Anderloni Pietro

incisore
Brescia, 12 ottobre 1785 - Galbiate (CO poi Lecco), 13 ottobre (dicembre) 1849

Nasce a Brescia nel 1785, allievo del fratello maggiore Faustino, nel 1804 va a Milano, allievo di Giuseppe Longhi all'Accademia di Brera, nel 1807 vinse il primo premio per il disegno del Nudo. Nel 1811 con la Madonna del Prato da Raffaello si aggiudicò il prestigioso premio di Incisione dell'Accademia di Brera. Nel 1831 alla morte del suo maestro, gli viene assegnata la direzione della scuola d'incisione.


Sue incisioni sono inserite nella Raccolta delle Stampe Adalberto Sartori di Mantova,

Sito internet: www.raccoltastampesartori.it


Ancora di Pietro Anderloni calcografo - Con gentile insistenza pregato dal Direttore dell'Illustrazione Bresciana di scrivere due parole sul mio avo Pietro Anderloni, non mi sento l’animo di opporre un rifiuto a tanta cortesia, e, sebbene sappia di non essere la persona a ciò più indicata, mi accingo al modesto incarico, fidando nell’indulgenza dei lettori.

Ho pensato più volte, intrattenendomi con amici discendenti da artisti, da letterati, o da altri uomini comunque insigni e benemeriti della patria, che, se le famiglie ponessero cura in ricercare la storia dei loro vecchi, molti ricordi non ispregevoli, sebbene di non primaria importanza, verrebbero in luce a vantaggio non solo del buon nome dei valorosi obliati, ma anche della storia patria, e ho pensato che modestia o indebita peritanza non dovrebbe trattenere i più o meno tardi nipoti dall’opera lodevole e proficua.

E tale pensiero mi ha mosso all'arduo cimento di riunire, in un volume riproducente le opere di Pietro Anderloni incisore, ciò che di questo artista era stato detto a’ suoi tempi, sia da’ suoi ammiratori, che da’ suoi critici più severi.

Varia e notevole è la fortuna delle arti, ed in special modo di quelle cosiddette minori, tra cui la Calcografia. Mentre nelle arti maggiori il processo tecnico non mutasi o trasformasi che dopo lunghi periodi di tempo, basta invece il solo mutar d’una moda o anche una semplice modestissima invenzione, sia meccanica che chimica o di qualsiasi genere, a modificare o trasformare radicalmente o ad annichilire una di queste umili arti minori: e quel che ieri formava nobile e desiderato ornamento nelle sale dei ricchi, può in breve esser rifiutato come antiquato o stucchevole o inelegante o non abbastanza chic. Né ciò può parer strano, quando si pensi che in queste manifestazioni la tecnica ha una parte preponderante, onde spesso con soli criteri tecnici, o quasi, si decide dell’opera intera: ma nondimeno è giusto non di rado riconoscere in questi modesti lavoranti delle minori arti attitudini e tempre artistiche forti e squisite, sebbene il variare frequente dei gusti impedisca loro di assicurarsi nella storia dell'arte, se non le soccorrano critici equi e sagaci, quel posto duraturo che loro competerebbe.

Che cale, ad esempio, se l’Adultera di Pietro Anderloni abbia avuto acerbi appunti, e, direi quasi, sia stata messa all’indice da una parte dei critici del tempo, perché il calcografo autore, seguendo le opinioni del suo maestro, Giuseppe Longhi (1746-1831), nel riprodurre l’originale del Tiziano vi aveva soppresso due figure accessorie, direi esuberanti, e che siasi levata al cielo da altri critici, perché in essa l’Anderloni aveva saputo togliersi da quel meccanismo a cui l’incisore dev'essere pur soggetto; quando invece si tace dei meriti e demeriti intrinseci dell'opera per bandirla o glorificarla, a seconda della moda prevalente? Per noi la stampa dell’Adultera sarà sempre una bella incisione: tutt’al più potremo lagnarci di non vedervi riprodotta la tela Tizianesca interamente, ma soltanto i tre quarti di essa; ed anzi ci congratuliamo coll’Autore ch’abbia saputo star ne’ limiti del bello artistico, non torcendo a cattivo senso gli insegnamenti del maestro, come avevano fatto il Bisi, il Caronni e molti altri alunni della scuola milanese.

