MICHELE FANOLI. Nella Illustrazione del 1876, n.° 51, abbiamo parlato di Michele Fanoli, morto nel settembre di quell’anno a Milano, nonché riprodotto il ritratto di lui, modellato in creta dallo scultore Villa. Oggi invece riproduciamo il monumento inauguratosi il giorno dello Statuto a Cittadella, in provincia di Padova, dove il Fanoli era nato ottantaquattr’anni addietro. Per chi non avesse tempo e modo di rileggere quel primo articolo, riassumiamo qui qualche notizia su la vita del sommo maestro, che col Calamatta e il Mercuri tenne alta all’estero l’arte litografica italiana.
Nato di modesta famiglia, Michele Fanoli entrava giovinetto all’Accademia di belle arti di Venezia grazie alla protezione del conte Cicognara, presidente di essa, il quale aveva intravvisto l’artista nelle ingenue sgorbiature murali del figliuolo del mastro di posta di Cittadella. Spirito irrequieto, ingegno largo e acuto, lesto di mano, il Fanoli prometteva assai, e come promise mantenne. Innamoratosi dell’arte litografica inventata nel 1840 dal boemo Senefelder, egli passò a Parigi concorrendo efficacemente a progredirla. Ammiratore e amico del Canova, cominciò dal riprodurre in cinque grandi tavole tutte le sculture del possagnese, guadagnando subito rinomanza, e d’opera in opera giunse fino alla riproduzione delle Villis, del Geudron, che girò il mondo e diventò popolare in America come in Europa, e alla Festa delle Marie, del Gatteri, che, a detta dello stesso pittore, era migliore dell’opera originale. È nelle Villis che Michele Fanoli applicò la prima volta la “ tinta perduta”, o in altre parole il modo di rinforzare le tinte coll’aiuto di una seconda pietra, dando alla litografia l’effetto delle più vigorose incisioni senza toglierle la freschezza. Ebbe medaglie: onori ed encomi senza fine, e dal governo degli Stati Uniti d’America la preferenza su tant’altri insigni per la esecuzione del ritratto di Washington. A citare le sue opere non si finirebbe più.
Fra le innumerevoli pietre improntate dalla geniale matita del Fanoli, ricordiamo la Santa Caterina portata dagli angeli, le Tre Marie, l’Orfeo di Jalabert, copiò dei quadri di Brochard e di Landelle, I politici da taverna, Le Ninfe che in pietoso atto ascoltano i lamenti di Orfeo sconsolato, il Cristo del Delaroche, la Fede di Ary Scheffer, I Foscari tolti dalla tela del Gregoletti, Cristo Gesù con San Giovanni e San Pietro, Le Villis che strette in dolci amplessi volano perpetuamente sulla superficie di un lago nei regni della morte, moltissimi studi cavati dalle opere del Murillo, del Veronese, del Lanzio, ecc. Stimato l’artista più adatto nel tempo suo a ritrarre i migliori lavori della scuola tedesca conservandone la severità e la purezza dello stile, Michele Fanoli passava nel 1847 a Londra, per disegnare e riprodurre una lunga serie di soggetti religiosi de’ migliori artefici tedeschi. Tornato poscia a Parigi, dov’erano pur sempre i maestri dell’arte litografica, vi rimase sino al 1860, nel qual anno rivedeva l’Italia, entrando quale professore di litografia nell’Accademia di Brera, nella cattedra straordinaria appositamente istituita per lui dal ministro d’istruzione pubblica Terenzio Mamiani. In una lettera, sin qui inedita, dal Fanoli diretta il 12 novembre 1860 al Mamiani si legge: “Nulla di più io desidero, e prometto a V. S. I. di consacrarmi a questo nuovo impiego con quel zelo sincero ch’è necessario per ottenere i migliori e più pronti risultati. La città di Milano è, com’Ella dice, la più acconcia a ciò....”
E a Milano il Fanoli visse tranquillo e amato da’ suoi scolari: non ricco però, malgrado avesse lavorato senza mai concedersi tregua. Però non moveva lamento; soltanto, narra Paulo Fambri, aveva di rado qualche monosillabo e qualche sorrisino un po’ melanconici, che, senza alcun sapore di protesta, tutt’al più sembravano dire: moltissimo lavoro e poi con che sugo! Qualche po’ di stizza la sfogava contro la cosa pubblica, “specialmente in fatto di morale che gli pareva dovesse finire collo scendere fin dove scese, e continua pur troppo a inabissare”.
I cittadellesi non dimenticarono mai il loro illustre concittadino, 1’artista squisito che per un ventennio procurò tanto decoro alla patria, - tant’è vero che promossero la erezione del gentile monumento, testé inauguratosi alla presenza di quanti avevano avuto modo di apprezzare l’alto ingegno e le famigliari virtù del Fanoli.
Il monumento, formato di un busto, somigliantissimo, e di una lapide, venne ideato ed eseguito con l’abituale diligenza dallo scultore veneziano Gerolamo Bortotti, autore di molte altre opere dalle quali traspare sempre, insieme all’ingegno, la rara modestia e la natural bontà.
Aggiungiamo che in occasione dello scoprimento vide la luce a Cittadella, pei tipi Pozzato, un opuscoletto dove sono prose e versi di Zanon, Paulo Fambri, Archinti, Bernardi, nonché tre lettere inedite del principe della litografia. A.C. (1891 - A. C., Michele Fanoli, L'Illustrazione Italiana, Milano, Anno XVIII - 1° semestre, pp. 395, 398).
Bibliografia:
1877 - Camillo Doyen, Trattato di Litografia, Torino, F. Canova, p. 49 e seg.
1891 - Cronaca della Provincia - a Cittadella, Per Michele Fanoli, Il Comune - Giornale di Padova, lunedì 8 giugno, p. 2.
1891 - A. C., Michele Fanoli, L'Illustrazione Italiana, Milano, Anno XVIII - 1° semestre, pp. 395, 398.
1923 - Leandro Ozzola, La Litografia Italiana dal 1805 al 1870, Milano, Alfieri & Lacroix, pp. 21 e nota, 32, fig. 59.
1955 - Luigi Servolini, Dizionario Illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, Gorlich, p. 307, 308.
1976 - Guido Giubbini, L’acquaforte originale in Piemonte e in Liguria 1860-1875, Genova, Sagep editrice, pp. 108.
1985 - Paolo Bellini, Storia dell’incisione moderna, Bergamo, Minerva Italica, p. 425.
1996 - Sileno Salvagnini, Michele Fanoli litografo di traduzione, “Città di Brera, due secoli di incisione”, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, pp. 140/173, 281/283.
2000 - Zeno Davoli, La Raccolta di Stampe “Angelo Davoli”, volume IV, E-Gq, Reggio Emilia, Edizioni Diabasis, p. 69 ill., 74/76, 289.