei più vari. Quando il soggetto comporta rapidità di tocchi e di segni abbiamo l’impressione fulminea; quando occorre una penetrazione psicologica del personaggio e del momento abbiamo chiaroscuri a tratti robusti, a masse incisive e vigorose, di una pastosità e ricchezza di toni come oli. La sua personalità si rivela nella concezione del quadro, è di interpretazione malinconica e grave, psicologica.
Presente a Mostre nazionali e internazionali nelle principali città d’Italia. Sette mostre personali a Torino, Cuneo, Bra, Milano, Genova. Opere sue si trovano per acquisto a: Torino (Società Promotrice Belle Arti ed ex Casa Littoria); Cuneo (Muncipio e Prefettura); Varese (Municipio); Berlino (ex Consolato italiano); Tripoli (ex Governatorato Italiano); S. Benedetto del Tronto (Municipio); ed in collezioni private, fra cui quella della fu Elena di Savoia Regina d’Italia. Vincitrice del «Pennello d’oro » alla Mostra Nazionale indetta dall’Ente Turismo per la « Estate Giuliese 1954».
Bibliografìa:
«Annuario donne italiane» anni 1937, 1938, 1939, 1940. Rivista d’arte «ABC» » anno 1938. Dizionario «Un secolo di pittura» anno 1950. «Revue moderne» anno 1951. «Nuova antologia degli artisti contemporanei» anno 1953. «Artisti viventi d’Italia» anno 1955.
1956 - Domenico Maggiore, Supplemento Artisti Viventi d’Italia, Napoli, Edizione Maggiore, pp. 227/233.