E con noi furono gli amatori di stampe ed i buongustai d’arte, a cui l’Adultera piacque tanto, che in breve l’edizione fu completamente esaurita.

Il gran vanto e la gloria dell’incisione è quello di averci tramandate, spesso assai fedelmente, le riproduzioni di vecchi capolavori artistici, i quali andarono poi dispersi o distrutti, e di cui solo per merito di essa ci rimane ora visibile ricordo.

L’arte del bulino ha tradizioni gloriose in Italia. Nata dall’incisione in legno, con la quale si solevano illustrare i capolavori letterari, e dalla stampa dei nielli nel secolo XVI, acquistò gran voga nei secoli XVII e XVIII, spegnendosi - quella classica - si può dire, coll'Anderloni; mentre nel secolo XIX, dopo mille trasformazioni, venne ad essere surrogata dai moderni sistemi fotomeccanici, che, sebbene lascino assai minor campo alla interpretazione artistica da parte del riproduttore, hanno il pregio di una fedeltà di gran lunga maggiore di quella che con molta fatica potevasi ottenere dalla calcografia: senza contare il molto minor costo e la immensamente maggiore rapidità di processo.

L’Anderloni fin da giovane è lodato per l’accuratezza del disegno e per la scrupolosa precisione con la quale riproduce i capolavori, e questa tendenza quasi meticolosa egli applica anche intagliando in rame, ottenendo così stampe in cui di molto s’avvicina all’originale: è per questo suo merito ch’egli nell’Eliodoro, nell’Attila, e in altri soggetti, riuscì ad ottenere quelle ombreggiature, quelle sfumature, quei contrasti, che pongono queste incisioni in una sfera superiore a quella delle omonime celebratissime del grande calcografo romano Giovanni Volpato (nato a Bassano nel 1730 - morto a Roma nel 1803).

Delle opere di Pietro Anderloni disse il Prof. Bustico nel N. 31-32 di questa Rivista; quindi non ne riparlo. Ma di Pietro Anderloni come Bresciano nessuno finora ha parlato, mentre egli, anche lontano, sentì ardentissimo l’amore pel paese natio, e, appena gli impegni glielo permettevano, vi ritornava con viva soddisfazione, anche per una visita brevissima.

La casa, dove da G. Battista ed Anna Maria Ronco nacque il nostro artista il 12 ottobre 1785, era la prima a sinistra di chi entrava da mattina in S. Eufemia della Fonte. Questa casa ora non è più la prima perché altre le sorsero appresso. Quasi distrutta nell’anno 1849 per opera degli invasori Austriaci, venne, dopo la morte dell’Anderloni e de’ suoi fratelli quivi residenti, alienata dai figlioli di Pietro, i quali ebbero a stabilire loro dimora parte a Milano, parte a Roma ed altrove.

Il giovane calcografo, recatosi a Milano, a Pavia, a Roma ed in altre città, sempre pensò alla sua Brescia, e Brescia lo ricambiò di pari memoria. Così nel 1814 egli è nominato Membro e Socio corrispondente dell’Ateneo bresciano; la qual nomina giunse al giovine Pietro insieme a quella di Socio onorario dell’Accademia di Belle arti di Milano. Non però la nomina dell’Accademia lo fa trasalire di gioia, ma quella del patrio Ateneo, ed a questo egli indirizza una lettera nella quale mostra il riconoscente ed affettuoso animo suo. Due anni dopo, nel 1816, l’Anderloni invia una copia della sua stampa: Ritratto di Pietro il Grande al medesimo Ateneo, ed il presidente di questo, di rimando, gli dichiara il suo compiacimento per la nuova opera, gloriandosi d’averlo a suo concittadino e collega. Anzi, nel discorso inaugurale dello stesso anno, ragionando circa lo sviluppo e le condizioni delle arti belle in Italia, ebbe a dire: «La calcografia è portata all’apice della floridezza dai Morghen, dai Longhi, dai Folo, dai Fontana, dai Rosaspina e dai bresciani fratelli Anderloni». Nel quale elogio l’amor patrio ebbe, in vero, troppa parte ritenendo, come un fatto ciò che appena era speranza, sebbene sicura e vicina a compimento; difatti già l’Anderloni stava raggiungendo la perfezione del Longhi, alle opere del quale prestava largamente e sapientemente mano, tanto da confondersi l’opera del maestro con quella dell’allievo; il quale del Longhi imitava a perfezione lo stile, sebbene contrastasse col proprio, assai più affine a quello dell’immortale Raffaele Morghen (1758-1833): contrasto che, se rende più ammirabile l’opera dell’Anderloni, ci fa riflettere che, se questi fosse stato invece allievo del Morghen, e avesse così potuto seguire la naturale sua inclinazione, sarebbe divenuto il miglior emulo del sommo incisore.

Passano intanto gli anni, e Pietro Anderloni non dimentica mai Brescia; le brevi corse al paese natale sono per lui un ristoro, l’invio delle sue opere all’Ateneo un ineffabile compiacimento. Nel 1830 pubblica l’Eliodoro discacciato dal Tempio, riproduzione del dipinto di Raffaello nelle Logge Vaticane. Questa stampa gli è apportatrice di gloria, sebbene contrastata da fiere dispute fra i diversi critici, dei quali molti sostenevano e alcuni negavano ch’egli avesse con tale lavoro superato il celebre Volpato. Ma l’Anderloni sente che la gloria sua è anche del suo paese, ed invia l'incisione a Brescia, la quale, grata del dono, e più ancora di saperlo opera lodata di un suo cittadino, porge una conferma alla lode universale acquistatasi da questa stampa, assegnandole il primo premio dell’Ateneo: una grande medaglia di argento, al merito artistico: medaglia che tornò all’Anderloni carissima.

Nei torbidi del 1848, quando tutti facevano del loro meglio nel prestar aiuti per iscacciare lo straniero, egli porta al Governo provvisorio, oltre un’ ingente somma in denaro (L. 27.000), tutte le sue medaglie, i principeschi doni di cui era adorna la sua casa, fin l’argenteria di questa ed i numerosi gioielli della moglie (Felicita Negri, sorella dell’illustre uomo di stato e geografo Cristoforo Negri); ma a tutto questo non gli basta l’animo di unire la bresciana medaglia, che troppo gli dorrebbe il privarsi di questo pegno d’ affetto e di stima de’ suoi concittadini, a lui caro come una preziosa reliquia. Questa medaglia io l’ho riprodotta nella tavola XVI del libro da me pubblicato sull’opera dell’avo mio (1), a maggiore attestazione del nobile atto del calcografo bresciano.

Molto potrei dire ancora dell’amor di lui per il suo paese, ma non voglio essere prolisso: aggiungerò invece alcune parole per ricordare la parte presa dalla famiglia Anderloni ai fatti del marzo 1849, quando i Bresciani, guidati dall’eroico Tito Speri, si scontrarono cogli Austriaci a S. Eufemia.

La casa Anderloni era, come ho detto, la prima verso Rezzato, ed i Bresciani l’occuparono adibendola ad uso di fortino. Solo in casa era Benedetto, l’ultimo dei fratelli sopravissuti a Pietro, e Benedetto seppe, sebbene settantenne, mostrarsi degno patriota incitando i giovani combattenti alla resistenza. Dopo molte ore di pugna accanita, gli Austriaci, condotti da Nugent, riescono a prendere la casa Anderloni. Benedetto, che avrebbe con la fuga potuto liberarsi dalla responsabilità di aver accolto e fortificato gli insorti, non fugge e viene arrestato, maltrattato, e già si sta per fare su di lui giustizia sommaria, quando un ufficiale austriaco, sopraggiunto in quella casa mezza diroccata dai colpi nemici, scorge, fra i mobili fracassati, un’incisione raffigurante il Giudizio di Salomone, e nel margine di essa lo stemma austriaco e la dedica a Ferdinando I col nome di Pietro Anderloni (che allora era professore e direttore della Scuola d’incisione nell’I. R. Accademia di Belle Arti di Milano). L'ufficiale intanto è informato che Benedetto è fratello del valente incisore, e, a tale notizia mutando ad un tratto i fieri propositi, ordina che si rispetti l’asilo del calcografo illustre. Ahimè, non restavano ormai che delle pietose rovine! Ad ogni modo la dedica a Ferdinando di una delle più belle incisioni di Pietro Anderloni, anzi della più perfetta, avea salvato la vita al fratello di lui, il quale venne condotto via come ostaggio. E da ricordarsi però che il calcografo bresciano aveva, per uno strano complesso di cose, dovuto dedicare quell'incisione al Monarca Austriaco collo stesso animo con cui Carlo Cattaneo aveva recitato i suoi discorsi al Viceré d’Austria.

Rovinata così la cara abitazione di S. Eufemia, Pietro Anderloni non fa più ritorno a Brescia che assai raramente; ma sempre la ricorda, che qui ha i suoi più diletti amici, qui è il suo pensiero, il suo cuore.

Ma anche per lui si avvicinava l’ultima ora: i torbidi della rivoluzione, la malattia del suo figlio avvocato professor Ferdinando (che ancor giovane s’era arruolato nel battaglione degli Studenti, di cui era divenuto capitano,) gli diedero l’ultimo colpo. Morì nella sua villa di Cabiate, in provincia di Como, il 12 ottobre 1849, lasciando il più sincero e doloroso rimpianto non solo nella famiglia sua, ma in quanti avevano conosciuto la grandezza dell’ingegno e del cuore del celebre artista.

Milano, 11 aprile, 1904.

Emilio Anderloni - (1904 - Emilio Anderloni, Ancora di Pietro Anderloni calcografo, Brescia, Illustrazione Bresciana, n. 35, 16 maggio, pp. 5/8).

(1) Opere e vita di Pietro Anderloni. Note ed appunti di Emilio Anderloni. Ediz. di lusso, in 8 gr., 136 pag., 16 tavole eliotipiche: presso l’Autore, Milano, Via Mirone, 21.

Nota. - Il quadro dell’Adultera, di cui diamo la riproduzione, non è da confondersi con quello, pure meraviglioso e dello stesso Tiziano, esistente nella Chiesa di S. Afra in Brescia, da noi riprodotto nel Numero 9.

Il ritratto di Pietro Anderloni, è riprodotto da una incisione di F. Joubert amicissimo suo, ricavata da un autoritratto del grande calcografo bresciano.

Qui, dove si è riparlato estesamente di Pietro Anderloni, giustizia vuole che sia nuovamente ricordato il fratello suo maggiore, Faustino, pure valoroso artista, del quale solo dicemmo una parola nel Numero 5-6 di questa Rivista.

Faustino, nato a S. Eufemia della Fonte il 21 luglio 1776, fece in Brescia i primi studi sotto la disciplina del Becceni e del Carloni; ma tali e così rapidi furono i suoi progressi nel disegno e nell’ incisione, che in età di soli diciotto anni ebbe una chiamata dallo Scarpa a Pavia, alla quale essendosi prestato, gli vennero allogate da incidere tutte le tavole dell’opera Sui nervi, e quelle delle opere Sulle ossa e sulle malattie degli occhi. Entrato nel 1798 nell’Accademia di Belle Arti in Milano, vi rimase a perfezionarsi fino al 1801, quando fu nominato professore nell’Università di Pavia. Convisse coll’incisore Giovita Garavaglia suo cognato.

Fra le molte stampe che rimangono di lui, sono assai notevoli ed assai reputate la Caduta dei Giganti di Giulio Romano, la Madonna di Foligno, la Madonna ed il Ritratto di Raffaello, la Madonna del Poussin, l’Assunta di Guido Reni. (Vedi Commentarli dell’ateneo di Brescia degli anni 1848-50, pag. 263).


Bibliografia:

1903 - Una incisione di Pietro Anderloni, Brescia, Illustrazione Bresciana, n. 17, 16 luglio, p. 8.

1904 - Emilio Anderloni, Ancora di Pietro Anderloni calcografo, Brescia, Illustrazione Bresciana, n. 35, 16 maggio, pp. 5/8.

Leggi tutto